SEGRETERIA TEL. 089241388
FAX 0892574357 INDIRIZZO PEC segreteria@pec.ordineforense.salerno.it
WEB MAIL
|
* ACCERTAMENTO TRECNICO PREVENTIVO FUORI DAI CASI PER CUI E' OBBLIGATORI LA CONCILIAZIONE * Ordinanza del Tribunale di Varese.
L'ordinanza del Tribunale di Varese offre l'occasione per una riflessione sull'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c. come disegnato dalla novella del 2005.
Oggetto del provvedimento in questione è un ricorso qualificato come consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., per il quale il Giudice: a) ha ritenuto di dover sottolineare la natura giuridica dell'istituto, inserendolo tra le forme di ADR e sottolineandone la funzione conciliativa; b) ha ritenuto che in caso di CTU preventiva non sussistono le condizioni di procedibilità di cui all’art. 5, comma I, d.lgs. 28/2010 e il difensore non è obbligato alla comunicazione di cui all’art. 4, comma III, del medesimo decreto legislativo. La decisione è degna di nota ed attenzione sotto entrambi gli aspetti sopra indicati. La natura giuridica dell'istituto come forma di ADR In virtù della riforma introdotta dalla legge 80/2005, è possibile richiedere una c.t.u. preventiva anche al di fuori del requisito dell'urgenza, cioè al di fuori del requisito del c.d. periculum in mora (cui la legge condiziona le operazioni peritali di cui all'art. 696 c.p.c. ed in generale le forme di istruzione preventiva). Infatti a mente dell'art. 696 bis, rubricato “Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”: “L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'art. 696, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo art. 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale è esente dall'imposta di registro. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Si applicano gli artt. da 191 a 197, in quanto compatibili”. Pertanto, ove la domanda venga accolta ed il giudice disponga la consulenza, è previsto che all'esperto sia affidato il potere di conciliare le parti e – nel caso di buon esito – il relativo accordo contenuto nel verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale; inoltre il verbale di conciliazione gode dell'esenzione dall'imposta di registro. Secondo un autore (v. Plenteda, La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in www.altalex.com) la c.t.u. ex art. 696-bis c.p.c. si differenzia dell'a.t.p. perché pare configurare una prova «in luogo del processo» e non «prima del processo» o «in vista del processo»; in altre parole, tale tipologia di c.t.u. non è «strumentale» al successivo giudizio di merito, ma è essa stessa «strumento base» da cui partire per trovare una soluzione conciliativa tra le parti, tale appunto da evitare il giudizio di merito e dunque si tratta di diretto strumento di tutela del diritto sostanziale leso. L'ambito di applicazione del nuovo istituto non risulta ben definito dalla disciplina positiva di cui agli artt. 696-bis ss. c.p.c. ed i suoi confini sono stati, fin dal suo nascere, delineati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in via interpretativa e teleologica[i]. Se, per un verso, è subito stata sottolineata l'evidente funzione conciliativa dell'istituto, come strumento volto a favorire la soluzione transattiva della controversia insorta tra le parti, per altro verso, secondo alcuni autori, considerato il rilievo che spesso assume la quaestio facti in giudizio, tanto da esigere l'apporto tecnico-consulenziale del perito nominato dal giudice, il legislatore ha inteso consentire l'anticipazione di tale perizia prima dell'inizio del giudizio di merito, proprio per mettere le parti in lite nella condizione di svolgere un giudizio prognostico in ordine all'esito della causa, così da stimolare la dissuasione all'esito giudiziale e processuale della controversia insorta (cfr. Muroni,Resp. civ. e prev. 2010, 11, 2326). Pertanto in dottrina si è rilevato come alla base dell'istituto vi sia una “doppia anima”: la prima è quella che permette di utilizzarlo quale strumento di conciliazione della controversia tra le parti; la seconda è quella che riconosce alle parti il diritto di precostituire una prova prima e al di fuori del processo di merito, “a prescindere” dalla ricorrenza dei presupposti del fumus e del periculum (cfr. Nardo, La nuova funzione conciliativa dell'accertamento tecnico preventivo alla luce della recente legge n. 80/2005, in www.judicium.it). Come rilevato da quest'ultimo Autore la scelta in tal senso è stata dunque quella di riconoscere