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ROBERTO CASTELLI
Ministro della Giustizia
UN ORGANO SPECIALE CONTROLLI I MAGISTRATI
RELAZIONE AL SENATO PER L'INAUGURAZIONE DEL NUOVO ANNO GIUDIZIARIO - 17 gennaio 2006 -
(...) Il nostro Paese ha sofferto e soffre ancora, come dimostrano alcuni recenti avvenimenti e le polemiche stesse che hanno accompagnato il tormentato iter di questa riforma, di un rapporto tra i tre fondamentali poteri dello Stato non equilibrato. Come è ormai storia, il culmine di questo squilibrio è stato raggiunto nella prima metà degli anni 90, quando vasta parte della classe politica fu delegittimata dall’azione della magistratura. Non è questa la sede per analizzare il fenomeno e per darne giudizi storici o politici, ma solo, ci preme significare che quello fu il periodo probabilmente di massima subalternità del potere politico rispetto a quello giudiziario. Non possiamo però dimenticare il principio fondamentale che la nostra costituzione esprime al comma 2 dell’art. 1 “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Alla Costituzione dunque dobbiamo ispirarci per verificare come e in quali termini essa sancisca il dispiegarsi della sovranità popolare e quale sia, la formazione delle leggi. Riguardo a ciò non vi è il minimo dubbio che, secondo il dettato dell’art. 70 essa spetta alle Camere. Cioè agli eletti dal popolo. Ecco quindi il significato profondo della presenza del Guardasigilli oggi qui, in Parlamento. Davanti ai rappresentanti della sovranità popolare egli rende conto dell’attività del Governo relativamente alle competenze statuite dall’art. 110 della Costituzione. Viene ristabilita la centralità del Parlamento ed il riequilibrio dei poteri. Possiamo pertanto affermare, senza tema di smentita, che in occasione di questa seduta il tasso di democrazia del nostro Paese si accresce. Ma soprattutto, cari colleghi, dovete essere orgogliosi di aver raggiunto, con l’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, un risultato mai realizzato da alcun Parlamento prima di noi. E’ stato un cammino aspro, difficile, sofferto, ma possiamo dire con legittima soddisfazione che il Parlamento è stato capace, per la prima volta nella storia della Repubblica, di raggiungere questo fondamentale traguardo restando fedele alle proprie prerogative costituzionali, senza lasciarsi intimorire da lusinghe, minacce, scioperi. Azioni che possono prefigurare un tentativo di coercizione del Parlamento e, quindi della sovranità popolare, se lette in un quadro di insieme. Il ripristino e la difesa dell’equilibrio dei poteri, così come vuole il nostro dettato Costituzionale, dicevo. Questa è stata la stella polare a cui costantemente ho guardato in questi cinque anni, anche utilizzando appieno i poteri conferitimi agli art. 107 e 110. E’ un’azione che ho dovuto dispiegare diuturnamente, senza mai abbassare la guardia; molte e potenti sono infatti le forze che da sempre vogliono alterare questo equilibrio. Nel nostro Paese sono ancora forti le spinte oligarchiche, forti sono le spinte che vogliono sostituire, mi sia concesso un neologismo, la “dicastocrazia” alla democrazia. Esse sono presenti in Parlamento, nel Paese e anche in Europa. E’ della scorsa settimana il tentativo di condizionamento del Parlamento italiano da parte di dicastai anche stranieri, in alcun modo rappresentanti della volontà popolare. Ad essi rispondo con le parole di Locke: “Il potere legislativo non è solo il potere supremo della comunità politica, ma è anche sacro e inalterabile nelle mani nelle quali la comunità lo ha una volta collocato, e nessun editto di nessuna altra persona, quale che sia la forma in cui è concepito o il potere dal quale è sostenuto, ha la forza e l’obbligazione di una legge, se non riceve la sanzione del potere legislativo, che il pubblico ha scelto e designato”. Una delle armi più efficaci in mano ai nemici della democrazia è sicuramente quella relativa all’uso illecito delle intercettazioni. Non vi è alcun dubbio d’altra parte, che le intercettazioni telefoniche siano un’arma insostituibile per la lotta alla criminalità e al terrorismo. Ne siamo talmente convinti che il nostro Paese si è dato, con la legge 15.12.2001 N. 438, lo strumento più avanzato in UE, che è servito da guida per il