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* Compensi professionali e nuovi parametri. Avvocati e tariffe forensi abrogate: a volte ritornano ... (commento a sent. Trib.Siena 26/8/2012).
Nel caso di giudizio deciso successivamente al 23 luglio 2012, la liquidazione del compenso all'avvocato deve essere effettuata secondo le tariffe abrogate se l'ultimo atto difensivo e' stato compiuto antecedentemente a tale data. La sottoposizione del cliente a visita medica non comporta rinuncia alla prescrizione posto che, seppur clausola di stile, la formula “salvi e impregiudicati i reciproci diritti” non può essere interpretata nel senso di rinuncia ai propri diritti o di riconoscimento di debito. La liquidazione delle spese di giudizio deve farsi con riferimento ai parametri introdotti dal D.M. n. 140/2012 quando l’ultimo atto difensivo (deposito delle note conclusionali di replica) è avvenuto successivamente al 23 luglio 2012, data di cessazione dell’ultrattività dell’art. 9, 3° comma, d.l. n. 1/2012. La sig.ra L. citava in giudizio M. Assicurazioni S.p.A. al fine di ottenere il risarcimento dei danni alla persona subiti a causa di un incidente stradale in forza di una polizza assicurativa decennale per infortuni del conducente di autoveicoli ad uso privato. Nel costituirsi in giudizio l’assicurazione convenuta eccepiva l’intervenuta prescrizione per ritardo nella denuncia del sinistro contestando l’efficacia interruttiva della prescrizione dei fatti allegati da controparte e, in subordine, eccepiva l’incompetenza del giudice adito in virtù di clausola compromissoria inserita nel contratto di assicurazione. Con regolare memoria, l’attrice contestava che la controversia sull’an debeatur rientrasse nell’ambito di operatività della clausola compromissoria di cui eccepiva, in ogni caso, l’inefficacia trattandosi di clausola vessatoria non approvata specificamente per iscritto. Inoltre, l’istante eccepiva che fosse intervenuta rinuncia alla prescrizione ex art. 2937 c.c. posto che la compagnia assicurativa l’aveva sottoposta a visita medica. Nel decidere preliminarmente le due eccezioni, il tribunale senese esaminava per primo, in quanto logicamente prioritaria, quella relativa all’efficacia e all’operatività della clausola compromissoria rilevando che la stessa non risultava specificamente approvata per iscritto motivo per cui doveva dichiararsi inefficace a mente del disposto di cui all’art. 1341 c.c. In ogni caso, osservava il giudice, la clausola compromissoria non poteva dirsi operante con riferimento alla lite dedotta posto che l’ambito di operatività della stessa faceva riferimento ad altri aspetti (“divergenze sul grado di invalidità permanente o sulla liquidabilità della diaria, nonché sull’applicazione di quanto previsto all’articolo 8.2, criteri di indennizzabilità”). Ritenuta, così, respinta tale eccezione veniva esaminata l’eccezione di intervenuta prescrizione ex art. 2952 c.c., 2° comma, c.c., così come formulato nel testo vigente tanto del fatto costitutivo dedotto quanto della domanda giudiziale, entrambi anteriori al d.l. 28 agosto 2008, n. 134 (che, come è noto, ha raddoppiato il termine di prescrizione originariamente previsto da detto articolo). A parere del Tribunale l’aver sottoposto a visita medica l’attrice non comportava rinuncia alla prescrizione perché se è pur vero che costituisce clausola di stile la formula “salvi e impregiudicati i reciproci diritti”, è altresì vero che detta clausola non può essere interpretata come volontà di rinunciare a propri diritti (come per l’appunto il diritto di eccepire la prescrizione) o riconoscere l’altrui credito. Per tali motivi, posto che il fatto era occorso in data 03.02.1999 e che tra il primo atto avente data certa (26.11.1999) utile per interrompere la prescrizione e il secondo atto di intimazione in mora (15.12.2000) era trascorso oltre un anno, il Tribunale accoglieva l’eccezione formulata da parte convenuta respingendo la domanda promossa dall’attrice con conseguente condanna alla stessa, in virtù del principio di soccombenza, al pagamento delle spese processuali. E’ proprio questa, a ben vedere, la parte più interessante della decisione, naturalmente non per il principio (quello della soccombenza) applicato, bensì per i criteri adottati dal giudice toscano per quantificare le spese processuali. Nell’articolata motivazione sul punto il giudice, in primo luogo, ricorda che in data 23.08.12 è entrato in vigore il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate le cui disposizioni si applicano, in virtù dell’art. 41 del Decreto del Ministero della Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Osserva, poi, che il termine “liquidazione” si riferisce ad ogni determinazione da parte di un organo giurisdizionale di un compenso professionale