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* 9 MAGGIO 2011 * GIORNO DELLA MEMORIA PER LE VITTIME DE TERRORISMO * Il Presidnte Napolitano quest'anno ricorda i Magistrati, che con altri Servitori dello Stato. caddero vittima del piombo omicida di gruppi terroristici e delle mafie. * Il C.S.M. pubblica un libro "Nel loro segno" * A Salerno il 16 marzo 1980 fu ucciso Nicola Giacumbi,procuratore della Repubblica. *
"Il nostro omaggio". Testo del Presidente Napolitano che apre il libro "Nel loro segno" del CSM
Roma, 08/05/2011 "Il nostro omaggio" è il titolo del testo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che apre il libro "Nel loro segno" del Consiglio Superiore della Magistratura Il 9 maggio è il giorno del ricordo e del pubblico riconoscimento che l'Italia deve alle vittime del terrorismo. E' il giorno del sostegno morale e della vicinanza umana alle loro famiglie. Ed è il giorno della riflessione su quel che il nostro paese ha vissuto in periodi tra i più angosciosi della sua storia e che non vuole mai più, in alcun modo, rivivere. Già negli anni scorsi, al Quirinale, ho voluto mettere l'accento sul sacrificio di uomini di legge, per sottolineare come da magistrati, avvocati, docenti di diritto venne un contributo peculiare di fermezza, di coraggio e insieme di quotidiana serenità e umanità nello svolgimento di una funzione essenziale per poter resistere all'ondata terroristica e averne ragione : la funzione dell'amministrare la giustizia secondo legge e secondo Costituzione, sempre, contro ogni minaccia e ogni prevaricazione. La pubblicazione che il Consiglio Superiore della Magistratura ha curato con impegno partecipe e solidale vuole onorare i magistrati che al pari di tanti altri servitori dello Stato pagarono col sacrificio della vita i servigi alle istituzioni repubblicane, cadendo vittime della follia omicida di gruppi terroristici o dello spietato attacco delle mafie. Con essa si è cercato di restituire alla memoria riconoscente di ogni cittadino l'immagine - i volti, i percorsi di vita e di morte - dei magistrati caduti. I percorsi di vita, innanzitutto : perché non è accettabile che quegli uomini siano ricordati solo come vittime, e non come persone, che hanno vissuto, hanno avuto i loro affetti, il loro lavoro, il loro posto nella società, prima di cadere per mano criminale. In queste pagine, un mosaico di fitte testimonianze ci racconta la loro dedizione e la loro professionalità, la passione civile e il coraggio che li hanno animati nella lotta contro le forze della violenza eversiva, del crimine, dell'anti-Stato. Negli anni degli attentati terroristici, l'Italia corse rischi estremi. Sapemmo uscirne nettamente, pur pagando duri prezzi, e avemmo così la prova di quanto profonde fossero nel nostro popolo le riserve di attaccamento alla libertà, alla legalità, ai principi costituzionali della convivenza democratica, su cui poter contare. Ebbene, quelle riserve vanno accuratamente preservate, ravvivate, e messe in campo contro ogni nuova minaccia nella situazione attuale del paese e del mondo che ci circonda. E' infatti necessario tenere sempre alta la guardia sia contro il riattizzarsi di focolai di fanatismo politico e ideologico sia contro l'aggressione mafiosa. No alla violenza e alla rottura della legalità in qualsiasi forma : è un imperativo da non trascurare in nessun momento, in funzione della lotta che oggi si combatte, anche con importanti successi, soprattutto contro la criminalità organizzata, ma più in generale in funzione di uno sviluppo economico, politico e civile degno delle tradizioni democratiche e del ruolo dell'Italia. Sono convinto che anche questo sia il contributo che può venire - specie alle nuove generazioni - da una sempre più ricca pratica della memoria. Lo facciamo nello spirito che Vittorio Bachelet seppe, con lucida consapevolezza, indicarci prima di essere colpito dalla barbarie dei terroristi: "La testimonianza dei caduti per la libertà non sia solo onorato ricordo ma si traduca in un impegno morale ed uno sforzo di pratica efficienza per la difesa della libertà, per la costruzione di una convivenza civile più umana e serena che sappia cogliere e ordinare, in un disegno di giustizia, la tumultuosa crescita della nostra società". "Nel loro segno", il libro del CSM che quest'anno presentiamo nell'incontro del 9 maggio al Quirinale, testimonia pienamente la vitalità e la coralità di questo impegno. * * * * * * Ricordo di Nicola Giacumbi (da Il Mattino 13 aprile 2003- Edizione di Salerno) di Antonio Manzo «Spezzo il silenzio per contribuire a ricordare Nicola Giacumbi, per il suo sacrificio, il suo impegno per il lavoro, la sua profonda onestà nei confronti delle istituzioni e dello Stato». Centellina le parole, Lilly Di Renna Giacumbi, vedova del magistrato salernitano assassinato ventitre anni fa dalle Brigate Rosse colonna Fabrizio Pelli. Per lei, che conosce la sacralità della parola, la dignità del ricordo non sconfina mai nel pietismo del racconto della tragedia «dimenticata» dalla città distratta. E nello studio dove conserva ancora i libri, le pipe e gli orologi parla di questi lunghi anni che dovrebbero ancora pesare sulla distratta coscienza collettiva. Erano