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PINO PISICCHIO
(Deputato - Presidente della Commissione Giustizia Camera dei Deputati)
“Serve una Costituente anche per la Giustizia”
La concomitante azione di protesta di ambedue i soggetti della giurisdizione, i Magistrati e l’Avvocatura seppur motivata da non coincidenti ragioni, converge nel denunciare la condizione i di allarme in cui versa il comparto della Giustizia nel nostro Paese.
Vi sono due dimensioni della crisi della Giustizia in Italia; una prima è quella percepita dal cittadino che abbia la ventura di imbattersi in una delle sue spire, sia essa di indole civilistica, penalistica, amministrativistica o contabile. E’ la giustizia dei tempi biblici, dei processi interminabili il fanalino di coda italiano nelle classifiche europee, sempre un passo oltre le procedure d’infrazione che metterebbero il nostro Paese fuori dal limite tollerato della civiltà giuridica secondo gli standard dell’UE. Ma è quella anche la giustizia dei tribunali kafkiani, della carta da fotocopie pagata di tasca propria dai magistrati e avvocati, delle statistiche un po’ comiche che fanno dire con orgoglio a solerti funzionari ministeriali che non è vero che manchino le tecnologie moderne, visto che solo il 13% delle sentenze viene vergato a mano dai giudici! Verrebbe da chiedere se nelle spese generali del Ministero vi sono anche i compensi dovuti ai maestri di calligrafia! Ma c’è l’altra faccia della crisi, meno avvertita, forse dalla pubblica opinione ed è quella che revoca in dubbio la tenuta della giustizia ordinamento, che registra la valitudinarietà dei ruoli assegnati ai suoi attori; che vive con allarme l’effetto della mal riuscita ibridazione compiuta con la riforma del processo penale, che si imbatte nelle incertezze di un diritto che ben oltre le incertezze relative della pena derivanti dallo sconto dell’indulto – registra il cinquanta per cento di sentenze di secondo grado riformate rispetto a quelle di primo, infliggendo così il vero colpo letale all’idea di affidabilità del diritto. Una crisi acuta dalla politica che, in stagione recenti, è sembrato volesse brandire la Giustizia come strumento di revanche, caricando di significato polemico la necessaria distanza tra politica e magistratura e spostando ben oltre le norme costituzionali, che tracciano soltanto un rigoroso quadro di autonomie, la dialettica tra i due poteri. Una crisi dunque che si è nutrita troppo a lungo col veleno dell’attacco del potere politico al potere giudiziario e talvolta dello straripamento del potere dei magistrati, nel corto circuito letale con i mass-media. Una crisi, infine, interpretata dalla pubblica opinione in modo devastante se è vero quel che dice l’Europarlamento quando segnala che solo un terzo degli italiani esprime fiducia nella Giustizia, segnando così la vera sconfitta del Diritto nella patria del Diritto. E’ giunto il tempo dunque, di tracciare una linea di chiusura con la stagione delle incertezze e della precarietà e di farlo assieme, gli attori della giurisdizione e gli attori della politica. La sospensione della riforma Castelli, delle parti inaccoglibili ma anche dei profili su cui era possibile convergere deve essere considerata l’azione “destruens” per consentire la ripresa concertata di una fase “costruens” che dovrà avere un solo codice comportamentale, quello del perseguimento dell’obiettivo di regole condivise. Perché la giustizia è posta sopra la politica, ne limita l’energia, ne fissa i limiti: la Giustizia è la Regola del gioco che va fissata con un patto fra tutti i contraenti. Per questo occorre una ”costituente per la Giustizia” in cui il Legislatore, ma anche i due soggetti fondamentali della giurisdizione, avvocati e magistrati, si ritrovino per scrivere un nuovo patto per far sì che i cittadini possano riconoscersi in una Giustizia non a misura dei giudici e dei politici o degli avvocati, ma del popolo nel nome del quale viene amministrata. Pino Pisicchio Articolo tratto dal quotidiano: "La Gazzetta del Mezzogiorno". |