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GIUSEPPE DI GENIO (AVVOCATO - DOCENTE UNIVERSITA' DI SALERNO) L’ INDENNITA’ DI FUNZIONE “PIENA” DEL GIUDICE ONORARIO AGGREGATO AL VAGLIO DELLA CONSULTA
Sezioni: FOCUS
Autore Avv. Celia
Data di pubblicazione 11/04/2006


Con la sentenza n. 220 del 2005 la Corte Costituzionale si è soffermata, per la prima volta, sulla struttura indennitaria di una particolare categoria della magistratura onoraria, il Giudice Onorario Aggregato (noto anche come G.O.A) previsto nelle c.d. Sezioni Stralcio dalla legge n. 276 del 22 luglio 1997 .
In particolare la sentenza si è soffermata su una disposizione apparentemente innocua sul piano dell’attività delle Sezioni Stralcio, di solito commentata in modo alquanto laconico, ovvero sull’art. 8 della legge n. 276 del 1997, rubricata “Disposizioni per la definizione del contenzioso civile pendente: nomina di giudici onorari aggregati e istituzione delle sezioni stralcio nei tribunali ordinari”, laddove prevedeva al comma 3 che l’indennità fissa, spettante al magistrato onorario, venisse ridotta del 50 per cento qualora il giudice onorario aggregato fosse titolare di un reddito da lavoro autonomo, da lavoro subordinato o da pensione superiore a vecchie lire 5 milioni lordi mensili.
Sul piano strettamente costituzionale la questione di legittimità risulta interessante per sciogliere il nodo gordiano della scelta costituente, il legame quasi simbiotico, segnalato già dal giudice remittente e ripreso dal giudice ad quem, tra l’art. 3 e l’art. 53 della Costituzione, quasi come se l’uno divenisse una costola dell’altro, in particolare come se il principio di progressività, sancito dall’art. 53 della Costituzione con specifico riferimento alla materia tributaria, divenisse, nella specie, specifico corollario ovvero criterio per la misurazione dell’applicazione del principio di ragionevolezza nella fattispecie in esame.
In realtà, la Corte ha da tempo sottolineato che il precetto enunciato nell’art. 53, primo comma, Cost. deve essere interpretato quale specificazione del generale principio di eguaglianza, nel senso che a situazioni eguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e correlativamente a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale . Nondimeno la Corte ha da tempo affermato che suddetto principio riguarda il sistema tributario nel suo complesso e non i singoli tributi .
La Corte, nella parte motiva, per la verità alquanto stringata, quasi che il (ritenuto in) fatto fosse più importante e determinante del punto di diritto, opera il suo sindacato e dichiara l’illegittimità sulla base di un giudizio di ir-ragionevolezza ben determinato ovvero riferito al fatto che non si considera, nel caso di specie, al fine della determinazione dell’indennità, “l’intera situazione reddituale risultante dalla dichiarazione dei redditi dei giudici onorari aggregati, ma solo quella riferibile a redditi da lavoro o da pensione, in tal modo rendendosi non coerente con la ratio, ad essa evidentemente sottesa, di garantire una indennità di importo maggiore solo a chi già non goda di altri redditi di livello adeguato, ben potendo il superamento della soglia reddituale, discrezionalmente individuata dal legislatore, conseguire al cumulo dei redditi di lavoro o da pensione con redditi di altro genere ovvero essere determinata esclusivamente da questi ultimi”.
In realtà la Corte sembra discostarsi dai meccanismi di cui all’art. 3 Cost. attraverso l’uso di un giudizio di ragionevolezza basato sostanzialmente sull’escamotage dell’ incoerenza con un controllo di legittimità “volto a stabilire se tra le varie manifestazioni normative nella stessa materia e quella denunziata esista una congruità dispositiva o, invece, vi siano contraddizioni insanabili”.
In tale direzione il difetto di ragionevolezza si configura come un vizio non dell’atto ma che inficia il contenuto dell’atto stesso aggredito attraverso il penetrante profilo di un sindacato di tipo materiale sulla illegittimità costituzionale della legge laddove diretto a sottolineare l’incoerenza sistematica della disciplina adottata.
Resta così solo apparentemente impregiudicata la discrezionalità del legislatore ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 della legge n. 87 del 1953 secondo cui il controllo di legittimità costituzionale esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento. Vale comunque sottolineare che in tema di progressività del sistema tributario si avrebbe comunque la massima attenzione ed attuazione rimessa alla discrezionalità del legislatore .
Come è stato posto in rilievo nel dibattito della dottrina il giudizio di ragionevolezza diviene sostanzialmente un giudizio di merito sulle scelte discrezionali del legislatore, che non può non penetrare nelle scelte politiche del legislatore laddove controlla appunto la ragionevolezza dell’apprezzamento legislativo in corrispondenza delle norme costituzionali che fungono da parametro e dei contesti applicativi .
Di talchè, sottolinea la Corte, la modulazione della misura dell’indennità in funzione inversa rispetto al reddito dell’avente diritto non è di per sé lesiva dell’art. 3 della Costituzione, né sotto il profilo della ragionevolezza né con riferimento al principio di eguaglianza, essendo quello reddituale elemento di per sé idoneo a diversificare le situazioni soggettive degli aventi diritto ad una prestazione economica di natura indennitaria.
