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MICHELINA GRILLO
(PRESIDENTE DELL'O.U.A.)
LETTERA APERTA A ROMANO PRODI Prot. n. 738/06 Recapitata a mani Anticipata a mezzo fax Ill.mo Signore Prof. Romano PRODI Presidente del Consiglio Palazzo Chigi ROMA Illustre Presidente, ho letto con interesse l’intervista da Lei rilasciata a El Pais, nella traduzione pubblicata sull’edizione odierna del quotidiano “La Repubblica”, e, nella mia qualità di Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, sento l’obbligo di porgere alcune brevi considerazioni. Lei sostiene che “bisogna capire da che parte sta la libertà. Evidentemente, lavorare con i mezzi di comunicazione contro per noi è un problema serio. .... Ci sono di mezzo grandi interessi”. Queste sue affermazioni sono tanto più vere, mutatis mutandis, con riferimento alla protesta dell’avvocatura italiana, le cui ragioni sono state sinora soffocate dai mezzi di informazione, indubbiamente sotto il controllo dei “grandi interessi”. L’avvocatura italiana, proprio perché libera, autonoma e indipendente, ha sempre denunciato le inerzie, le omissioni e le malefatte dei governi che si sono succeduti, del tutto aliena da considerazioni di parte. Non si è mai prestata ad assumere le vesti di servitor cortese, ma ha sempre evidenziato a qualunque interlocutore la assorbente necessità di rispettare in primo luogo ed in relazione a qualsivoglia intervento i diritti della persona. A conferma della ricordata libertà, mi piace sottolineare come nella scorsa legislatura proprio l’Organismo che ho l’onore di presiedere ebbe ad inviare al Comitato dei Ministri d’Europa il secondo controrapporto sullo stato dell’amministrazione della giustizia in Italia, ove ha denunciato la reale situazione del sistema, evidenziando anche la non rispondenza al vero di alcuni dati forniti dalle Autorità italiane alle autorità di Strasburgo. Tale situazione, peraltro, appare del tutto non risolta neppure all’attualità, e le critiche delle autorità comunitarie si ripetono proprio in questi giorni. L’indipendenza non ha mai procurato amici all’avvocatura nel proprio paese: Napoleone, a sostegno dell’eliminazione dell’Ordine degli Avvocati, disse che avrebbe voluto poter tagliare la lingua ad ogni avvocato che se ne fosse servito contro il Governo. Da sempre la libertà e l’indipendenza dell’avvocatura costituiscono prezioso scudo per il cittadino e elemento cardine dell’indipendenza della giurisdizione: ci permetterà di andarne fieri. Sono circostanze, quelle ricordate, che un Presidente del Consiglio non può non conoscere. Proprio per questo, e non dubitando della sua sensibilità e profonda conoscenza delle problematiche di settore, mi consentirà, con quella franchezza che ritengo debba sempre esprimersi nei rapporti istituzionali, di trovare scandaloso che anche all’estero Lei ritenga di svilire la protesta delle libere professioni, che vogliono continuare a essere tali, ed in particolare dell’avvocatura tutta, qualificandola come una protesta non già a tutela di diritti, ma dettata da mortificanti ragioni di cassetta: una protesta “contro il pagamento delle tasse”, da parte di una categoria di “evasori istituzionali”. Come avvocati ben sappiamo che l’indagato non è colpevole sino a che non sia stata provata la responsabilità, e che, in tale ottica, non tutti i politici inquisiti per corruzione o per abuso d’ufficio sono “delinquenti”. Certo Lei ben sa che, sulla scia di questa profonda convinzione, gli avvocati italiani hanno sostenuto il rispetto di un principio di civiltà giuridica che è parte della nostra cultura e della nostra storia da secoli, dentro e fuori le aule di giustizia, non ricercando mai la popolarità e il favor dei potenti di turno. Allo stesso modo chi ha la pesante responsabilità di governare il Paese non può non sapere che la stragrande maggioranza degli avvocati è risultata congrua ai pur pesanti studi di settore. E quindi non può aprioristicamente e semplicisticamente attribuire responsabilità in difetto di accertamenti puntuali, ed anzi in presenza di dati, anche sui redditi, che attestano come i professionisti italiani e tra essi gli avvocati, producano una fetta sempre più rilevante del PIL del Paese, dando occupazione a migliaia di collaboratori e dipendenti. E’ quindi ora che si cessi di agire in modo tale da eludere i reali problemi oggetto di denunzia e dal provocare, nel contempo, discredito e vero e proprio odio sociale nei confronti dei professionisti e dell’avvocatura, parte sostanziale e sostanziosa del ceto medio produttivo del Paese, cui non vengono concessi né spazi pubblici, né occasioni di confronto diretto e reale per poter pacatamente spiegare le proprie ragioni. Gli avvocati, come può dettagliatamente leggere in tutti i numerosi documenti già sistematicamente e caparbiamente da noi rimessi a mani del governo, ancorché rimasti verosimilmente del tutto disattesi, protestano nell’interesse dei cittadini e anche di chi non lo è, per la tutela dell’indipendenza della professione, perché un avvocato sia legato solo al suo cliente e non ad altri, perché non venga compromesso il livello etico della loro professione mentre qualcuno vorrebbe far prevalere le leggi