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GUIDO ALPA
(PRESIDENTE DEL C.N.F.)
La riforma non passa per vertici delegittimati
Nell’intervento pubblicato sul Sole-24 Ore di domenica 18 febbraio («Sulle professioni non soltanto tutela pubblica») il ministro della Giustizia muove da un’interpretazione di un’indagine del Censis sulle professioni per sostenere che:
- gli organi rappresentativi professionali hanno criticato e non condiviso il disegno di legge governativo di riforma perché (secondo quanto avrebbero riferito i singoli professionisti ai loro intervistatori)sarebbero incapaci di capire le innovazioni, essendo arroccati sulla difesa di interessi corporativi; - i singoli componenti delle categorie (che il ministro denomina “la base”) avrebbero una mentalità molto più aperta e dinamica dei loro rappresentanti. Poiché la riforma ha preso il suo avvio in Parlamento, il ministro si augura — o suggerisce — che «la fase di analisi parlamentare» possa recuperare l’aspetto di compresenza della tradizione (espressa, a dire del ministro, dagli organi rappresentativi) e dell’innovazione (espressa, sempre a suo dire, dalla base) «tenendo conto anche di ciò che i professionisti, dal basso e dal territorio, esprimono in merito». Muovendo da queste premesse il ministro osserva che la realtà professionale è «fortemente segmentata al suo interno», che occorre una «nuova stagione di dinamismo», che alla centralità dello status pubblico degli Ordini va opposta la centralità di competenze e professionalità degli operatori del terziario. Aggiunge, però, che gli Ordini non esprimono voglia di protezione pubblica ma una domanda di «accompagnamento verso un modello professionale orientato alle competenze». Certamente gli Ordini sono orientati a un modello professionale incardinato sulle competenze. Lo sono già da tempo: il codice deontologico forense punisce l’avvocato che assume l’incarico consapevole delle proprie incapacità a svolgerlo correttamente e professionalmente; punisce l’avvocato che non è adeguatamente preparato e aggiornato; punisce l’avvocato che riceve un compenso sproporzionato al lavoro eseguito (e non al risultato conseguito). Proprio qualche settimana fa il Consiglio nazionale forense ha adottato un regolamento per l’aggiornamento obbligatorio per assicurare che la categoria operi con competenza, oltre che con correttezza, e risulti competitiva, sul piano del mercato internazionale e interno. La dimensione pubblicistica degli Ordini non è tuttavia rinunciabile nè può essere affievolita: questa è una conquista della regolamentazione professionale (e non l’espressione di una concezione corporativa), perché solo un Ordine può assicurare un controllo deontologico giuridicamente forte ed effettivo. Se scomparissero gli Ordini, i professionisti sarebbero abbandonati a loro stessi, e i peggiori potrebbero profittare dell’assenza di controlli per realizzare i loro disegni non conformi alla deontologia. Dovrebbe provvedere la giustizia ordinaria, come avveniva un secolo fa, con le implicazioni che il ministro ben conosce. Al contrario, un’associazione professionale non ordinistica e non equiparata agli Ordini non implica né l’obbligatorietà di iscrizione né sanzioni idonee a incidere sull’esercizio della professione. Qui è il punto dolente (uno, tra i tanti) del disegno di legge governativo: crea ambiguità e confusione tra le associazioni di professionisti regolamentati che operano accanto agli Ordini (e tutelano, per esempio, gli interessi associativi dei giovani professionisti o dei cultori del diritto civile e penale) e associazioni che, sostitutive degli Ordini, assolvono la stessa funzione pubblica Cercheremo di far capire questa differenza e quindi l’assoluta esigenza di modificare il testo alle Commissioni parlamentari, visto che la differenza non si è voluta capire (?) in ambito ministeriale. E’ comprensibile che il ministro voglia tutelare il suo progetto e utilizzi lo scudo dell’indagine sociologica (o almeno un’interpretazione assai discutile di quei risultati) per sostenerlo. E, invece, pericoloso che faccia appello alla “base” per sconfessare l’orientamento manifestato dai rappresentanti delle professioni al suo progetto. Ciò non solo perché questa sua azione politica finisce per delegittimare gli organi rappresentativi che le categorie si sono date nell’ambito della loro autonomia, ma anche perché la “base” ha protestato, accanto ai suoi rappresentanti, contro ogni regola e progetto che snaturi la libera professione, la assimili alla produzione anonima di servizi, la privi della libertà di autodisciplinarsi e autogovernarsi. La tutela pubblica degli Ordini è un presidio di libertà, indipendenza e autonomia, è la garanzia che lo Stato riconosce, in forma di autolimitazione, alle professioni intellettuali regolamentate. Quanto all”accompagnamento” ... bè, sappiamo camminare da soli! |