In altri termini, ciò che rileva ai fini indennitari non è il calcolo differenziale bensì la mancata inclusione nel computo dell’intera situazione reddituale risultante dalla dichiarazione dei redditi dei GOA comprensiva non solo dei redditi da lavoro o da pensione ma anche di qualsiasi altro genere, che potrebbe risultare addirittura prevalente.
Ma vi è di più. La sentenza in commento riveste importanza in quanto consente di svolgere anche alcune considerazioni su di una parte della magistratura onoraria per così dire marginale, relegata nel rito del vecchio codice di procedura civile, un rito, per così dire, “quasi subito”, naturalmente ex lege, dalle parti processuali di ieri e di oggi.
In tale direzione, è come se il legislatore mostrasse le proprie attenzioni solo su di una parte della magistratura onoraria (i giudici onorari nel ritenuto in fatto della sentenza in esame sono definiti addirittura come funzionari onorari) che, invece, complessivamente intesa, trova il suo fondamento giuridico nel combinato disposto di cui agli artt. 102 e 106 Cost.
Ciò è tanto più vero ove si consideri che le maggiori attenzioni istituzionali vengono riservate, anche dallo stesso C.S.M., prevalentemente ai giudici di pace, ai vice procuratori onorari ed ora recentemente ai giudici onorari di tribunale, per sopperire al disorganico legislativo della magistratura togata ed al disagio della giustizia in generale.
Basti pensare, in tal senso, che la maggior parte delle circolari del C.S.M. sono dedicate a queste figure, solo in minima parte ai G.O.A.
Analogamente la maggior parte dei corsi di aggiornamento, a livello nazionale, della magistratura onoraria prevede la partecipazione, attraverso determinati meccanismi di scelta, diciamo così a campione (in realtà sulla base delle disponibilità personali attraverso una apposita Commissione distrettuale) solo per le tre figure precedentemente richiamate, quasi sempre rappresentate.
Sembra così che il Giudice Onorario Aggregato debba vivere nel limbo di un codice oramai superato ed operare unicamente secondo le vecchie regole senza necessità di una qualsiasi forma di prospettazione futura (è fondamentalmente un giudice a termine ma anche, si potrebbe dire, forzando un ben noto riferimento cinematografico, ora addirittura istituzionale, una sorta di “terminator della giustizia”) e di aggiornamento professionale istituzionale trattandosi di una funzione, per cosi dire, arcaica e vetusta, legata alle regole del passato, non poste ma imposte dalla necessità come soluzioni di ingaggio di un processo civile oramai in disuso.
Tali regole, tra l’altro, risultano ampiamente superate anche con la recente riforma del codice di procedura civile di cui alla legge n. 80 del 2005, per cui la figura onoraria in discussione appare estranea alle proiezioni future ed il passo con i tempi viene garantito esclusivamente dallo stato della singola coscienza personale e dalla singola curiosità scientifica ed intellettuale. In altre parole non si ritiene che i giudici onorari aggregati, con il proprio bagaglio di esperienza, soprattutto forense, possano rappresentare una risorsa importante da valorizzare in un futuro prossimo, ad esempio ipotizzando l’istituzione stabile di Sezioni Stralcio dei Tribunali ordinari cui scaricare, di volta in volta, inevitabilmente, il c.d. arretrato, sulla scorta della previsione di cui al secondo comma dell’art. 102 Cost. che potrebbe essere richiamato ad hoc quale fondamento di tale previsione, nella parte in cui dispone che possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. Non a caso, storicamente, non si è mai fatto a meno, anche in Italia, sulla falsariga di altri modelli comparati, della magistratura onoraria, espressamente richiamata nel regio decreto del 1941. Nondimeno, all’interno delle Sezioni Stralcio, soprattutto nella prima fase di attuazione, hanno operato gli stessi giudici togati e le funzioni di Presidente della Sezione Stralcio sono, anche attualmente, affidate ad un giudice togato.
Ma vi è ancora qualcosa di più. Basterebbe, in realtà, ragionare ed adattare nella nuova riforma dell’ordinamento giudiziario una visione unitaria, organica, della magistratura onoraria (attualmente carente) nelle sue diverse sfaccettature: ad esempio, equiparare, non solo fini della scelta dei rappresentanti della categoria nella partecipazione ai corsi di aggiornamento nazionali, in particolare nel rito civile, la posizione del GOA (vecchio rito) a quella dei GOT e dei GDP (nuovo rito), con opportune forme (e formule) di interscambio, soprattutto in vista non solo dell’ulteriore smaltimento dell’arretrato, che potrebbe comportare paradossalmente l’applicazione del nuovo rito, ma anche della quasi inevitabile prorogatio delle Sezioni Stralcio e proroga dei GOA in scadenza, di cui si è dapprima vociferato nel dibattito collegato alla finanziaria 2006 e poi preso atto con il c.d. decreto milleproroghe n. 273 del 30.12.2005 .