all'istituto una funzione di conciliazione della controversia; pertanto, esperita la relazione peritale, nel contraddittorio di tutte le parti interessate, la stessa relazione cui è pervenuto il c.t.u. può costituire “la base per una conciliazione della controversia fra le parti e ciò non più partendo dalle proprie valutazioni tecniche, eseguite dai propri periti di fiducia, ma per effetto di un accertamento tecnico svolto da un perito, terzo, nominato dal giudice, il quale, verificati lo stato dei luoghi, l’origine dei danni e le cause che le hanno determinate, individua finanche le possibili soluzioni e i rimedi per ovviare a tanto, offrendo quindi anche alle parti alcune ipotesi di soluzione della loro controversia”. Secondo tale impostazione le parti, avendo potuto accertare la esistenza o meno di determinati crediti in favore di una parte; quantificare esattamente le somme eventualmente dovute e legittimamente spettanti ad una o più parti; verificare in che misura andrebbero suddivise le responsabilità dirette e/o indirette delle parti e le specifiche obbligazioni a carico delle stesse; individuare le possibili soluzioni per superare i diversi contrasti tra le parti; accertare i costi e la loro suddivisione tra le pari eventualmente responsabili, si rendono conto della opportunità pratica di conciliare la loro controversia (cfr. Nardo, op. ult. cit.). In questa duplice finalità dell'istituto, la dottrina si è espressa nel senso di escluderne la natura e funzione cautelare. Anche il Tribunale di Varese, che si è espresso nel provvedimento in epigrafe, ha colto tale opzione interpretativa, affermando espressamente che «l’istituto non ha natura cautelare» e che «la prevalente giurisprudenza di merito (...) aderisce vuoi implicitamente vuoi esplicitamente alla tesi dottrinaria che inscrive l’istituto nell’alveo delle alternative dispute resolution, valorizzando la tensione della norma verso la composizione della lite, l’intervento di un terzo neutrale e le agevolazioni fiscali». Pertanto, secondo la pronuncia in commento, l'istituto in esame si pone come strumento alternativo di risoluzione delle controversie, non già come strumento cautelare di costituzione preventiva di un mezzo di prova. La soluzione adottata, oltre che rispondente all'opinione della prevalente dottrina, è già stata seguita dalla giurisprudenza di merito. Infatti così è stato ripetutamente affermato dal Tribunale di Busto Arsizio, 25 maggio 2010, con nota di Muroni in Resp. civ. e prev. 2010, 11, 2322): “la consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696 bis c.p.c. è nella sostanza uno strumento alternativo di risoluzione della controversia a scopo deflattivo del contenzioso civile e con fini, dunque, espressamente e primariamente conciliativi più che di cautela, di talché l'espletamento di tale consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al comma 1 dell'art. 696 c.p.c., ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Stante la citata funzione deflattivo-conciliativa dell'istituto non sono consentite interpretazioni eccessivamente restrittive e valutazioni formalistiche, salvo il caso in cui la possibilità conciliativa sia totalmente da escludersi come quando vi sia una contestazione radicale non già della responsabilità ma del rapporto da cui trarrebbe origine il credito da accertare; in tali casi, infatti, mancherebbe qualsivoglia punto di partenza per l'ipotesi di conciliazione e la consulenza preventiva rischierebbe di essere meramente esplorativa, volta alla precostituzione di un mezzo di prova al di fuori del requisito del periculum e non già ad evitare il giudizio di merito”. Secondo la giurisprudenza la finalità del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. (quale si desume dalla complessiva disciplina dell'istituto e dalla stessa rubrica "consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite") impone alle parti uno speciale impegno nell'individuazione di una soluzione transattiva e, pertanto, il rifiuto di valutare la possibilità di una definizione bonaria della controversia deve essere considerato ai fini della disciplina delle spese di lite all'esito dell'eventuale giudizio di merito (così Tribunale di Arezzo, 9 marzo 2010). Il ruolo del terzo Il Tribunale di Varese, nel sottolineare la primaria funzione conciliativa dell'istituto di cui all'art. 696 bis c.p.c., inserisce la consulenza tecnica preventiva nell'ambito delle ADR, c.d. Alternative Dispute Resolution, gli strumenti di risoluzione alternativa