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GIUSEPPE DE RITA
Lavori intellettuali: tutte le ragioni dei professionisti.
Sono consapevole che scrivere di professioni intellettuali alle soglie della presentazione del disegno di legge del Governo potrebbe dar luogo a riflessioni al buio e in varia misura strumentalizzabili.
Ma voglio sottolineare l'esigenza di ragionare tutti su alcuni problemi di fondo, che meritano attenzione, a prescindere dai contenuti e dalle procedure su cui sarà avviata la riforma. La mia prima preoccupazione è quella di smitizzare la retorica della liberalizzazione. In realtà il sistema professionale vive da tempo in stato di liberalizzazione permanente. Come si può chiamare altrimenti la crescita costante di iscritti agli Albi (in media al 2,5% annuo fino al 2005)e lo stock di circa 1,9milioni di professionisti regolamentati e di circa 3 milioni di esercenti attività non regolamentate? Si tratta di persone che vivono già in regime di forte concorrenza e sono le dinamiche di mercato a stabilirne il successo professionale, indipendentemente dal loro riconoscimento pubblico. Liberalizzazione, infatti, non significa creare procedure per regolare il confronto di mercato (come la pubblicità o la contrattazione delle tariffe), ma promozione del protagonismo individuale e dei processi di mobilità collettiva. Certo, l'assenza di regole in merito può mettere in evidenza le contraddizioni fra grandi e piccoli studi, o fra donne e uomini, ma l'apertura alla concorrenza è sostanziale. Se questo è vero, si aprono questioni di non poco conto, attinenti a qualcosa che va oltre la liberalizzazione, comunque ottenuta. Quanti più professionisti entrano nei giochi di mercato, tanto più è difficile garantire che tutti siano portatori della stessa qualità professionale. Per questo bisogna avviare processi continuati di formazione specialistica e permanente; di internazionalizzazione attiva; di certificazione delle competenze; di organizzazione delle attività professionali coerente con la domanda degli individui e delle imprese; di sviluppo di un'etica quotidiana oltre i paletti dei codici deontologici; di condensazione dei saperi in famiglie sinergiche di professioni. Questi sono i vincoli minimi di qualità che le attività professionali devono assicurare e su cui esse devono essere aiutate a crescere e devono essere giudicate. E sono aspetti di grande delicatezza e urgenza. Non è pensabile infatti che i milioni di professionisti da soli e a titolo individuale possano maneggiare i fattori di qualità sopraindicati. Rimane quindi il bisogno di processi e di soggetti che si facciano carico di accompagnarli a maturare più confidenza con le sfide che la qualità, nelle varie sfaccettature suindicate, presenta. C'è assoluto bisogno di migliorare, in qualche caso di creare, una piattaforma formativa di base che sia davvero professionalizzante, il che comporta rimettere in gioco la funzionalità della laurea triennale rispetto all' obiettivo della qualità professionale. C'è bisogno di rafforzare la fase dell'ascolto e della concertazione, poiché una riforma vera, dopo la necessaria gestazione di tipo pratico, si sviluppa solo insieme ai suoi destinatari – Ordini e Associazioni - non solo nel loro interesse, ma per lo sviluppo di tutto il comparto. E infine c'è bisogno di incoraggiare una responsabilizzazione diretta delle strutture professionali territoriali, che dovranno sviluppare un nuovo lessico relazionale con il sistema produttivo locale. Gli elementi ricordati fin qui indicano che i milioni di professionisti italiani non vanno lasciati allo stato pulviscolare - da coriandoli, dice qualcuno - ma vanno ricondotti alla coerenza interna ed esterna che la loro massa complessiva richiede. Per questo ho voluto approfittare del momento di sospensione (fra lavoro preparatorio della nuova legislazione e successive polemiche dopo la sua approvazione in Consiglio dei ministri) per avviare una discussione collettiva sui tre punti che oggi mi sembrano centrali: come si attua la liberalizzazione, quali sono le componenti essenziali della qualità professionale, chi di tale qualità deve darsi carico. Approfondirli significa preparare bene il lavoro delle leggi delegate, lontano dalla ripetizione retorica di posizioni datate, anche quando si presumono modernizzanti. |