SEGRETERIA TEL. 089241388
FAX 0892574357 INDIRIZZO PEC segreteria@pec.ordineforense.salerno.it
WEB MAIL
|
* Gli avvocati, indipendenza dell’organismo di conciliazione * di Maurizio de Tilla - Presidente OUA *
A parte le fondatissime ragioni di incostituzionalità della normativa sulla mediaconciliazione, è da denunciare una forte lacuna proprio nell'ottica dell'alternatività dei sistemi di risoluzione giudizialedelle controversie. Infatti la gestione del procedimento di mediazione, tanto come fase esaustiva nella soluzione dell'insorgenda controversia quanto come fase propedeutica al successivoesperimento dell'azione giudiziale, necessariamen te presuppone la competenza e la periziadell'avvocato. La competenza invocata dal legislatore quale criterio di selezione degli organismi di mediazione è anche più imprescindibile se si considerano gli effetti previsti dal legislatore per le ipotesi di mancata conclusione della conciliazione. Un esempio. L'art. 13 del decreto legislativo n. 28 del 2010, in aderenza ai criteri direttivi indicati, tra le spese processuali, nel terzo comma (lettera p) dell'art. 60 della legge n. 69 del 2009, prevede che «quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese, sostenute dalla parte vincitrice che l'ha rifiutata, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente». Anche tale norma presuppone inevitabilmente l'ausilio dell'avvocato nello svolgimento del procedimento di mediazione. Soltanto chi svolge con competenza la professione legale può profilare all'utente gli scenari processuali e l'impatto degli effetti della mancata accettazione di una proposta «ragionevole» sull'esito del giudizio. Un'altra riprova della necessità di un avvocato nei procedimenti di mediaconciliazione fa riferimento alla previsione dell'art. 12 del medesimo decreto legislativo, che disciplina l'efficacia esecutiva e l'esecuzione attribuendo al verbale di accordo omologato, il cui contenuto non sia contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, efficacia di titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. È evidente che l'incidenza degli effetti del verbale di accordo sulle posizioni giuridiche delle parti coinvolte e sulla titolarità dei relativi diritti reali e obbligatori, non può che presupporre la presenza di un soggetto non soltanto in possesso di un mero titolo di studio, come prevede il regolamento, quanto di una laurea specialistica in materie giuridiche e del comprovato esercizio dell'attività professionale legale. Anche le previsioni contenute nella legge delega e nel decreto 28 lasciano intendere questo dove pongono l'obbligo per l'avvocato di informare il proprio assistito, all'atto del conferimento dell'incarico, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione. Se si ritenesse che l'avvocato non sia l'unico soggetto idoneo in via esclusiva a svolgere attività di mediazione, si arriverebbe al paradosso di attribuire a lui l'onere di informare il proprio assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, demandando ad altri - ad altre categorie professionali - lo svolgimento della relativa attività. È evidente, allora, che la mancata previsione di idonei criteri di valutazione della competenza degli organismi di mediazione pone il regolamento sulla mediaconciliazione non solo e non tanto in palese contrasto con le previsioni di cui all'art. 16 del decreto, quanto con i principi generali e l'insieme delle disposizioni da esso contenute e con la stessa ratio dell'intera disposizione legislativa. Va dunque denunciata non soltanto la mancata osservanza degli articoli 5 e 16 del decreto legislativo n. 28, quanto l'incoerenza con l'intero impianto legislativo. Ma vi è un'ulteriore ragione di illegittimità della normativa: il legislatore delegante, nel fissare i principi cui si sarebbe dovuto attenere quello delegato, aveva stabilito un «doppio» requisito di indipendenza. Infatti aveva sancito che la mediazione dovesse essere svolta da organismi professionali che fossero indipendenti (lettera B della norma) tout court, dunque liberi da qualunque tipo di rapporto o legame che potesse, anche in astratto, pregiudicarne la terzietà; e che i singoli conciliatori dovessero essere neutrali, indipendenti e imparziali nello svolgimento delle loro funzioni (lettera R). Le due ipotesi, come si vede, erano completamente diverse, e tra di loro complementari: mentre il conciliatore doveva essere indipendente nello svolgimento delle funzioni - per cui, ad esempio, un dipendente pubblico, legato da un rapporto gerarchico, avrebbe potuto in astratto svolgere quel ruolo, purché la vicenda che era chiamato a trattare non interferisse con la attività svolta in regime di subordinazione -, l'organismo di conciliazione doveva garantire l'indipendenza non soltanto nello svolgimento delle funzioni, ma sempre. E perciò, per poter aspirare a quella qualifica, bisognava essere liberi da qualsiasi legame o collegamento con altri enti o soggetti che potessero condizionare il proprio operato. Perché si possa essere indipendenti, non vi devono essere rapporti di qualunque genere con altri organi, e l'indipendenza serve come garanzia contro gli abusi di potere anche di gruppi di interessi; come è, quindi, possibile attribuire caratteristiche del genere ad organismi che costituiscano articolazioni interne di altre associazioni, che potrebbero magari essere rappresentative proprio di quei gruppi di interesse dei quali si deve evitare il condizionamento? Sulla base delle prescrizioni dettate dal legislatore delegante, quindi, un'associazione confindustriale o sindacale - quale che fosse stata la natura dei propri iscritti - non avrebbe potuto costituire un organismo di mediazione come propria articolazione interna, perché è evidente che questo ne avrebbe minato l'indipendenza, che può essere messa a repentaglio non soltanto dall'eventuale conflitto di interessi del mediatore, ma anche dall'osmosi che i vincoli endoassociativi inevitabilmente generano: è sin troppo evidente che la commistione degli interessi creerebbe un viluppo inestricabile, destinato a minare in maniera irreparabile quell'indipendenza assoluta dell'organismo che il legislatore delegante aveva avuto cura di prescrivere unitamente a quella del singolo operatore. |