recente raggiungimento dell’accordo sul testo europeo. Ma, come tutte le armi potenti, essa porta in sé il pericolo di arrecare gravi danni, se usata in modo scorretto. Due sono i problemi che abbiamo dovuto affrontare in questi anni. Il primo è il rischio di abuso di questo strumento, che sembra essere diventato il principale mezzo di indagine. Siamo infatti passati da 32.000 bersagli nel 2001 a 106.000 nel 2005 con una spesa aumentata da 126 milioni a 302 milioni di euro. Come si può notare essa però non è aumentata in modo proporzionale, poiché il Ministero si è attivato su questo fronte e, attraverso una serie di efficaci misure, il costo unitario medio giornaliero è stato ridotto da 80 a 20 euro, mentre quello di ogni bersaglio si è quasi dimezzato, passando da 5.165 a 2.842 euro. Peraltro, già nel gennaio 2004, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, denunciai l’aumento straordinario, che non ha uguali in tutto il mondo delle grandi democrazie, dell’uso di questo strumento, auspicando il ricorso ad esso solo nei casi in cui ve ne fosse effettiva necessità. Ancor più rilevante è la seconda questione, relativa all’uso distorto e alcune volte illegale delle intercettazioni telefoniche. Siamo da poco usciti da un periodo tormentato, in cui l’avviso di garanzia, nato al fine di tutelare l’indagato, era divenuto, se usato strumentalmente il mezzo principe per squalificare presso l’opinione pubblica il soggetto che si voleva colpire. In questi ultimi anni, sia perché la classe politica ha accresciuto la propria credibilità, sia per la conclamata infondatezza di alcune accuse, questo strumento non ha più impatto sull’opinione pubblica e si è pertanto passati ad un altro mezzo, che è quello della divulgazione delle intercettazioni, coperte dal segreto, da trasmettere a giornalisti complici. Questo meccanismo è assai efficace dal punto di vista mediatico perché si presta a ben due livelli di strumentalizzazione. Il primo è quello posto in essere dalla fonte, che passa spezzoni che gli interessano e cela quelli che ritiene opportuno non divulgare. Il secondo livello è quello adottato dal giornale che, a sua volta, decide cosa pubblicare e cosa no. Anche se, in sostanza, questa pratica è scevra da rischi, è comunque necessario commettere un reato, e allora, per evitare ciò, oggi si assiste all’uso di un altro strumento di squalifica più raffinato in quanto formalmente legittimo. Per un qualunque procedimento infatti, la motivazione è redatta ad libitum dell’estensore, che può alternativamente depositare tutto il materiale relativo alle intercettazioni, oppure depositare soltanto quelle parti di cui ha deciso di avvalersi in sede di motivazione, citando conversazioni, parti delle stesse o addirittura riassunti. Colleghi, qui entriamo sul terreno dei diritti fondamentali previsti dalla prima parte della Costituzione. Essi devono valere per tutti. L’art. 15 deve essere rispettato. Dobbiamo dire chiaramente, e spero che siate d’accordo, che occorre una condanna morale, prima che giudiziaria, contro la mala pratica della diffusione di intercettazioni. Le importanti questioni di cui sopra non ci hanno però impedito di tenere nella massima considerazione quello che, da molti anni, è il problema che grava nell’immediato sui cittadini italiani: l’eccessiva durata dei processi a cui consegue necessariamente quell’accumulo di arretrato che ho definito “debito pubblico giudiziario”. E’ questa un’occasione importante per cercare di ragionare con obbiettività e rigore scientifico su questo tema. Da anni vado ripetendo che, anche se divisi sui rimedi, occorre trovare un terreno comune su cui ragionare. Il Ministero, da parte sua, ha fatto un grande sforzo di chiarezza potenziando la raccolta e l’elaborazione di dati affinché fossero il più possibile attendibili ed esaustivi. Compito non facile, atteso che essi vanno raccolti da 1.601 uffici giudiziari diversi. Tre sono le cause principali percepite come causa dell’insoddisfacente funzionamento della giustizia italiana: - l’inadeguatezza delle risorse - la scarsa efficienza - la normativa obsoleta. Prima di addentrarci nella disamina di questi aspetti, auspico che vengano abbandonati i pregiudizi, le lenti ideologiche e deformanti, le ragioni propagandistiche e che si possa esaminare la situazione per quella che è, e non per quella che si vorrebbe che fosse. I dati, nella loro oggettività, parlano chiaro. Essi ci aiutano nella diagnosi. Se infatti una diagnosi corretta può farci sperare in una cura efficace, di certo una sbagliata o distorta non ci può dare nessuna speranza di successo.