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* * * I fantasmi a volte ritornano. Specie se li rievochiamo, la suggestione diventa forte. Anche perchè le esperienze passate hanno lasciato il segno, con la soppressione del Tribunale di Sala Consilinae e di alcune importanti sezioni come quella di Eboli. E' una prestigiosa associazione di avvocati, la Camera Penale Salernitana, che ha rispolverato nei giorni scorsi lo spettro di nuove soppressioni di uffici giudiziari nella provincia di Salerno, già colpita nel 2012 dalla "epocale" qunto nefasta riforma completata dalla Ministra Severino. Per la verità non si tratta di una novità assoluta,...
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* MANOVRA ECOMONICA BIS : LE NOVITA' IN MATERIA DI PROFESSIONE FORENSE.
Sezioni: PRIMA FILA
Autore tratto da Altalex, 29 agosto 2011 - di Maria Morena Ragone e Fabrizio Sigillò)
Data di pubblicazione 05/09/2011



A cavallo tra la pubblicazione del decreto ed una discussione parlamentare presumibilmente assisti­ta dalla fiducia della maggioranza, si procede ad un breve esame sulle disposizioni introdotte dal­l'integrazione alla manovra finanziaria afferente l'attività professionale, con particolare attenzione a quella forense, peculiare degli autori.

Si impone una premessa che, lungi dal rivelarsi quale originale, muove da un idea particolare - e non necessariamente corretta – sulle caratteristiche della professione “libera”, troppo spesso asso­ciata a quei tentativi di “liberalizzazione” periodicamente sollecitati a livello legislativo ed altrettan­to spesso a quella leggenda metropolitana che affida alla qualità la creazione del mercato del profes­sionista, per questo motivo necessitante di esenzione da lacci e laccioli di ogni tipo e misura. La leggenda trascura però di considerare come la qualità continui sovente a lasciar spazio ad un criterio selettivo extra professionale che circoscrive sempre più il campo dei professionisti agli “eletti”, be­neficiandoli di incarichi “qualitativamente rilevanti”, così limitando (sopratutto nell'ambito forense) lo spazio disponibile in un contesto già gravato dal sovraccarico di “liberi professionisti”.

Ancor più personale deve poi ritenersi l'associazione tra la manovra finanziaria e la sollecitata libe­ralizzazione delle professioni forensi (è del 21 agosto l'espresso richiamo formalizzato da Cordero di Montezemolo), inspiegabilmente compresa in quel calderone di aumenti di imposte, abolizione di comuni e province e contributi straordinari, inclusi nell'ultima release della manovra finanziaria (la 1.1, a questo punto), quella – tanto per intenderci – “improvvisamente” elaborata in una notte di mezza estate a fronte dell' “imprevista ed imprevedibile” crisi internazionale, sottaciuta fino all'ulti­mo momento utile.

Sono poi tutti da comprendere tanto il beneficio che la riforma delle professioni dovrebbe arrecare al malandato bilancio statale quanto, sopratutto, l'urgenza che induce ad inserire, in un decreto così specialistico, gran parte del disegno di legge di riforma delle professioni ancora pendente ed in di­scussione alla Camera.

Un esame affidato a professionisti appartenenti all'attività forense non può poi omettere di conside­rare l'ulteriore pregiudizio di cui essa continua a risentire in conseguenza del costante tentativo di disincentivare il ricorso all'Autorità giudiziaria e/o all'assistenza dell'avvocato, oggi sempre più as­similata ad una prestazione commerciale di cui pare quindi equo preventivare il costo finale, am­pliare la scelta (più o meno si trattasse di un piccolo market o di un ipermercato), agevolando la li­bera circolazione delle tariffe (più o meno come quella operata nella vendita dei telefonini presso la grande distribuzione) e dimenticando così quell'irrevocabile presupposto che invece caratterizza la professione professionale (e quella forense in particolare): essa non ha ad oggetto un prodotto, ma una prestazione intellettuale non preventivabile in termini di anticipazione dei costi, predetermina­zione del corrispettivo, complessità dell'impegno lavorativo.

