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GIUSEPPE VALENTI
(Ufficio Studi dell'OUA)
Cade l'inderogabilità, ma le tariffe restano applicabili.
Tariffe punto e a capo. L'accordo delle parti non vale più e Bersani così sbaglia il tiro. Il senato, infatti, nel tentativo di rimediare al caos che si era determinato dopo la prima versione dell'art. 2 del decreto Bersani, dove la soppressione pura e semplice delle tariffe aveva privato dei parametri di riferimento sia i giudici che dovevano procedere alla condanna alle spese, sia le amministrazioni appaltanti che dovevano determinare i compensi professionali, ha profondamente modificato il testo dell'intervento legislativo, ma così facendo ne ha completamente stravolto la ratio, producendo un revirement quasi integrale rispetto alle intenzioni dichiarate dal governo. Testo che peraltro è stato confermato ieri dalla camera che ha approvato la fiducia sul dl 223. Se infatti l'obiettivo era quello di sostituire nella determinazione del compenso il sistema delle tariffe predeterminate con la libera contrattazione tra professionista e cliente, esso è da considerarsi in gran parte fallito. Nella formulazione approvata in sede di conversione, infatti, non si abrogano le tariffe, ma solo la loro vincolatività, e anche quest'ultima, come vedremo appresso, solo fino a un certo punto. Così, per effetto dell'ultima parte aggiunta all'art. 2 del decreto, in caso di condanna nelle spese e in quello di liquidazione dei compensi per le prestazioni di gratuito patrocinio, le tariffe professionali saranno ancora vincolanti per il giudice, come pure per le amministrazioni appaltanti nel determinare i compensi professionali nei lavori pubblici. Ciò in materia di spese legali ha però alcuni corollari. Il primo è l'impossibilità per chi vince una causa di ottenere un rimborso delle spese corrispondente a quanto già pattuito col professionista, ove la somma pattuita non sia stata determinata applicando le tariffe. Il secondo è che, se il compenso dell'avvocato non fosse pattuito per iscritto, esso dovrebbe comunque essere determinato con riferimento alle tariffe, esattamente come prima del decreto Bersani. Tale è il risultato della nuova formulazione dell'art. 2 di quest'ultimo combinato con l'introduzione del nuovo III comma dell'art. 2233 c.c., il quale prevede l'obbligo della forma scritta per le pattuizioni dei compensi tra avvocato e cliente, a pena di nullità. Infatti, con la nuova formulazione data dal senato al comma 1 lett. a) dell'art. 2 del decreto Bersani, non è più possibile ritenere l'abrogazione implicita del I comma dell'art. 2233 c.c. nella parte in cui esso si riferisce alle tariffe come criterio per la determinazione dei compensi in assenza di determinazione pattizia. Innanzi tutto perché nel testo convertito l'abrogazione non è più diretta alle norme che stabiliscono le tariffe, ma a quelle che ne sancivano l'inderogabilità. Tale indirizzo interpretativo è ulteriormente confermato dal fatto che il legislatore è intervenuto esplicitamente sull'art. 2233 abrogando e sostituendo il III comma, ritenuto incompatibile con la nuova disciplina: se avesse perciò voluto eliminare ogni altro riferimento alle tariffe, avrebbe modificato anche il I comma. Infine, la volontà legislativa di mantenere valenza alle tariffe in tutti i casi in cui non vi sia o sia esclusa la pattuizione tra le parti è confermata dalla parte finale aggiunta al comma 2 del medesimo art. 2 del decreto. Che cosa accade quindi, in materia di tariffe e patto di quota-lite, ora che il decreto è definitivamente convertito nel testo licenziato dal senato? a) Le tariffe forensi non sarebbero soppresse, ma diventerebbero derogabili con patto scritto tra cliente e avvocato, pur restando vincolanti per i giudici nei provvedimenti di condanna alle spese e nelle liquidazioni dei compensi per il patrocinio a carico dello stato; b) Ove non vi fosse alcun patto scritto tra cliente e avvocato, sarebbero comunque le tariffe a determinare il compenso, in base all'ordine gerarchico contenuto nell'immutato e redivivo I comma dell'art. 2233 c.c.; c) Il divieto del patto di quota lite è sicuramente abrogato, ma tale patto deve essere formalizzato per iscritto, non essendo previsto dalla tariffa professionale. Se proviamo a leggere in chiave di analisi economica del diritto l'impatto sul mercato di a) b) e c), arriviamo a conclusioni paradossali rispetto agli obiettivi dichiarati dal governo al momento dell'emanazione del decreto. La prima e più evidente è che per il singolo cittadino-consumatore nella migliore delle ipotesi non cambia nulla, e nella peggiore è più debole di prima. La sopravvivenza delle tariffe e soprattutto la loro applicabilità in mancanza di determinazione patrizia non incentiva certo le pattuizioni in deroga, se non quando queste ultime oltrepassino i massimi o nel caso di patto di quota-lite. Va infatti considerato che di norma il cliente persona fisica che si rivolge al professionista è in stato di bisogno, se non economico, certamente psicologico, il che ne fa per definizione un contraente debole, per cui quello del quisque de populo che possa convenire con l'avvocato un compenso inferiore al minimo tariffario resta una possibilità soltanto teorica, o meglio, affidata al buon cuore del professionista. Né in tale prospettiva il patto di quota-lite può favorire, nella stragrande maggioranza dei casi, il singolo cittadino-consumatore, soprattutto se gli interessi che deve far valere sono di valore economico modesto o comunque non elevato. La seconda conclusione è che gli unici oggettivamente avvantaggiati da una tale normativa sarebbero i grandi committenti di lavoro seriale (banche, assicurazioni, società di recupero crediti, ecc.) cioè quei soggetti economici forti, rispetto ai quali è il singolo professionista ad assumere la veste di contraente debole, cui possono essere così imposte condizioni economiche assai inferiori ai minimi tariffari, col paradossale risultato che la medesima difesa al cittadino comune costerà in concreto assai di più che a Capitalia, Unipol o Castello Gestioni, tanto per citare qualche nome a caso. La terza conclusione e che con questi provvedimenti si renderebbero inattendibili gli studi di settore sin qui compilati per i professionisti, fondati sulla sussistenza di tariffe inderogabili che attualmente legittimano la presunzione di alcuni compensi minimi, mentre contemporaneamente col patto scritto in deroga si fornirebbe un alibi inattaccabile agli evasori. Benché la risposta esuli da questa trattazione, viene spontaneo domandarsi, a questo punto, se tali esiti valgano il conflitto sociale scatenato col mondo professionale. 03/08/2006 |