(...) Fin da subito siamo stati consapevoli che, al fine di intervenire efficacemente sui ritardi della giustizia italiana, occorreva dispiegare molte energie per introdurre, sia nell’organizzazione dell’esercizio della giurisdizione, sia nella macchina ministeriale, una mentalità nuova volta all’eliminazione degli sprechi, al contenimento della burocrazia, alla cultura dell’efficienza, ad una maggiore agilità della struttura. Su questo fronte abbiamo incontrato le stesse fortissime resistenze che abbiamo dovuto affrontare in sede di azione legislativa, in questo caso aggravate da un’azione di controllo esasperato da parte della Corte dei Conti sull’attività del Ministero che, a mio avviso, in alcuni momenti ha assunto aspetti che hanno travalicato le usuali funzioni di controllo. Mi rendo conto di fare un affermazione impegnativa, della quale mi assumo la responsabilità, ma ritengo mio dovere rendere noto al Parlamento che solo al Ministero della Giustizia è stato di fatto impedito di avvalersi di consulenze, che in tutte le organizzazioni, pubbliche e private, portano spesso un fattivo apporto di nuova cultura e conoscenze, e soprattutto consentono di raggiungere risultati rilevanti sul piano dell’efficienza. Malgrado questi ostacoli abbiamo raggiunto significativi risultati. Sul piano della spesa abbiamo drasticamente ridotto i costi unitari delle intercettazioni e della stenotipia. Sul piano dell’efficienza abbiamo fornito tutti i magistrati di computer, è stato avviato il processo telematico, è stato varato lo strumento della notifica a mezzo posta con circa un milione e 700 mila notifiche nel 2005. E’ stato ideato e realizzato, anche con la collaborazione del Consiglio Superiore della Magistratura, un potente strumento per la valutazione dell’efficienza degli uffici giudiziari, denominato “Cruscotto”. La necessità di tale strumento è resa evidente dal fatto che, se disaggreghiamo i dati nazionali, emerge una eclatante disparità di efficienza tra uffici. Vi sono infatti realtà in cui un processo civile di primo grado dura mediamente 300 giorni e altri in cui il medesimo processo ne dura 1.500. Il cruscotto consente di individuare oggettivamente i nodi critici e di intervenire tempestivamente al fine di scioglierli. Uno strumento in cui confidiamo molto è il processo telematico; esso è in fase di avanzata sperimentazione ed è già operativo, relativamente ai decreti ingiuntivi, al tribunale di Bologna. Un grande sforzo, in termini progettuali ed umani, è stato espletato sul fronte dell’edilizia giudiziaria. Siamo infatti convinti che ambienti moderni e razionali migliorino di molto la qualità e la quantità dei servizi resi, compresi quelli relativi alla giustizia. Ricordo che, nel corso della passata legislatura, sono stati finanziati 87 progetti per un totale di 435 milioni di euro. In quest’ultima, i progetti finanziati sono stati 170 per un totale di313 mila mq con una spesa pari a 616 milioni, in aumento quindi del 50%. Se ad essi aggiungiamo gli investimenti relativi all’edilizia demaniale abbiamo raggiunto complessivamente investimenti pari a 771 milioni di euro. (...) Preoccupante invece la situazione delle Corti di Appello dove un forte aumento delle sopravvenienze, dovute soprattutto alla cosiddetta legge Pinto in primo grado e alle nuove competenze in materia di lavoro e previdenza, ha fatto sì che le pendenze siano aumentate notevolmente. Nel processo penale si nota una capacità di smaltimento delle procure leggermente superiore alle sopravvenienze con effetti positivi sulle pendenze. Al contrario i dibattimenti in tribunale segnalano un deficit di capacità di smaltimento con conseguente aumento delle pendenze. Analoghe considerazioni si possono fare per le Corti di Appello. Vengo alla vexata quaestio della durata dei procedimenti. Come è noto, fin dal 1980 il nostro Paese è sotto osservazione dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Questo organismo