andati a cinema Nicola Giacumbi, procuratore della Repubblica facente funzioni, fu ammazzato dalla colonna salernitana delle Brigate Rosse la sera di domenica 16 marzo 1980. L’agguato avvenne in corso Garibaldi mentre rientrava a casa in compagnia della moglie, dopo una tranquilla domenica trascorsa tra la casa dei suoceri e al cinema Capitol dove proiettavano Kramer contro Kramer. Gli ultimi sessantuno passi della sua esistenza di magistrato, quanti ne corrono dal palazzo di Giustizia di corso Garibaldi al portone del palazzo ove abitava, Nicola Giacumbi li compì sabato 15 marzo 1980 intorno alle due del pomeriggio. E in quell’ultimo percorso, metafora della tragica circolarità della sua vita, mai avrebbe immaginato che, con la domenica di riposo, si sarebbe spalancato l’abisso della morte. Alle venti di domenica sedici marzo del 1980, Nicola Giacumbi, procuratore della Repubblica di Salerno facente funzioni, fu barbaramente assassinato, su corso Garibaldi, dal gruppo di terroristi delle Brigate Rosse, colonna «Fabrizio Pelli». Cinquantadue anni, fu sparato alle spalle, colpito con quattordici colpi di pistola con il silenziatore, mentre rientrava a casa con la moglie Lilly Di Renna, sfiorata da un proiettile alla nuca e viva per miracolo. Dietro di loro, l’immobilità perenne del Palazzo di Giustizia, l’impazzimento del traffico domenicale, l’incredulità delle facce di gente che, dietro i finestrini delle auto schiaffeggiate dal temporale, non riusciva a capire la disperazione di una donna con accanto il cadavere del marito colpito a morte. Nicola Giacumbi, da quella sera, non avrebbe mai più compiuto i sessantuno passi della tragica circolarità della sua vita. «Ho deciso di spezzare il mio silenzio, per ricordare un uomo e un magistrato. E farlo rivivere per i giovani che cercano testimonianze concrete nel deserto dei valori» dice Lilly Di Renna, la moglie di Nicola Giacumbi. Parla con la dignità di chi sa che la ricerca del ricordo vale solo per chi è in grado di subìre il tormento della memoria. E lo fa quando riappaiono gli istinti di morte dei terroristi, chiusi nella disperazione eversiva. Come quei giovani che ventitrè anni fa, da lei mai conosciuti e visti in faccia, assassinarono un magistrato-simbolo per accreditarsi nelle fila delle Brigate Rosse. «Mio marito aveva rifiutato la scorta. - ricorda - Perchè, non voleva far rischiare anche altri uomini, come era capitato a via Fani, due anni prima, nel corso del sequestro di Aldo Moro». Che girassero terroristi armati a Salerno, in quei giorni, lo sapevano tutti. Anche chi avrebbe dovuto garantire tutela al coraggioso Nicola Giacumbi che assunse il ruolo di «facente funzioni» di procuratore della Repubblica dopo le fughe per paura dal Palazzo di Giustizia, immutabile e di pietra, ieri come oggi. Sapevano che avrebbero mirato a Giacumbi. Fecero finta di niente. Prevedendo che quei terroristi «avrebbero solo gambizzato» Nicola Giacumbi, un uomo accogliente della vita, premuroso per i più deboli, profondamente fiducioso in chi gli si presentava di fronte, ma al tempo stesso rigoroso come lo sanno essere i borghesi meridionali che studiano Legge e buon senso. «Al massimo pensavamo che lo colpissero alle gambe» dissero gli investigatori del giorno dopo. Giacumbi era un uomo scomodo, con quel rigore di vita che si trasfonde nella vita di magistrato, per di più con il peso umano dell’inquirente. «Qualche giorno prima dell’agguato, stavamo facendo colazione - ricorda Lilly Di Renna - mio marito assunse un atteggiamento pensoso e mi disse: Non penso tanto a quel che mi può accadere, ma a te e a Giuseppe». La parola di Lilly Di Renna è agli antipodi dell’enfasi retorica. Per lei il ricordo pesa come ventitrè anni fa: ieri solo il dolore, oggi la dimenticanza. Perchè nella città dove la memoria è fatta di cenere e di vento, la dimenticanza del sacrificio di Nicola Giacumbi è stata qualcosa più grave di una rimozione. Perchè la dimenticanza «è la sciatteria della memoria». E qui, nella stora di Nicola Giacumbi, è capitato così: un sacrificio confinato nella zona grigia dei ricordi sbiaditi della città, come se fosse morto accidentalmente. E non invece per lo Stato, come spesso si declama. Per Lilly Di Renna quel Palazzo di Giustizia, immutabile e di pietra, «non esiste». Non per la ribellione del dolore, ma per la fatuità che troppo spesso mostrano le istituzioni incapaci di credibile autorevolezza. «In questi anni sono stata salvata da Giuseppe», sì quello che i cronisti dell’epoca chiamavano affettuosamente Giuseppone, quel batuffolo di appena sei anni oggi ingegnere chimico in una multinazionale a Brindisi. Di magistrati, neppure l’ombra negli anni della solitudine sconfitta dalla forza di una vita da formare. «Ho visto e sentito spesso Alfredo Greco, Luciano Santoro i cui figli sono stati compagni di scuola di Giuseppe. E, all’epoca dei fatti, Alfonso Lamberti segnato anche lui da una tragedia familiare, difficilmente comprensibile». Ma ora che il silenzio si è spezzato, in ogni memoria non potranno più franare giorni e sentimenti. Perchè a Salerno neppure la convenzione degli anniversari aveva garantito l’intermittenza del ricordo ad un magistrato buono e rigoroso. Antonio Manzo |