dei conflitti. Come rilavato, con la categoria delle ADR, infatti, l’art. 696-bis condivide la tensione verso una composizione non conflittuale della lite, in cui si esalta l’intervento di un terzo neutrale che ha il compito di promuoverla, anche grazie alle utilità rappresentate dalle agevolazioni fiscali e di accesso alla tutela esecutiva, nota comune dei «metodi informali» all’italiana (in tal senso Romano, Il nuovo art. 696 bis c.p.c., tra mediationed anticipazione della prova, in Corr. giur., 2006, 405 ss). Molti autori (cfr. per tutti Luiso, La conciliazione: i possibili sviluppi tratti dall’esperienza, in www.judicium.it), sottolineano il carattere autonomo e non eteronomo degli strumenti di risoluzione alternativi dei conflitti, in quanto mezzo per raggiungere un risultato voluto dagli interessati e non individuato da un terzo (sia esso giudice od arbitro). Nel provvedimento in commento il Tribunale si fonda sull'assunto per cui “consulenza tecnica preventiva (696-bis c.p.c.) e mediazione (d.lgs. 28/2010) perseguano la medesima finalità, introducendo entrambi gli istituti un procedimento finalizzato alla composizione bonaria della lite, così da apparire tra loro alternativi”. Tuttavia, a parte le finalità, a ben vedere le differenze ontologiche tra l'istituto di cui all'art. 696 bis c.p.c. e la mediazione sono notevoli, soprattutto sotto il profilo del ruolo del terzo, CTU da una parte e mediatore dall'altra. Nella mediazione il ruolo del mediatore è un soggetto terzo neutrale ed imparziale, indipendente, senza alcun potere decisorio sui fatti di lite (non è infatti giudice né arbitro), il quale mantiene la riservatezza su quanto gli viene comunicato dalle parti, sia esternamente (in quanto niente di quanto gli viene comunicato può essere riportato all'esterno senza espressa autorizzazione del dichiarante, e non può essere chiamato a testimoniare), sia internamente nel corso degli eventuali incontri separati e riservati (in quanto non comunica niente ad una parte senza la preventiva autorizzazione dell'altra). Nel procedimento di mediazione proprio la riservatezza costituisce una delle sue caratteristiche fondamentali, rendendo la procedura una sorta di black box da cui niente fuoriesce; tale precipua caratteristica è anche espressamente disciplinata dal decreto legislativo 28/2010, il quale all'art. 9 prevede che il mediatore (ma non solo, anche chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione) è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento. Viene quindi normato il principio della riservatezza esterna, come anche quello della riservatezza interna, considerato che al comma 2 del medesimo art. 9 si prevede che tutte le dichiarazioni o informazioni acquisite nel corso delle sessioni private sono coperte dalla riservatezza, salvo il consenso della parte dichiarante o da cui provengono le informazioni. Ma il principio di riservatezza viene preso in considerazione dal legislatore anche sotto il profilo dell'eventuale rapporto con il processo, prevedendosi all'art. 10 D.lgs. 28/2010 l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione, nelle ipotesi di giudizio, avente il medesimo oggetto, anche parziale, che sia iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione. Espressamente viene fatto salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Inoltre sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio. Difficilmente tali caratteristiche possono adattarsi a quel procedimento, quale la c.t.u. preventiva ex art. 696 bis c.p.c., del quale la giurisprudenza sottolinea essere “strumento alternativo di risoluzione delle controversie, non tanto come strumento cautelare di costituzione preventiva di un mezzo di prova, la cui finalità conciliativa risponde alla "ratio legis" deflattiva del contenzioso ordinario. Solo in secondo luogo, ove la conciliazione non riesca, la consulenza tecnica potrà essere "acquisita agli atti del successivo giudizio di merito", così realizzandosi l'effetto di parziale anticipazione dell'istruzione probatoria del procedimento ordinario” (Trib. Torino, 31 marzo 2008 in Giur. Merito 2008, 11, 2883). Anche in altro senso la distinzione ontologia tra i due istituti è rilevante. Come è stato sottolineato in dottrina, la consulenza tecnica preventiva può (o deve?) comprendere anche valutazioni in ordine alle cause ed ai danni relativi all'oggetto della verifica, nell'ottica di percepire, descrivere, analizzare e talora valutare economicamente i fatti controversi tra