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GIUSEPPE CORONA
(Consigliere Tesoriere Ordine Avvocati Salerno)
- IL FARO ED OLTRE -
Ai passanti pareva una sezione di cono, come da vecchie rimembranze del liceo. Poi, alla vigilia di S. Matteo, ecco spuntare sui giornali il suo vero nome, si chiamerà “Faro della Giustizia”… No, non mi addentro sul giudizio estetico dell’opera, e lascio ad altri disquisire sulla scelta dei marmi e se può essere considerato un lavoro “straordinario”. Mi sorprendeva solo la scelta del “Faro” quale testimone della nuova Cittadella che verrà. E mi soffermavo se davvero poi sia stata una scelta felice quella della intermittenza, quella del buio alternato alla luce? La Giustizia, e non per facile retorica, l’ho sempre immaginata illuminata, visibile, presente, sempre e dovunque. E quella scelta allora? E nemmeno poteva e doveva essere un punto di riferimento messo lì per richiamare la sua attenzione, che deve lampeggiare per essere meglio scorto da utenti e naufraghi. La Giustizia o, meglio, la sua funzione, dovrebbe essere discreta, deve agire senza flash: lo spettacolo si svolge altrove, altrimenti diamo ragione al dott. Borrelli ed il suo pool. Per ultimo, altro elemento negativo che mi faceva sospettare di quel simbolo messo a guardia del Palazzo, era il colloquio tra due carabinieri che controllavano la sirena sulla lucente Alfetta e uno dei due, a specifica domanda, rispondeva: “funziona, non funziona…” Ma se partiamo “a singhiozzo”, se dobbiamo attendere il passaggio del fascio di luce che scopre e mette bene in vista, allora il piede non è quello giusto. Davvero si inizia male. Con queste considerazioni, sulla opportunità di quella scelta, sono partito per il nostro congresso a Roma. La realtà della Capitale era ben diversa, avvocati tesi, magistratura assente e politici pure. Non abbiamo per nulla sentito la mancanza dell’altalenante sig. Ministro della Giustizia, tutto preso dal suo ultimo silenzio e neppure abbiamo sofferto troppo nel non vedere le nostre posizioni tutelate da chi si presenta solo per accaparrarsi gli applausi congressuali. C’eravamo solo noi: una base oltraggiata, delusa, amareggiata, spinta da forti giusti moti di ribellione se non di vendetta, e un vertice dell’avvocatura per lo più sognante, troppo distolto dai veri problemi che oggi affliggono l’intera classe. Il tema congressuale era lontano anni luce dalla nostra lunga astensione, eppure in questo congresso si è parlato solo di quello, dello stramaledetto decreto Bersani e di quanto esso ha snaturato la nostra professione. Una mano l’abbiamo avuta pure dalla commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero che, in pieno congresso, ha inteso notificare l’erogazione della sanzione di 25.000,00 euro all’OUA., così compattando, anche se solo per qualche ora, i nostri ranghi ed accorciando quindi le distanze tra la base ed il sonnacchioso vertice. L’epilogo, a parte l’unica posizione decisa assunta proprio dall’Ordine di Salerno: “prosieguo dell’astensione fino al dodici ottobre (data della manifestazione nazionale)”, era già sostanzialmente scritto dai vertici. Un collega di Firenze, molto amico di ci affossa, addirittura ha proposto di manco sottolineare troppo la nostra indignazione contro questo governo. Fortunamente il suo progetto, dopo un voto per appello nominale dei delegati, è andato in malora. Altre proposte di “ribellione”, avanzate dai nostri rappresentanti nazionali, ai più e me compreso, sono apparse così tenui se non risibili. Si passava dal giorno di consulenza gratuita ai nostri clienti (provvedimento questo poi approvato dall’assemblea), quasi come se questa non fosse la regola, alla lettura di comunicati dell’OUA ai clienti che mettevano piede nel nostro studio. Immaginavo la faccia atterrita del professore di filosofia Bersani allorquando avrebbe appreso che noi andavamo a leggere al capo cantoniere del cilento cosa voleva dire e la portata stessa del “divieto di patto di quota lite”. L’incidenza vacua di queste proposte appare “ictu oculi” tanto che non vale la pena soffermarsi oltre. Il documento finale di astensione a scacchiera ha lasciato a tutti l’amaro in bocca ma solo chi ha vissuto quei momenti congressuali si rende conto che più avanti di così non si sarebbe potuto andare. Siamo quindi rientrati con le pive nel sacco, senza aver ottenuto nemmeno di essere ricevuti dal funzionario ministeriale di turno, carichi di rabbia, impotenza, ma sempre più animati da forte spirito di protesta che parta, stavolta, dalla base. Sono ripassato di sera sul ponte di via Cacciatori dell’Irno. Il Faro, a tratti, illuminava la ancora acerba costruzione. Dopo l’esperienza romana mi accontento di questo e ringrazio l’Amministrazione Comunale per questi sprazzi di luce che, altrove, mancano del tutto. Salerno, 29 settembre 2006. Giuseppe Corona |