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* PROCESSO AL PROCESSO. Il Corpo elettorle non è un giudice.* di Enrico Tortolani * * *
La ricerca della verità. E' ora che ci poniamo la domanda: qual'è lo scopo del processo. In tutti i campi della giurisdizione. Dal civile all'amministrativo. In campo tributario, ed infine - in quello che è all'attenzione di tutti - nel settore penale. Le parti che si scontrano nel processo, in qualunque processo, si scontrano per fa valere una propria posizione di diritto, secondo regole prestabilite dall'ordinamento. Il cittadino percepisce più facilmente il concetto di processo a parti contrapposte, se si parla di cause civili, o anche amministrative e tributarie. C'è una pretesa, un credito, un qualunque diritto da far valere, e si ricorre al giudice per ottenere una condanna. Questa visione, invece, nella percezione comune, si sfuma quando ci troviamo dentro al processo penale. Il cittadino fa fatica a percepire che una parte è lo Stato, e l'altra l'imputato. Ed è difficile spiegarsi come la pretesa punitiva corrisponda alla domanda di tutela di un bene giuridico, cui le nostre leggi, e prima fra tutte la Costituzione, riconnettano un particolare valore, che consente, in caso di lesione del bene, la irrogazione della massima sanzione: la pena della privazione della libertà personale (o comunque ad essa assimilate, aventi riflessi sul patrimonio: multa o ammenda). Tuttavia anche qui lo scopo è la ricerca della verità. Ma quale verita? La verità assoluta ? E' vero ciò che è, oppure è verò ciò che sembra. E' evidente che la verità assoluta è impossibile da perseguire. E la verità relativa, quella che sembra a ciascuno, è del tutto ininfluente in quanto soggiace alle regole delle opinioni e con esse nasce e muore ogni giorno. La politica è la regina delle opinioni, e mal si adatta alla Ragione, invece piegandosi alle ragioni che ognuno può o sa spiegare, senza alcun vincolo di oggettività. Nel processo penale lo Stato pretende la punizione di un comportamento che, già prima che fosse attuato, doveva essere previsto come illecito. E' la verità di quel fatto non è la verità storica, non è quella che ognuno può percepire, direttamente o indirettamente, ma quella che si evince dalle carte processuali. E così accade che il cittadino con comprenda una sentenza di condanna, oppure non condivida una assoluzione. Il comune sentire non è sufficiente a spiegare le motivazioni di un tribunale e nemmeno i ragionamenti svolti da avvocati e pubblici ministeri, con le regole tecniche e garanzie asservite allo scopo di delimitare il campo di azione del giudice penale, per evitare l'abuso di quella sanzione massima, la privazione della libertà. Ecco quindi che il sistema penale si modula, seguendo un disegno dettato dalla nostra bella Costituzione, in fasi e gradi di giudizio, con impugnazioni ed appelli, finendo solo con il vaglio della Cassazione, giudice della legittimità. In questo percorso, quando l'imputato vuole far valere le proprie ragioni, denuncia la presunta patologia di sentenze di condanna poi riformate o annullate. Se invece si deve far valere la Ragione, le successive sentenze di segno contrapposto non sono altro che l'efficace perseguimento della ricerca della verità processuale, attraverso fasi e gradi, fino al raggiungimento dell'ultimo definitivo stadio, che cristallizza una decisione. Per un imputato, ancorchè eccellente per le sue condizioni soggettive ( e qui il richiamo al personaggio contemporaneo è evidente) l'assoluzione è sempre una vittoria, e legittimamente può esultare ed anche denunciare i vizi di una precedente condanna. Per un personaggio pubblico, però, proprio per la sua particolare condizione soggettiva e la sua rilevanza nelle istituzioni di un paese, anche un'assoluzione può essere una sconfitta. Specie se dal processo escono fatti accertati che, sebbene costituiscano una verità impeditiva a fondare un giudizio di colpevolezza e la conseguente condanna, abbiano invece una rilevanza etica impeditiva, questa, per chiunque di essere destinatario di delega ad occuparsi del bene comune nelle istituzioni di un paese moderno ed eticamente orientato. Ed il corpo elettorale non può essere chiamato a pronunciarsi, quale giudice supremo, sulla legittimità di queste manchevolezze, poiché non avrebbe la caratteristica della terzietà che a qualunque giudicante è richiesta, e che qualunque giudicabile legittimamente invoca. |