e, dunque, da un punto di vista letterale nonché logico e sistematico rientrano in tale nozione anche le spese processuali a carico del soccombente: pertanto, “i vigenti parametri si applicano alla liquidazione ex art. 91 cpc cui deve farsi luogo nella presente sede”. Tale interpretazione, a detta del giudicante, è giustificata anche dal punto di vista teleologico, posto che scopo del legislatore, come si legge nella Relazione illustrativa, è stato di semplificare la materia determinando un esponenziale incremento dell’agilità decisionale, per gli organi giurisdizionali, in sede di liquidazione delle spese all’esito del contenzioso. Inoltre, così stabilendo, la quantificazione del compenso dovuto al professionista diviene operazione intellegibile anche per il oggetto non tecnico, cioè a dirsi il cliente del professionista. Peraltro, il Tribunale di Siena osserva che non può “dirsi che l’abbandono della regola intertemporale tempus regit actum, che aveva improntato a sé la liquidazione dei diritti di procuratore al tempo dell’abrogazione del DM Giustizia 585/1994 ad opera del DM Giustizia 127/2004, possa comportare una discontinuità interpretativa lesiva di affidamenti intangibili da parte del legislatore o del governo in sede regolamentare”, ricordando che “tale norma intertemporale non è indistintamente compatibile con qualsiasi componente del compenso professionale, ma soltanto con quelle computate in misura fissa in puntuale e immediata correlazione con attività istantaneamente individuabili nel tempo”. In pratica, i diritti si calcolerebbero secondo la tariffa in vigore al momento del compimento dei singoli atti, mentre gli onorari vigerebbe la tariffa in vigore al momento in cui l’opera è stata portata a termine. Fatte tali premesse di carattere generale, il Tribunale osserva che caratteristica della Riforma è “l’introduzione di un nuovo sistema fondato sulla sostituzione di parametri elastici e discrezionalmente derogabili alle tariffe già vincolanti per l’organo giurisdizionale” comporterebbe l’unitarietà del compenso con conseguente abolizione della distinzione tra diritti ed onorari e, in virtù della più stretta analogia strutturale tra onorari e parametri (che disciplinano sia le fasi cognitorie che quella esecutiva), la liquidazione di tutte le spese di primo grado di giudizio devono conformarsi ai nuovi parametri. Per quel che concerne, invece, la quantificazione il giudice ritiene di non doversi discostare dal valore medio di liquidazione stabilito dall’art. 4, 2°, 3° e 6° comma, e dall’art. 1, 6° comma, del D.M. n. 140/2012) ed esclude qualsiasi aumento posto che, seppur l’incarico è stato dalla parte vittoriosa affidato a più professionisti, questi appartengono a società tra professionisti. Atteso che il valore della controversia rientra tra quelle con scaglione fino a € 25.000,00, il giudice liquida un compenso complessivamente pari a € 2.100,00. Discorso a parte fa per quel che concerne le spese imponibili osservando che l’art. 1, 2° comma, D.M. n. 140/2012 chiarisce che si tratta di voce non compresa nei compensi tabellari e che, discostandosi dal parere consultivo del Consiglio di Stato, la Relazione illustrativa chiarisce che nei compensi non sono incluse le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, anche quella concordata in modo forfetario, né sono compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. Ora, tenuto conto che si tratta di attività svolta interamente sia prima dell’entrata in vigore del D.M. n. 140/2012, non riproduttivo delle corresponsione delle spese forfetarie, sia del 23 luglio 2012, data di cessazione dell’ultrattività dell’art. 9, 3° comma, d.l. n. 1/2012 delle tariffe previste dal D.M. n. 127/2004, liquidare le sole spese concordate con il cliente secondo quanto stabilito dall’art. 9, 3° comma, d.l. n. 1/2012, o inerenti alla procedura significherebbe imporre al professionista un irragionevole onere probatorio che si porrebbe in contrasto con il principio di affidamento ribadito da recenti orientamenti della Suprema corte (e cita, tra le altre, Cass. civ., 15 maggio 2011, n. 7755). Per tali motivi, “Ai limitati fini delle spese vive, quindi, la mancanza di un parametro che possa surrogare il rimborso a forfait ex art. 14 DM Giustizia 127/2004 non osta a ritenere implicito, in difetto di contrarie emergenze, l’originario consenso del difensore e del cliente all’applicazione della previsione da ultimo citata, consenso che nella sostanza tiene luogo all’allora inconfigurabile accordo ex art. 9, quarto comma d.l. 1/2012 ora vigente. Il 12,5% del compenso spettante al difensore è pari a € 262,50”. La materia è di estrema attualità e, come è noto, sta suscitando vivaci e vibranti proteste dell’avvocatura italiana. Non è dato sapere se la disciplina verrà