economicistiche su quelle morali, per la effettività della difesa dei diritti dei non abbienti (quelli la cui difesa è compromessa dalle ultime scelte legislative), per l’efficienza della giustizia, per ottenere rapidamente una vera riforma della professione, che la adegui opportunamente ai tempi senza perdere né snaturare i valori della difesa della persona. I professionisti e gli avvocati italiani sono scesi in piazza perchè ritengono sia venuta l’ora di spiegare al paese a chi giovano veramente, al di là dell’ingannevole slogan del “cittadino-consumatore”, le riforme, sia attuate che in cantiere, in modo che tutti sappiano chi viene e verrà favorito dai cambiamenti proposti. E’ ora di spiegare i rischi per la tutela dei diritti insiti in un percorso riformatore che, con azioni e con omissioni, spinge il Paese verso una giustizia a due vie, una inefficiente per la normalità delle persone (il “90%” degli italiani da Lei citato) ed una ben diversa e ben più efficace e rapida per una ristretta minoranza e per i grandi potentati. E’ ora di spiegare al paese i rischi di derive che rispondono ai desiderata di oligopoli economici, che com’e’ noto perseguono logiche di profitto non necessariamente compatibili con i principi ed i valori della Carta Costituzionale, e che vogliono mettere mano sul “valore aggiunto” dei servizi legali, non certamente per fornirne di migliori a minor costo, ma unicamente per spostare i redditi che da tali servizi si traggono, in netto aumento rispetto a quelli prodotti dalla produzione e commercializzazione di beni, dalle categorie professionali ai settori capitalistici. E’ ora di riconoscere, senza pregiudizi di sorta, che gli avvocati chiedono che sulla giustizia si inizi a ragionare seriamente e pacatamente, senza slogan, e soprattutto senza riduzione di stanziamenti. E’ ora che si metta in condizione il Ministro di Giustizia di non dire pubblicamente che non andrà a Strasburgo a spiegare perché l’Italia non faccia niente per migliorare l’efficienza della giustizia perché non saprebbe cosa dire e che, per comprensibile vergogna, vi manderà un sottosegretario a fare da “parafulmine”. E’ ora che si smetta di ridurre drasticamente i fondi destinati alla giustizia tanto da far gridare anche alla magistratura, ai dirigenti degli uffici, allo stesso personale amministrativo, in una con gli avvocati che così facendo il sistema giustizia non sarà in grado di assicurare neppure più l’attuale livello, invero misero, di efficienza e produttività. Gli avvocati non hanno manifestato per opporsi, “in fondo, a determinati principi contabili e a certi metodi di pagamento, come i bonifici elettronici, che limitano la possibilità di frode”, come si riscontra nella richiamata intervista. Non è vero e Lei ben lo sa. Non è vero che gli avvocati “non manifestavano per problemi concreti, ma contro l'obbligo di presentare una contabilità chiara e di pagare le imposte corrispondenti ai propri guadagni”. Non è vero e Lei ben lo sa. Ha detto che il suo “grande avversario è la cultura della frode”. Vale anche per gli avvocati, la cui più grande avversaria in questo momento è la cultura della frode nell’informazione da taluni messa scientemente in atto. Comprenderà che siamo stanchi di essere additati come evasori istituzionali e causa dei mali del paese. Gli avvocati sostengono del tutto volontariamente e con denaro proprio notevoli costi per contribuire al funzionamento della macchina giudiziaria, fornendo personale, macchinari e generi di consumo. Gli avvocati da tempo chiedono che le loro parcelle professionali siano almeno parzialmente deducibili dal reddito, questo per favorire realmente e direttamente il cittadino cliente, ma anche per far venir meno l’attuale situazione, che fornisce a taluno un comodo alibi per considerarli evasori. Mai hanno ricevuto risposte al riguardo. E perché non consentire ai cittadini assolti in un processo penale in cui sono stati trascinati infondatamente da un organo dello Stato, oltre alla deduzione integrale delle spese legali sostenute per potersi difendere, di poter recuperare l’IVA relativa? E’ morale una “tassa” sulle assoluzioni? Gli avvocati, anche su questo, sono pronti a discutere e confrontarsi, seriamente, serenamente e pacatamente. Perché non farlo? Si ha paura della forza delle idee? Una maggioranza che si è presentata al Paese come liberale, aperta, pronta alla concertazione, dalla quale ci aspettavamo molto di più – e molto di più ci è stato promesso in campagna elettorale – ha il dovere di ascoltare le forze sociali e produttive del Paese e di comprendere il loro disagio. Confido, quindi, che vi possa essere un opportuno ripensamento sul metodo con il quale intrattenere positivi e costruttivi rapporti con i professionisti e con l’avvocatura, che non mortifichi le categorie, ma anzi sappia cogliere i contributi, di esperienza e di conoscenza, che esse sono in grado di apportare. Nel restare a disposizione per il più volte richiesto tavolo di confronto su tutti i temi, e nel richiamare i contenuti della precedente mia, inviataLe senza riscontro il 27 marzo scorso, porgo rispettosi ossequi a Lei e all’Istituzione che rappresenta. Michelina Grillo Roma, 16 ottobre 2006 |