ha rilasciato in data 30.11.2005 la risoluzione interinale n. 114 in cui, tra l’altro, si può leggere: “Il comitato dei ministri….accogliendo favorevolmente gli sforzi ripetuti del Governo e del Parlamento italiano e delle Autorità Giudiziarie stesse in questi ultimi anni e in particolare il recente piano di azione che è stato sottoposto al Comitato dei Ministri, incentrato sulle riforme legislative volte ad accelerare i procedimenti civili; Osservando che la persistenza e l’evoluzione di questa situazione, dagli anni 80, ha messo chiaramente in luce la natura strutturale e complessa dei problemi che colpiscono la maggior parte delle giurisdizioni italiane civili, penali e amministrative, anche ai più alti livelli; Chiede alle autorità competenti di realizzare una politica nazionale efficace, coordinata ai più alti livelli governativi, per giungere ad una soluzione globale del problema, e di presentare, al più tardi entro la fine del 2006, un nuovo piano d’azione fondato sul bilancio dei risultati ottenuti e che comprenda un approccio efficace per l’attuazione dello stesso”. I dati statistici ci dicono che i risultati raggiunti non sono negativi. Nel processo civile si può riscontrare un miglioramento significativo del primo grado, dove si passa da una durata media di 16 mesi del 2001 ad una di 13 del 2004, un leggero aumento della Cassazione dove si passa da una giacenza media di 28 mesi nel 2001 ad una di 30,5 nel 2004. Ciò è dovuto al numero assai elevato di procedimenti pervenuti non consono alla peculiarità di una Suprema Corte, che vanifica gli indubitabili sforzi organizzativi che sono stati posti in essere. Il dato aggregato finale resta pertanto stazionario. Ricordo che per rientrare nella media europea occorre guadagnare circa 17 mesi. Anche nel processo penale la durata si è mantenuta stazionaria, intorno a 82 mesi. Ricordo che l’atto Senato 3600 approvato dall’Aula in data 12 gennaio 2006 porterà ad una riduzione che sarà presumibilmente compensata, in misura al momento non prevedibile, da un aumento della pendenza in Cassazione. Carceri L’aumento tendenziale della popolazione penitenziaria è un fenomeno comune a molte società occidentali. In questi anni il fenomeno ha visto un’accelerazione dovuta all’accresciuta domanda di sicurezza da parte dei cittadini da un lato e all’aumento costante degli stranieri clandestini dall’altro. Il nostro Paese non sfugge a queste logiche. Oltre ai crimini tradizionali,ha assunto rilevanza il fenomeno della contraffazione di prodotti protetti da marchi e brevetti, con l’utilizzo di manovalanza tratta appunto da soggetti immigrati clandestinamente. La Guardia di finanza, nel solo 2005, ha denunciato 11.551 persone, di cui 584 tratte in arresto. La positiva attività dell’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, recentemente istituito, contribuirà certamente ad aumentare questi numeri, con ricadute sulla popolazione penitenziaria. Fino agli anni 90 la essa è stata tenuta sotto controllo con periodici provvedimenti di amnistia e indulto. Soluzioni accettate dai cittadini se aventi carattere straordinario, ma non condivise se usate come strumento usuale di governo del fenomeno. Il costante ricorso a provvedimenti di natura clemenziale contraddice alcuni capisaldi dell’esercizio di una giustizia percepita come equa dall’opinione pubblica. Viola il principio della certezza della pena e insinua soprattutto nelle classi sociali più deboli, che sono quelle che pagano il prezzo più alto ai cosiddetti crimini minori, un inaccettabile senso di insicurezza e di abbandono da parte dello Stato. Vorrei citare a questo proposito un pensiero del Beccaria “Ma si consideri……..che il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne è la necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell’impunità, è un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto violenza della forza che emanazioni della giustizia”. Negli anni 90, soprattutto a seguito della novella della Costituzione, questa pratica è stata abbandonata senza che a ciò facesse seguito alcuna seria politica per la gestione del fenomeno. A questo proposito ricordo che nel decennio scorso è stata programmata la costruzione di un solo nuovo penitenziario, ponendo così le inevitabili premesse per l’attuale difficile situazione, atteso che tra la programmazione e l’avvio di una nuova struttura passano almeno, con gli strumenti tradizionali, 10 anni. Consapevoli che l’aumento della popolazione, legata soprattutto al fenomeno dell’immigrazione clandestina, è ormai diventato un dato fisiologico del sistema, abbiamo dato vita ad un vasto piano di costruzione di nuovi penitenziari.