La figura del GOA nel vecchio rito, d’altronde, è molto simile, a quella del GDP nel nuovo rito e in parte dello stesso GOT (al di là della sua maggiore competenza per sentenza laddove invece il GOT opera fondamentalmente per udienza), laddove subsidia ovvero riveste una valenza indubbiamente sostituiva, appunto anche per sentenza, dell’enorme carico spettante al giudice togato.
In tale direzione, la sentenza in esame, al pari dell’ordinanza della Corte n. 130 del 2002 e della sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 299 del 2005, è interessante in quanto, al di là del profilo indennitario, pur rilevante, ma alquanto sottostimato nei primi commenti della dottrina, consente di confermare che l’istituzione delle Sezioni Stralcio e dei GOA è stata una scelta costituzionalmente corretta.
La stessa consente di recuperare una serie di riflessioni su questa importante figura semi-giurisdizionale, di matrice laica e professionale, che tratta nei Tribunali unicamente quelle che vengono definite come le vecchie cause, abbandonate da uno o più giudici togati, secondo il vecchio rito richiamato nella legge istitutiva delle Sezioni Stralcio, più volte menzionata.
L’art. 8 della legge richiamata diviene, in realtà, la cartina di tornasole per dare corso ed un primo input ad un dibattito sulla stabilizzazione, anche alla luce di un dato costituzionale, comunque rintracciabile, di un giudice onorario che non deve essere considerato necessariamente a termine perchè ha contribuito, nel bene e nel male, allo smaltimento dei “rifiuti processuali” ed allo snellimento della stessa organizzazione giudiziaria.
La stabilizzazione della figura del GOA (rectius: delle Sezioni Stralcio), considerata nella complessa tipologia della magistratura onoraria presente in Italia, potrebbe rappresentare anche un motivo ulteriore ed un modello, alquanto originale, da seguire nel percorso di riavvicinamento tra sistemi di civil law e common law.
E’ indubbio, allora, che nello spirito della Costituzione le categorie onorarie richiamate andrebbero sicuramente equiordinate dal punto di vista funzionale ovvero equamente rappresentate in tutte le sedi istituzionali, con forme opportune di interscambio, necessarie al vaglio ragionevolmente celere dell’iter processuale. Appare, infatti, indubbio che anche i GOA concorrano alla realizzazione ovvero rappresentino una espressione implicita, perché all’epoca previgente, della realizzazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost.
Un modello da seguire potrebbe essere quello, ad esempio, assunto dall’attuale composizione delle Commissioni per la formazione della magistratura onoraria previste in ogni distretto di Corte di Appello (di cui alla circolare del CSM dell’8 aprile 2004), in cui sono rappresentate tutte le categorie giurisdizionali, l’avvocatura, la magistratura togata e la magistratura onoraria considerata giustamente in tutte le componenti più volte richiamate (GDP, VPO, GOA e GOT).
Nulla poi esclude, con il completamento della riforma dell’ ordinamento giudiziario in corso (quella del 1941 si soffermava sulla magistratura onoraria, quella attuale sembra sorvolare sulla stessa), la possibilità di intervenire, in sede di riforma delegata, anche ricavando alcuni principi e criteri direttivi attraverso una interpretazione estensiva della delega di cui alla legge n. 150 del 2005 ovvero calando direttamente il quadro costituzionale di riferimento, in particolare alla luce degli artt. 102, secondo comma, e 106 Cost., nei decreti legislativi delegati.
Il percorso delegato (ad esempio dedicando uno specifico ed apposito decreto legislativo delegato alla magistratura onoraria) nella riforma dell’ordinamento giudiziario potrebbe raggruppare, nel rispetto della delega madre e nello spirito costituzionale, tutta la categoria della magistratura onoraria (il giudice onorario tout court inteso), sia pure con l’assegnazione di diverse funzioni ex art. 107, terzo comma, Cost., più o meno corrispondenti a quelle appena richiamate (ma anche con ipotesi di interscambio), cercando così di uniformare i diversi profili attualmente previsti, ad esempio quelli sul piano della durata temporale e quelli relativi all’aspetto indennitario, trattato nel caso di specie, evitando, così, picchi di convenienza economica nella scelta e nel passaggio da una funzione onoraria all’altra per la definizione del processo civile. Verrebbero, in questo modo, ad essere superate anche soluzioni, di volta in volta, tampone, ad esempio attraverso la decretazione di urgenza ovvero lo scudo annuale finale della legge finanziaria. Non a caso la proroga dell’incarico in scadenza di una parte dei giudici onorari aggregati in servizio è stata riproposta dal Governo, come nel 2004, attraverso il decreto legge c.d. milleproroghe n. 273 del 2005, successivamente convertito in legge. Nondimeno continua a non esservi traccia della magistratura onoraria nel recente percorso di riforma dell’ordinamento giudiziario, rispetto al dato del 1941, addirittura previgente il quadro costituzionale di riferimento.

Avv. GIUSEPPE DI GENIO
PROFESSORE ASSOCIATO DIRITTO COSTITUZIONALE COMPARATO
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITA’ DI SALERNO
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