L'avvocato – in particolare - non è chiamato ad avviare od a gestire un'attività finalizzata alla ridu­zione del prezzo di un identico bene, trattandosi, al contrario, di prestazione infungibile, caratteriz­zata dalla specifica professionalità del soggetto, Costituzionalmente assistita e quindi insuscettibile di quella approssimativa regolamentazione recentemente attuata mediante il rapido ricorso ai decreti legge ed alle improbabili loro conversioni.

In questa breve analisi (che si è detto prevalentemente orientata ai riflessi spiegati sull'attività foren­se) non si può dimenticare di come la professione di avvocato non pare possa offrire ampi spazi la­vorativi ai giovani laureati. “Troppi ne sono”, di laureati, e di essi troppi si tuffano senza rete di pro­tezione nell'esperimento dell'apertura di uno studio legale, sovente destinato a rapida chiusura.

L'aumento dei costi di gestione dello studio, le contribuzioni previdenziali, l'obbligo di polizza assi­curativa ora richiesta dalla manovra, finiscono per rendere quantomeno difficile la prosecuzione di una attività che – come si è detto – appare sempre caratterizzata dal disinteresse dell'utente verso il ricorso all'A.G. (di durata sempre più indeterminata ed indeterminabile) e sponsorizzata dalle opera­zioni governative confluenti nel rinvio alle sempre più frequenti forme alternative di soluzione delle controversie che trovano ormai spazio nell'ambito civilistico, come in quello tributario e che si asso­ciano alle preventive procedura di accertamento tecnico in maniera previdenziale e che non sono sempre foriere della pubblicizzata qualità e professionalità idonea ad assimilarle all'ordinaria attività giudiziaria.

Sulla base di tali personalissime premesse, procediamo all'esame delle disposizioni contenute nel decreto, soffermandosi sul testo del D.L. 138, pubblicato il 13 agosto scorso sul G.U. 188 e presto al vaglio della discussione parlamentare a cui sembrerebbe poter pervenire senza sconvolgenti emen­damenti (quantomeno su questa sezione del provvedimento).

Benchè l'attenzione finisca per ricadere sul contenuto dell'art. 3, non pare irrilevante il rapido richia­mo al contenuto dell'art. 2 che, al comma 5 introduce il seguito del comma 2-quinquies del decreto legislativo 471/1997 prevedendo che “Qualora siano state contestate a carico di soggetti iscritti in albi ovvero ad ordini professionali, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell’ob­bligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi compiute in giorni diversi, è disposta in ogni caso la sanzione accessoria della sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine per un periodo da tre giorni ad un mese. In caso di recidiva, la sospensione è disposta per un periodo da quindici giorni a sei mesi. In deroga all’articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 472 del 1997, il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo. Gli atti di sospensione sono co­municati all’ordine professionale ovvero al soggetto competente alla tenuta dell’albo affinché ne sia data pubblicazione sul relativo sito internet.

Immediata perplessità sollecita la lettura di ogni singola parte della norma.

Lo è quella iniziale nella parte in cui affida l'applicazione della sanzione disciplinare alla mera “contestazione” della presunta violazione, saltando quindi a piè pari il secolare principio del secon­do ed anche terzo grado di giudizio vigente anche in ambito disciplinare ed idoneo a conferire valo­re di definitività alla pronuncia.

L'anomalia pare ulteriormente asseverata dall'attribuzione del carattere di immediata esecutività del­la decisione adottata, in primo grado, dal Consiglio dell'Ordine (o dal neo costituendo Organismo disciplinare) e dalle modalità di pubblicizzazione del suo contenuto che, pur in pendenza di ricorso al Consiglio Nazionale e quindi non ancora definitivamente accertato, beneficia della eco assicurata dalla diffusione sul sito internet.

Obiettivamente incomprensibile appare poi il riferimento alla tipologia di comportamento sanziona­to (“quattro distinte violazioni ….compiute in giorni diversi”) che esclude quindi la valenza disci­plinare del comportamento (analogamente grave) il compimento di identico comportamento riparti­to nel corso della medesima giornata.

Oltremodo dubbia infine la rilevanza del fatto illecito (l'omessa fatturazione) che finisce per lascia­re priva di analoga sanzione l'emissione di fattura non corretta o quantitativamente difforme.