(...) In tutta la nostra attività abbiamo sempre cercato di ispirarci ad un principio ben preciso: contribuire con decisione alla realizzazione di tutte le iniziative che abbiamo ritenuto positive per il nostro Paese, ma per contro contrastare decisamente quelle che andassero contro gli interessi o i principi fondamentali dello Stato. Ciò senza alcun timore reverenziale. A questo proposito occorre precisare che ciò non è stato facile, atteso che, nel 2001, l’imperativo categorico sembrava fosse riassunto nel detto “Europa a tutti i costi” e che, conseguentemente, si dovesse appoggiare acriticamente ogni iniziativa di origine comunitaria, anche se contraria agli interessi nazionali, pena la perdita di prestigio in campo internazionale. Ebbene, devo dire che, più di una volta, le ferme prese di posizione assunte ci hanno consentito di conseguire risultati a prima vista ritenuti irraggiungibili. Possiamo dire, senza tema di smentita, che oggi il nostro prestigio è aumentato, siamo ascoltati e considerati. Ricordo a questo proposito, che molti dei dubbi e delle perplessità che, a suo tempo, avevamo sollevato riguardo il testo della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, sono oggi confermati dalle sentenze di incostituzionalità che alcune Corti costituzionali di stati membri hanno emanato relativamente al rispetto del principio di legalità. Ciò è dovuto sicuramente anche alla stabilità del Governo, che ha fatto sì che i ministri italiani siano ormai tra i più anziani del Consiglio europeo. L’attività europea ed internazionale del Ministero della Giustizia ha conosciuto, nel corso degli ultimi anni, una notevole espansione, il cui carattere appare strutturale. Tale attività si può, a grandi linee, ripartire tra l’ambito europeo, quello bilaterale e gli altri ambiti multilaterali. Il primo settore ha avuto un rilievo affatto particolare, anche in relazione alla circostanza che l’Italia ha ricoperto, come è noto, la Presidenza dell’Unione Europea nel secondo semestre 2003. Tra i risultati della nostra Presidenza, che è stata concordemente ritenuta un successo, tengo a segnalare la cooperazione in materia civile, l’adozione del Regolamento sulla responsabilità parentale. Si tratta di una disciplina nuova, che regola i casi di separazione o divorzio tra cittadini di diversi Paesi membri, di sottrazione di minori, di definizione delle questioni patrimoniali. Altro risultato nel settore civile è stata l’approvazione della Posizione Comune sul Titolo Esecutivo Europeo per i crediti non contestati, che consente al creditore di rivalersi del proprio credito in uno dei qualsiasi Paesi Membri ove in possesso di una sentenza esecutiva. In campo penale, è stata approvata la decisione quadro sul traffico di droga, che introduce in Europa una disciplina minima comune del contrasto a tale abietto fenomeno. Merita inoltre segnalazione l’adozione della decisione quadro contro la pedopornografia, cui si era lavorato già prima del nostro semestre, che è stata infine resa possibile con la rimozione delle ultime riserve parlamentari pendenti sul testo. In campo bilaterale sono stati siglati importanti accordi, tra i quali quelli con vari Paesi dell’Europa Sudorientale, volti al rimpatrio delle persone condannate, per il proseguimento dell’esecuzione della pena, anche in assenza del consenso dell’interessato. Altro accordo di carattere fortemente innovativo è stato quello sull’estradizione firmato con il Canada. L’altro aspetto fondamentale è stato quello della cooperazione e dell’assistenza. Cito in primo luogo l’Afghanistan, dove l’Italia ha in questi anni il “ruolo guida” per la Giustizia, attraverso il quale è stato apportato un contributo fondamentale al quadro giuridico del Paese, in particolare nella redazione del Codice di Procedura Penale, del Codice Penitenziario e di quello Minorile. Numerose iniziative hanno avuto poi luogo