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* * Nel caso Battisti umiliato il diritto e la verità. * * *di Antonio Cassese
La decisione del Tribunale Supremo Brasiliano costituisce una grave offesa all’Italia e uno smacco per il diritto e la giustizia internazionali. Il Tribunale ha statuito che il Trattato di estradizione tra Italia e Brasile del 1989 giustifica la decisione presa il 31 dicembre scorso dall’allora Presidente Lula. Lula decise di non estradare Battisti perché il Brasile “ha serie ragioni per ritenere che la persona richiesta (Battisti) verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, dì opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, o che la situazione di detta persona rischia di essere aggravata da uno degli elementi suddetti” (articolo 3, lettera f, di quel Trattato). Questa decisione, certamente motivata da ragioni politiche (il potere giudiziario non voleva opporsi al potere esecutivo impersonato dall’ex capo dello Stato) è tuttavia giuridicamente aberrante. L’Italia aveva infatti le carte in regola. Primo, Battisti era stato condannato in contumacia da sette tribunali italiani per omicidio, rapina, costituzione di banda armata e detenzione di armi, tutti reati gravissimi. Non è vero quel che Battisti ha sbandierato ai quattro poli, e che cioè egli non avrebbe subito in Italia un equo processo: come ha esattamente rilevato la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua decisione del 12 dicembre 2006, riprendendo e confermando una decisione del Consiglio di Stato francese del 18 marzo 2005, Battisti “era manifestamente informato delle accuse rivoltegli, era assistito da vari avvocati specialmente designati da lui nel corso della procedura di contumacia, ed aveva deliberatamente scelto di restare latitante dopo la sua evasione del 1981”. Dunque, l’Italia ha rispettato tutte le norme dell’equo processo e della contumacia. In secondo luogo, la tesi che Battisti, se estradato, sarebbe stato sottoposto a trattamenti persecutori o discriminatori in violazione dei suoi diritti fondamentali è del tutto campata in afra. Basterebbe sfogliare i 9 rapporti sulle condizioni di detenzione nelle carceri italiane, pubblicati tra il 1992 e il 2009 dall’autorevolissimo Comitato del Consiglio di Europa contro la tortura e i trattamenti disumani e degradanti, per rendersi conto che, malgrado le non poche manchevolezze delle nostre carceri riscontrate da quell’organo internazionale (sovraffollamento, scarsezza di cure mediche, limitatezza delle attività lavorative o ricreative, problemi sollevati dall’articolo 41 bis, inadeguatezza dei luoghi di “ritenzione” di immigranti) esso non ha mai affermato che nelle carceri italiane i diritti dei detenuti vengono sistematicamente violati o che i detenuti vengono perseguitati o discriminati. Di fronte a questo grave smacco al nostro Paese, dobbiamo incassare e tacere? Osservo anzitutto che il Governo italiano, forse per una mancata o scarsa concertazione tra Ministeri di Giustizia e degli Esteri, ha omesso di adottare tra il 2010 e il 2011 misure che avrebbero potuto sbloccare la situazione. Anzitutto, avrebbe potuto proporre una “estradizione condizionata” in virtù della quale Battisti non avrebbe subito in Italia l’ergastolo (sconosciuto in Brasile) ma una pena detentiva minore. Soprattutto, l’Italia avrebbe potuto assicurare il Brasile che le condizioni di detenzione di Battisti sarebbero state controllate periodicamente, anche con visite improvvise, dal Comitato di Strasburgo contro la tortura (esistono precedenti: ad esempio, quel Comitato accerta come sono trattati, nel paese in cui scontano la pena, gli individui condannati dal Tribunale Penale dell’Aja per l’ex Jugoslavia: così il Comitato accerta regolarmente come il generale serbo-bosniaco Krstic, condannato per genocidio, è trattato nelle carceri inglesi). Il Comitato avrebbe dovuto poi fare rapporto sulle sue constatazioni sia al Brasile che all’Italia. Queste proposte avrebbero privato di ogni ragionevole giustificazione le assurde obiezioni di Lula e del Tribunale Supremo. Il Governo italiano avrebbe anche potuto compiere un altro passo: proporre al Brasile di far scontare in carceri brasiliane la pena inflitta a Battisti dai tribunali italiani, pur se ridotta di un certo numero di anni. Insomma: non ce lo volete consegnare? Ma allora che sconti almeno il grosso della pena nelle vostre carceri, che voi credete essere migliori delle nostre. Purtroppo il Governo italiano non si e mosso con la necessaria sagacia, ed ora ci troviamo davanti a questa sconcertante situazione, in cui uno Stato amico, il Brasile, non solo viola un trattato bilaterale, ma accusa l’Italia di calpestare i diritti dei detenuti. Possiamo accettare una simile offesa, anche se abbiamo importanti rapporti commerciali e militari con il Brasile? Penso di no. Cosa fare, allora? Rimane una strada. Andare davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, perché dichiari che il Brasile ha palesemente violato un diritto fondamentale dell’Italia. Si obietterà: l’articolo 18 del Trattato del 1954, che dà alla Corte dell’Aja competenza a pronunciarsi su controversie tra noi e il Brasile, prevede espressamente che una Parte che perde possa affermare davanti alla Corte di non essere in grado, in base al suo diritto costituzionale, di “cancellare” le decisioni del suoi tribunali contrarie al Trattato; in questo caso, continua la norma, “si provvederà ad accordare alla Parte lesa un’equa soddisfazione di altro ordine”. In altre parole: noi certamente vinceremmo davanti alla Corte dell’Aja, ma il Brasile obietterà che non può annullare le decisioni del Tribunale Supremo. Sarebbe dunque una vittoria di Pirro? Credo di no. Primo, avremmo la soddisfazione di far dire alla Corte dell’Aja che il Brasile ha violato un nostro diritto fondamentale. Secondo, potremmo chiedere come “equa soddisfazione” che il Brasile indennizzi in modo adeguato, le vittime o i parenti delle vittime dei gravi reati perpetrati da Battisti in Italia. Se il Brasile non vuole estradare Battisti per sue discutibili ragioni di politica interna, che almeno paghi congruamente le vittime italiane e i loro familiari. Non è molto, ma almeno ci permette di non subire passivamente un grave torto. |