Sinceramente preoccupante l'ipotesi di vera e propria responsabilità oggettiva che estende l'operati­vità della sanzione compiuta in ambito associativo a tutti i componenti dell'associazione professio­nale (quid juris se l'attività professionale dovesse essere svolta nelle forme societarie ?).

Procedendo nella lettura del testo del decreto si perviene dunque al succitato articolo 3, la cui rubri­ca “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attivi­ta’ economiche” rivela l'idea della professione elaborata in sede governativa ed il suo negativo giu­dizio su quella regolamentazione che un ...refuso di stampa… riassume nella parola “restrizione” e che viene perentoriamente qualificata come “indebita”.

In attesa della revisione costituzionale dell'articolo 41, panacea di ogni male, (il cui testo attuale re­cita “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i pro­grammi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indiriz­zata e coordinata a fini sociali”), i commi da 1 a 4 ne anticipano il possibile contenuto sulla base del principio guida per cui “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere”, e declinandolo in una serie di eccezioni che ricordano in gran parte quella attualmente già inserite nell'art. 41.

Il comma 5, quindi, si occupa delle professioni ordinistiche, tra le quali, appunto quella forense.

La previsione iniziale con l'incipit “fermo restando l'esame di stato di cui all'art. 33, comma 5 della Costituzione per l'accesso alle professioni regolamentate” scongiura la tanto temuta ipotesi di aboli­zione dell'esame di stato, più volte accompagnata dal richiamo alla “carriera alternativa” per gli av­vocati, perseguibile senza la necessità dell'attuale esame di abilitazione o dall'eliminazione .

La prima parte del comma 5, quindi, sottolinea i principi cardine intorno ai quali devono articolarsi le professioni regolamentate:

* libera concorrenza;
* presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale;
* differenziazione e pluralità di offerta con possibilità effettiva di scelta;
* ampia informazione sui servizi offerti.

Si pone, poi, un primo vincolo di natura temporale: entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, gli ordini professionali devono essere riformati in modo da recepire al proprio interno una serie di principi, esaustivamente elencati nelle successive lettere da a) ad g):

a) Libertà di accesso alla professione - si stabilisce che le limitazioni numeriche all'accesso posso­no essere giustificate solo se rispondenti a ragioni di interesse pubblico, e non possono essere fon­date su principi (n.d.a.: ritenuti quindi discriminatori) quali la nazionalità (in tal senso, c'è una sorta di ribadimento dei principi recepiti dalle due importanti direttive comunitarie sulle professioni – la 2005/36/CE - e sui servizi - la 2006/123/CE). Sembrerebbe, comunque, crearsi un contrasto tra la libertà di accesso alla professione e il mantenimento dell'esame di stato, che quindi costituirebbe, comunque, una sorta di sbarramento o di filtro all'accesso alla professione.

b) Obbligo di formazione continua - niente di nuovo per la professione forense nella parte in cui si prevede l’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua, già regolamentata da un triennio e attualmente già comprensiva delle conseguenze deontologiche discendenti dalla sua inosservanza.

c) Riforma del tirocinio, con una nuova articolazione del rapporto tra professionista e praticante. Ai peripatetici neo laureati, onorati e sostanzialmente beneficiati dalla possibilità di seguire il domi­nus nell'esercizio della sua attività quotidiana professionale, si sostituisce una sorta di collaboratore “a contratto” a cui sarà obbligatorio corrispondere un 'equo compenso di natura indennitaria, com­misurato al suo concreto apporto'.

Pare ragionevole prevedere che nelle strutture professionali medio piccole tale previsione comporte­rà una maggiore cautela nell'acquisizione dei giovani praticanti, la cui mancata retribuzione ex lege sancita potrebbe ingenerare aspettative - qualora non vere e proprie pretese retributive - estrema­mente preoccupanti per il dominus, che potrebbe quindi rinunciare alla collaborazione ed all'impe­gno speso quotidianamente nell'attività formativa del discente.