nell’area mediterranea e in quella balcanica. Con i Paesi Arabi si segnalano la prima Conferenza ministeriale della Lega Araba svoltasi in un Paese terzo e l’assistenza alla redazione di un Modello di Legge Araba sulla cooperazione penale, ufficialmente adottato dalla Lega stessa, oltre a una specifica attività di formazione rivolta all’Iraq. E’ proseguita la cooperazione verso l’Albania e gli altri Paesi balcanici in termini di risorse materiali e di formazione. E’ in atto, tra l’altro, dal 2003, un ampio progetto europeo svolto dall’Italia in partenariato con l’Austria, che mira all’avvicinamento delle legislazioni nazionali al diritto comunitario. Anche negli altri fori internazionali, infine, quali il Consiglio d’Europa e il G8, abbiamo posto l’accento, oltre che sulla minaccia del terrorismo internazionale, sulla difesa dei minori dal turpe fenomeno della pedopornografia, che si avvale oggi anche delle nuove tecnologie. Attività per il 2006 Quest’anno sarà caratterizzato dalle elezioni generali, che, secondo le regole della democrazia, in linea teorica potrebbero portare anche ad un cambio della maggioranza parlamentare. Pertanto non è da escludere un mutamento di indirizzo su alcune linee di azione. Non vi è dubbio però che quale che sia il nuovo governo, occorrerà agire su alcune linee di continuità. Sarà pertanto necessario monitorare gli effetti delle importanti riforme approvate. Mi riferisco alla riforma del diritto societario, a quella delle procedure concorsuali, alla novellazione del codice di procedura civile. Come tutte le grandi riforme esse necessitano sicuramente di messe a punto e correzioni, così come d’altra parte le relative leggi delega già prevedono. Con la riforma dell’ordinamento giudiziario è stata creata una macchina sofisticata, complessa, che necessita di una attenta ma soprattutto capace gestione. Questa sarà sicuramente la sfida maggiore per l’anno in corso. Occorrerà anche un’interlocuzione costante con il Consiglio Superiore della Magistratura organo a cui, per Costituzione, spetta un ruolo fondamentale per l’armonico dispiegarsi degli effetti della legge. Pensiamo alla creazione della scuola, alla gestione dei concorsi per l’accesso, per l’avanzamento in carriera. Pensiamo, infine, al decentramento amministrativo, passaggio fondamentale per una giustizia più vicina ai cittadini. Sul piano normativo, non vi è dubbio che occorre portare a termine il vasto piano di riforme avviato in questa legislatura e, quindi, sotto questo aspetto, approfittando anche dell’avvio di una nuova legislatura, che necessariamente porta con sé grandi afflati di novità, è necessario sottoporre all’esame del Parlamento testi di riforma del codice penale e del codice di procedura penale. Sia nella passata che nella presente legislatura sono stati realizzati positivi sforzi in tal senso, che purtroppo non sono andati al di là di una sia pur utile e significativa operazione di natura culturale. Da parte mia ho apprezzato sia il lavoro della Commissione Grosso che della Commissione Nordio, che ha fatto peraltro tesoro di molti principi espressi dalla prima. Confido che la prossima legislatura possa raggiungere il risultato storico del superamento del codice penale. A questo proposito non posso che rivolgere un accorato appello ai colleghi Senatori. Abbiamo la grande occasione di cancellare alcuni reati di opinione ancora presenti nel nostro ordinamento. La sua approvazione, che aumenta il tasso di libertà e democrazia del paese sarebbe, credo, un fiore all’occhiello per questa legislatura e un ottimo viatico per quella che verrà. Vi è inoltre la stringente necessità di presentare al Parlamento un testo di riforma del tribunale dei minori, anche per superare una pagina non commendevole di questa legislatura che ha visto un testo presentato dal Governo e profondamente elaborato dalla Commissione giustizia, bocciato in Aula alla Camera, non a seguito di un franco e leale dibattito e di un voto palese, come sarebbe stato peraltro legittimo, ma attraverso un proditorio agguato per mezzo di un voto segreto. I problemi in questo campo permangono gravi e danno vita a vere e proprie tragedie esistenziali e familiari. Il Governo e il Parlamento non possono più restare indifferenti. Infine, non è più procrastinabile