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* * * I fantasmi a volte ritornano. Specie se li rievochiamo, la suggestione diventa forte. Anche perchè le esperienze passate hanno lasciato il segno, con la soppressione del Tribunale di Sala Consilinae e di alcune importanti sezioni come quella di Eboli. E' una prestigiosa associazione di avvocati, la Camera Penale Salernitana, che ha rispolverato nei giorni scorsi lo spettro di nuove soppressioni di uffici giudiziari nella provincia di Salerno, già colpita nel 2012 dalla "epocale" qunto nefasta riforma completata dalla Ministra Severino. Per la verità non si tratta di una novità assoluta,...
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* SEMPLIFICAZIONE RITI CIVILI. DAL 6 OTTOBRE 2010 IN VIGORE IL D.LGS. N. 150 DEL 1 SETTEMBRE 2011. La semplificazione in Gazzetta Ufficiale.
Sezioni: PRIMA FILA
Sezioni: EVENTI E VARIE
Data di pubblicazione 25/09/2011
(GUIDA AL DIRITTO - IL SOLE 24 ORE)

Con il decreto legislativo 1° settembre 2011 n. 150 - Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” del 21 settembre 2011 n. 22, il Governo ha dato attuazione alla delega legislativa che aveva ricevuto dall’articolo 54, legge 18 giugno 2009 n. 69.



La proliferazione dei riti

Come ben noto, nei suoi 69 anni di vigenza, il codice di rito è stato pesantemente e ripetutamente riformato, sia direttamente (attraverso interventi che, tra l’altro, hanno soppresso, modificato o sostituito procedimenti già esistenti, ovvero ne hanno inseriti di nuovi), sia indirettamente (mediante riforme che hanno inciso formalmente su altri ambiti, ma che hanno prodotto effetti anche sull’applicazione del codice di rito: si pensi, ad esempio, ai molteplici interventi normativi in tema di riparto di giurisdizione tra giudici ordinario, amministrativo, tributario e contabile).



Nel contempo, però, deve segnalarsi che non tutte le riforme incidenti sulla materia del diritto processuale civile sono confluite in seno al codice di rito: anzi, la maggior parte delle riforme processuali si è compiuta al di fuori del medesimo. Adottate per disciplinare specifiche materie (spesso nuove ed inimmaginabili in passato, si pensi, ad esempio, al cosiddetto diritto alla privacy), moltissime leggi speciali, infatti, oltre a dettare le norme sostanziali incidendo sulle situazioni giuridiche attive e passive dei consociati, hanno provveduto altresì a stabilire delle regole processuali ad hoc.



Non si tratta di una scelta di per sé censurabile, né deprecabile: anzi, sotto molti profili è degna di approvazione. In particolare, la convinzione (già enunciata sopra), secondo cui il processo è sussidiario alle posizioni giuridiche sostanziale, impone che sia quello a doversi adattare a queste e non viceversa.

Ma, come sempre, si pone una questione “di misura”: finché i procedimenti giurisdizionali previsti da leggi speciali erano pochi, eccezionali e circostanziati, il sistema processuale non ne ha risentito e ha continuato a funzionare normalmente.

Allorché, invece, i riti speciali sono cresciuti di numero, si è iniziato a porre qualche problema, dapprima lieve e poi – con velocità crescente – sempre più acuto.



Il fenomeno appena descritto e indicato come “proliferazione dei riti”, infatti, ha finito con l’inserirsi nella più ampia crisi della giustizia civile e, innescando un circolo vizioso, con l’aggravarla. L’aumentare della durata e, più in generale, delle inefficienze dei processi disciplinati dal codice di procedura civile (e specialmente di quello ordinario di cognizione), spingeva il legislatore che interveniva in settori specifici dell’ordinamento, a dettare per ciascuno di essi un nuovo rito o, quanto meno, particolari regole processuali tesi ad assicurare, almeno nelle intenzioni, maggiore efficienza e, soprattutto, speditezza temporale ai relativi processi.



Ma il risultato concretamente ottenuto era opposto: al crescere del numero di processi speciali, infatti, crescevano inevitabilmente e proporzionalmente anche le difficoltà, innanzi tutto, di conoscenza e di applicazione dei medesimi (questi inconvenienti risultavano poi notevolmente amplificati dalla circostanza che assai spesso le norme processuali erano incomplete, equivoche e totalmente estranee al sistema vigente). Diretta conseguenza di questo aumento di incertezza giuridica era l’aumento della litigiosità relativa alle questioni processuali. A propria volta, immediati corollari dell’accresciuto contenzioso relativo al processo erano l’ulteriore allungamento della durata dei processi ed il moltiplicarsi delle pronunce sul rito, senza, dunque, che venisse deciso il merito delle cause.


Una valutazione sintetica

Nonostante le presentazioni entusiastiche del Governo, il decreto legislativo 150/2011 non sarà di per sé in grado di risolvere tutti i problemi che affliggono il “sistema giustizia”, ed in particolare quello civile. Questa considerazione iniziale non esclude, ma anzi conferma che si tratta di un provvedimento che può con un elevato grado di certezza vaticinarsi essere non di nocumento, ma anzi di concreto aiuto a risolvere un grave problema, cioè quello indicato della cosiddetta “proliferazione dei riti civili”, atteso che, come già accennato, il maggior punto di forza del provvedimento in esame è rappresentato proprio dalla circostanza che non dà luogo ad una rottura con l’esistente, ma si limita a razionalizzare, semplificandola, la situazione processuale esistente.



La struttura del decreto legislativo - Alla luce delle considerazioni generali che precedono, dunque, è finalmente possibile intraprendere l’avvio dell’analisi del nuovo procedimento.

Composto complessivamente di 36 articoli, il decreto legislativo 150/2011, si struttura in 5 capi:

1) il primo, intitolato “Disposizioni generali” (articoli da 1 a 5), stabilisce le regole applicabili in relazione a tutte le controversie disciplinate dal Dlgs in esame e contestualmente funge da “raccordo” con le norme del codice di procedura civile, chiarendo i limiti dei richiami e prevedendo norme destinate a risolvere problemi di coordinamento tra i diversi riti semplificati;

2) “Delle controversie regolate dal rito del lavoro” (articoli da 6 a 13), che elenca le 8 materie che devono essere decise osservando il processo del lavoro, nonché le particolari norme di deroga;

3) “Delle controversie regolate dal rito sommario di cognizione (articoli da 14 a 30), che indica le 17 tipologie di controversie cui è applicabile (con alcune deroghe e specialità) il processo sommario di cognizione di cui agli articoli da 702-bis a 702-quater c.p.c.;

4) “Delle controversie regolate dal rito ordinario” (articoli da 31 a 33), che detta le regole speciali da applicarsi in relazione a quelle pochissime materie che non presentano né finalità né caratteristiche peculiari;

5) “Delle disposizioni finali ed abrogazione” (articoli da 34 a 36) che stabilisce le norme indispensabili al fine di coordinare l’intervento del legislatore delegato sia con le molte leggi speciali “razionalizzate”, sia con i vincoli di bilancio dello Stato, sia con le regole processuali precedentemente pendenti (stabilendo la disciplina transitoria).



(L’articolo è un breve estratto di quello che verrà pubblicato su Guida al Diritto n. 40/2011).



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