Difficile intravedere, in un siffatto meccanismo, uno strumento di sviluppo dell'intero sistema, fina­lizzato, oltretutto, ad una offerta uniforme e strutturata sull'intero territorio nazionale (e parificando quindi le autorevolissime strutture professionali e quelle artigianalmente operanti nella gran parte della Nazione).

Appare poi quantomai generico e poco delineato il criterio di riferimento della retribuzione in favo­re del praticante che – si dice – essere “commisurato al suo concreto apporto”, secondo una valuta­zione quindi del tutto personale, discrezionale - e pertanto probabilmente non censurabile – da par­te del dominus.

d) Compensi del professionista - Ben più consistente l'intervento legislativo sulla regolamentazio­ne dei compensi del professionista, in parte rimodellato secondo le disposizioni del mai dimenticato decreto Bersani ed in parte ispirate ad improvvisati criteri di liberalizzazione della materia.

Chi scrive resta decisamente perplesso dinanzi al preliminare obbligo di formulazione per iscritto di un prevenivo di spesa, che spinge nella direzione tesa ad avvicinare l'attività del professionista a quella di un artigiano notoriamente a conoscenza del prezzario dei prodotti utilizzati e che l'avvoca­to può difficilmente quantificare all'atto del conferimento del mandato, imprevedibile con riferimen­to alle evoluzioni del giudizio e spesso limitato alla sola narrazione parziale pervenuta dal cliente (che non consente quindi la completa predisposizione dell'ìmpianto difensivo).

La norma prevede, ad ogni modo, la possibilità di deroga alle tariffa, che costituiscono solo un para­metro di riferimento - e che, in mancanza di specifici riferimenti, deve ritenersi estesa al minimo come al massimo - e che risulta rapportata ad un giudizio - anch'esso discrezionale – sul “livello della complessità dell’incarico”. Si eccede (e probabilmente in questo caso non si sbaglia) nel sot­tolineare il carattere personalissimo di questo giudizio, da rapportarsi inevitabilmente alla professio­nalità ed all'anzianità di servizio del professionista.

Del tutto incerta resta, nonostante la recentissima normativa sulla velocizzazione del processo civile amministrativo e tributario, l'attività informativa “circa gli oneri ipotizzabili dal momento del con­ferimento alla conclusione dell’incarico.”, assolutamente non quantificabili e non preventivabili, com'è noto.

Analoga valutazione può essere effettuata con riferimento all'ipotesi di “mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente e’ un ente pubblico”, che si riferisce all'ipotesi in cui le parti non si accordino preventivamente sull'importo di tali oneri..

La disposizione comprende due ipotesi, che guideranno la decisione del giudicante nella liquidazio­ne dei compensi.

Infatti, tanto nel caso in cui la liquidazione riguardi l'ente pubblico rappresentato, quanto nell'ipotesi in cui la prestazione professionale sia resa nell’interesse dei terzi e veda, quale controparte, l'ente pubblico, si rimanda all'applicazione delle tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia (indiscutibilmente inadeguata perchè immutata dall'ormai lontano 2004) e concreta­mente rimessa alla decisione – quella del giudicante – tradizionalmente orientata all'appli­cazione dei livelli minimi della tariffa di riferimento (e spesso anche inferiori).

e) Obbligo di assicurazione professionale – La norma istituzionalizza un obbligo sulla cui oppor­tunità non pare opportuno discutere ma che finisce indubbiamente per beneficiare le compagnie as­sicurative più che il libero professionista, inserendo un nuovo e consistente impegno di spesa impo­sto anche al “giovane praticante” che si trovi ad esercitare (come solitamente accade) con ridotta clientela, circoscritto numero di pratiche e che esponga un reddito inferiore al costo del premio assi­curativo (agevolandosi, in tal modo, effetti deterrenti al prosieguo della professione).

La spesa si va ad integrare con quella correlata alla obbligatoria apertura del conto corrente banca­rio necessitante per assicurare la tracciatura delle operazioni professionali (che, secondo le anticipa­zioni dell'opposizione parlamentare, potrebbe essere estesa a tutti gli introiti superiori ad euro 300, perfettamente in linea con la prima tornata delle liberalizzazioni volute da Bersani).

f) Istituzione di appositi organi di disciplina – La norma paventa la costituzione di una sezione distaccata del Consiglio dell'Ordine che, pur non perdendo sulla carta il controllo disciplinare sugli iscritti all'albo, lo esercita non più direttamente ma attraverso un nuovo “organo” di cui il consiglie­re eletto non può far parte.