la riforma delle professioni intellettuali, che può e deve essere varata, partendo dal vasto e articolato lavoro fatto in Parlamento e nelle Commissioni ministeriali. Ritengo assolutamente possibile giungere ad un testo largamente condiviso, che possa coniugare la necessità di liberalizzazione da un lato e di assicurare le garanzie di professionalità e deontologia che gli utenti richiedono ai professionisti dall’altro. Colleghi, senza nulla togliere ai principi di autonomia e indipendenza della Magistratura, abbiamo il dovere di intervenire per correggere alcuni aspetti che rischiano di assumere carattere patologico. Uno di questi è sicuramente l’autoreferenzialità, sicuramente non voluta dalla Costituzione. Occorre pertanto presentare un disegno di legge di riforma costituzionale che istituisca un organo indipendente, formato da esimie personalità, che funga da sezione disciplinare per i magistrati. Occorre anche riflettere sulla necessità, in nome del principio della terzietà, di una ulteriore riforma che istituisca tribunali indipendenti, quando tra le parti in causa vi siano magistrati. E’ questo un principio fondamentale di garanzia che elimina ogni conflitto di interessi, così come deve avvenire per ogni manifestazione di una ordinata società fondata su principi democratici. Per quanto riguarda la politica penitenziaria, sono profondamente convinto che, in questo momento storico, caratterizzato, da un lato da una sempre maggior richiesta di sicurezza che promana dalla società e dall’altro dalla percezione di insicurezza che la piccola criminalità, legata al fenomeno dell’immigrazione clandestina, crea, non possa esservi altra politica se non quella di fermezza, pena una grave protesta da parte dei cittadini. Ciò porta come coerente conseguenza l’aumento della popolazione penitenziaria e pertanto occorre proseguire con determinazione sulla strada intrapresa, anche e soprattutto, al fine di garantire ai detenuti una sistemazione civile. Ho sempre sostenuto infatti che lo Stato ha il diritto dovere di togliere la libertà a chi viola le leggi, ma non può privarlo della dignità. Contestualmente dovranno essere individuate misure decongestionanti, che possono essere perseguite, senza offendere la sete di giustizia dei cittadini e delle vittime dei reati. Penso al lavoro come forma di risarcimento nei confronti della società, penso a interventi a favore delle detenute madri e più in generale, verso quei detenuti che hanno figli a carico. Infine i provvedimenti in materia di lotta alla criminalità organizzata, voluti e varati dal Governo, vanno mantenuti e incrementati, atteso che si sono dimostrati efficaci. Ricordo tra l’altro che nel 2005, utilizzando gli articoli 1 e 2 della legge n. 279 del 23.12.2002, per la prima volta nella storia della Repubblica, è stato applicato il regime cosiddetto 41 bis anche ad alcuni terroristi, a testimonianza della determinazione del governo nella lotta a questo triste fenomeno. E’ necessario, infine, che il Parlamento vari la legge di trasposizione relativa alla decisione quadro in materia di congelamento dei beni da sottoporre a sequestro o confisca. Signori Senatori, possiamo dire con orgoglio e senza tema di smentita che mai una legislatura ha dispiegato un’azione riformatrice così vasta e profonda in tema di giustizia. La riforma dell’ordinamento giudiziario mai realizzata nella storia della Repubblica, la riforma del diritto societario, mai realizzata nella storia della Repubblica, la riforma delle procedure concorsuali, mai realizzata nella storia della Repubblica, la riforma di una parte significativa del codice di procedura civile, mai realizzata, con questa ampiezza, nella storia della Repubblica, testimoniano il grande e fattivo impegno del Parlamento e del Governo. Ma soprattutto dobbiamo essere orgogliosi di aver riaffermato, dopo anni di difficoltà, la centralità del Parlamento, il diritto-dovere di realizzare il programma presentato al popolo sovrano davanti al quale ci ripresentiamo certi di aver fatto il nostro dovere. Possiamo dire con soddisfazione ai cittadini italiani: “Abbiamo mantenuto l’impegno assunto nel 2001”. Vi ringrazio per il sostegno, anche e soprattutto umano, che non mi avete mai fatto mancare anche in momenti difficili. Grazie. |