abolita o modificata, ma è certo che vanificare l’attività di un professionista che ha seguito magari per dieci anni una causa e ridurgli drasticamente i compensi sol perché ha depositato le memorie conclusive di replica dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale n. 140/2012 (questo il senso della decisione qui annotata che è conforme alla prima sentenza in materia, Trib. Monza, 6 agosto 2012) desta sicuro sconcerto (come, del resto, si resta alquanto sbalorditi a leggere nella Relazione illustrativa, che l’introduzione di nuovi parametri tariffari comporterà una maggiore agilità decisionale). Summum ius, summa iniuria verrebbe da dire. Si pensi al caso di un procedimento concluso dopo l’entrata in vigore del tanto criticato decreto ministeriale che qui ci occupa e durato molti anni (sino ad oggi è stata la prassi e non sarà certo sufficiente un tratto di penna del legislatore per cambiare la situazione rebus sic stantibus): cosa dovrebbe fare il difensore della parte vittoriosa? Subire passivamente una drastica riduzione dei propri compensi per causa a lui non imputabile (né imputabile a controparte ma originata da una serie di rinvii non voluti dalle parti stesse)? Azionare una pretesa di risarcimento danni al Ministero delle Giustizia e al giudice o ai giudici (essendo ovvio che in questi casi la lunghezza è dovuta proprio al fatto che, nel corso del giudizio, diversi e disparati sono i giudici interessati della stessa questione)? Provare a chiedere la differenza al proprio cliente? Che dire, poi, del caso in cui l’ultimo atto difensivo sia avvenuto successivamente al 23 luglio 2012 (data di cessazione dell’ultrattività delle abrogate tariffe forensi) e anteriormente al 23 agosto 2012 (data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 140/2012)? L’art. 41 del D.M. n. 140/2012 dispone, infatti, che “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”. In attesa degli ulteriori sviluppi della vicenda, l’augurio che si fa, sicuramente di parte ma dettato dal buon senso ma, soprattutto, in ossequio ad un principio di ragionevolezza, è che i giudici, per quel che riguarda le cause instaurate prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, tengano conto delle vecchie tariffe sia per quel che concerne i diritti che per quel che concerne gli onorari sia pur considerando, per questi ultimi, quanto statuito dalla Suprema corte in materia di liquidazione degli onorari nel caso di successione delle tariffe. L’augurio è dettato da un’altra considerazione. Siamo sicuri che le misure adottate in materia di tariffe aumenteranno la concorrenza e che non accadrà, piuttosto, il contrario? E’ del tutto evidente che, stando così le cose, sopravvivranno solo i grandi studi legali o chi avrà la capacità o la fortuna di costituire una società tra professionisti che si organizzi sul modello dei primi (senza considerare la sorte di tutti quegli avvocati che, se fino ad oggi sono riusciti a mantenere un minimo di indipendenza, saranno costretti a venire assunti come semplici dipendenti in strutture più grandi). La conseguenza, nel lungo periodo, sarà quella di una diminuzione dell’offerta professionale con conseguenti possibili forme di abuso. Ma quello che più colpisce è la cecità del legislatore rispetto alla realtà concreta. L’enorme numero di avvocati non ha fatto altro che costringere gli stessi a diminuire il compenso richiesto (peraltro, non si può più considerare il cliente come uno sprovveduto pronto a corrispondere quanto richiesto senza batter ciglio). Di tale situazione hanno usufruito non solo banche e compagnie di assicurazione che hanno convenzionato professionisti accordandosi su compensi ben al di sotto degli allora vigenti minimi tariffari, ma i clienti privati stessi. Orbene, proprio a causa dell’incredibile numero di avvocati presenti nel nostro Stato, la riduzione drastica dei compensi per l’attività prestata comporterà un peggioramento della qualità dei servizi resi in un settore, inutile a dirsi, particolarmente delicato. Senza contare, poi, che la nuova disciplina potrebbe avere il temuto effetto di aumentare il contenzioso proprio nel momento in cui si stanno adottando soluzioni deflattive allo stesso, peraltro con risultati deludenti sia per quel che riguarda il raggiungimento del fine sperato sia per quel che riguarda la qualità dei servizi offerti (a tal proposito non si può tacere dello ‘scandalo mediazione’ e della pretesa che laureati in agraria – perché anche questo accade – abbiano la pretesa di decidere in diritto). In conclusione, la speranza è che il Governo riveda le proprie posizioni e instauri un dialogo gli Ordini professionali per cercare di trovare una soluzione dignitosa per tutti al problema. (Sentenza Tribunale SIENA 26/08/2012) tratto da ipsoa.it - 21/9/2012 |