Chi sarà chiamato quale componente, come sarà costituito e per quale ambito temporale opererà il costituendo ufficio di procura con l'annessa sezione dibattimentale, non è dato sapere.

La prevalenza della presente trattazione alla parte del decreto riservata all'attività forense, consente a chi scrive di omettere qualsiasi considerazione sulle motivazioni che inducono il legislatore e a confermare il regime disciplinare vigente per le professioni sanitarie (di cui si confessa la totale ignoranza).

La modifica attiene evidentemente ai soli Ordini locali e non si estende alla composizione del Con­siglio Nazionale Forense in sede disciplinare e parrebbe attinente a quel complesso di norme preor­dinate alla graduale abolizione degli ordini professionali, da più parti sostenuto (non ultima Confin­dustria).

g) Pubblicità - Conclude l'art. 3 il capo relativo alla pubblicità informativa, conseguibile “con ogni mezzo” e comprensiva di indicazione sull'attività professionale, sulle specializzazioni e sui titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni.

Si sorvola su questo ultimo punto, ipotizzando volti sorridenti sul giornali di moda ed affidando alla fantasia l'elaborazione della pagina al momento offerta da un noto quotidiano finanziario, da inte­grarsi (insieme al telefonino preferito od alla macchina amata ed gli abiti privilegiati) con rapido prezziario delle prestazioni offerte dal professionista di turno casualmente selezionato dalla redazio­ne).

Si evidenzia semmai l'assenza di alcun riferimento al preliminare controllo degli Ordini, che per l'attività forense è previsto da anni all'interno del codice deontologico.

Anche a voler condividere l'adeguamento del sistema all'anno domini 2011, e l'equiparazione tra pubblicità e informazione che la norma sembra sottendere, viene da pensare ad un divario sempre più ampio tra classi professionali ricche-medio-basse: intere pagine di quotidiani alle prime – ed ai grandi studi legali - per la pubblicizzazione della loro attività; piccoli spazi risicati per i secondi; tradizionalissimi biglietti da visita e poco più, presumibilmente, per gli ultimi.

Sempre che non si assista ad un proliferare di fantasmagoriche presentazioni digitali assistite da ap­posito software informatico.

In questa direzione, non pare possa vincere il cliente, non la professionalità, ma solo la forza econo­mica, capace di condizionare le scelte della clientela al pari di quanto oggi accade in ambito com­merciale.

*****

In zona Cesarini rispetto alla pubblicazione di questo articolo, interviene il parere reso in data 25 agosto 2011 dalla Commissione giustizia del Senato che sembra aver affrontato alcuni degli aspetti sopra evidenziati.

In relazione alla sanzione disciplinare conseguente all'omessa emissione delle fatture di legge, la Commissione ne ha proposto l'approvazione, previa sostituzione delle parole «qualora siano state contestate» con le altre «qualora siano state accertate in via definitiva».

Chiesto l'inserimento del termine «effettivamente percepiti» e la soppressione delle parole «com­piute in giorni diversi».

Sollecitata la indicazione dell'autorita legittimata a infliggere la sanzione accessoria e l'e­sclusione di ipotesi di responsabilità oggettiva mediante riformulazione del testo.

Quanto alla sorte dei praticanti venga chiarito – ha rilevato la Commissione - che il compenso corrisposto al tirocinante deve avere come contenuto, oltre al rimborso delle spese soste­nute, anche quello di un rimborso congruo per l’attivita svolta per conto dello studio, com­misurato all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle prestazioni tenendo conto del­l’utilizzo da parte del praticante dei servizi e delle strutture dello studio.

Salvi i minimi tariffari per i casi di cui alla lettera d) dell'articolo 3.

(Altalex, 29 agosto 2011. Articolo di Maria Morena Ragone e Fabrizio Sigillò)
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