le parti; il riferimento normativo all'“accertamento e relativa determinazione dei crediti” indica quale rilevanza assuma in tale procedimento l'analisi dell'an di un dirittto soggettivo e del quantum del medesimo. Un tale natura sembra avvicinare maggiormente l'istituto ad una forma diADR conosciuto da tempo all’esperienza angloamericana come neutral expert fact-finding, nel quale il perito (il fact-finder) indicato dalle parti e competente nella materia, ha l'incarico di accertare gli elementi di una determinata controversia e conduce un’indagine indipendente sulla disputed technical issue che costituisce la questione principale della contesa, e di regola serve poi anche come mediatore, adoperandosi per una conciliazione che per lo più muove dalle ragioni e dai torti delle parti sul piano del diritto sostanziale, e dunque mostra un fondamento essenzialmente evaluative. Infatti, ove richiesto, il terzo potrà esprimere una valutazione; in ogni caso il suo accertamento potrà costituire la base della negoziazione delle parti[ii](cfr. anche Romano, ult. op. cit.). Vi è anche una somiglianza con altra forma di ADR angloamericana offerta dalla valutazione preliminare, la c.d. Early Neutral Evaluation (ENE), che ha lo scopo di promuovere la conclusione di una transazione quando la causa è ancora nella fase del pre-trial. In tale procedura un terzo neutrale, dopo aver ascoltato le argomentazioni delle parti esprime una valutazione (che non ha valore vincolante, in quanto è non binding) della controversia illustrando quello che che ritiene essere il possibile esito della causa. Altra forma è invece la Summary Jury Trial (SJT), una sorta di simulazione del processo, con una finta giuria, in cui la parte ha un tempo predeterminato a disposizione per convincere la giuria della propria tesi; la giuria emette una advisory judgement, non vincolante che aiuta le parti a capire i rischi di un processo vero e proprio. Ora, come sottolineato, uno degli aspetti fondamentali dei metodi di ADR, e della mediazione in particolare, èla garanzia di riservatezza del procedimento, con l'effetto dell’impossibilità – in caso d’insuccesso della mediazione– di utilizzare nel successivo giudizio quanto emerso dinanzi al terzo neutrale. Ciò riguarda sia le dichiarazioni rese nei caucuses, sia le eventuali proposte formulate o rifiutate dalle parti, alle early evaluations espresse dal mediatore, agli esiti delle indagini in punto di fatto comunque condotte. Al contrario, nel procedimento di cui all’art. 696-bis non solo manca qualunque garanzia normativa in tema di confidentiality, ma è addiritturaconcepita come «naturale» la destinazione al processo di merito della ricostruzione degli avvenimenti compiuta dal terzo neutrale: questa finisce dunque per fungere insieme da identico punto di partenza per il tentativo di conciliazione del perito e per il giudizio di diritto del magistrato (cfr. Romano, op. ult. cit.). Inoltre ci si chiede quale sia il modus procedendi di una procedura in cui la funzione conciliativa pare piuttosto un accidens. Infatti parrebbe che al consulente – di cui non è prevista alcuna specifica preparazione e e competenza in materia di tecniche di mediazione e conciliazione– sia richiesto anzitutto di procedere per proprio conto alle indagini, per giungere ad una conclusione e quindi alla predisposizione della perizia, mentre solo in un secondo momento, egli è chiamato a coinvolgere le parti nella ricerca di un accordo. Infatti l'ultima parte del primo comma dell'art. 696 bis recita: “Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti”. Pertanto non pare individuarsi un percorso, tra il terzo e le parti, finalizzato nel caso di specie alla chiarificazione di technical issues, in un contesto mediativo, come avviene di regola nel neutral expert fact-finding angloamericano. Piuttosto l'istituto pone le parti in lite nella condizione di svolgere un giudizio prognostico in ordine all'esito della causa, così da dissuaderle nei confronti della prosecuzione giudiziale e processuale della controversia insorta. Da quanto evidenziato, i tratti peculiari dell'istituto della consulenza tecnica preventiva, se pur rientrante tra le forme di ADR, tuttavia non ne consentono la riconducibilità piena ai modelli di mediazione, con riferimento precipuo al ruolo del c.t.u., all'essenziale mancanza di confidentiality ed all'assenza di garanzie circa la preparazione del perito nelle tecniche di mediazione. Seguendo tale ricostruzione non si può ritenere che c.t.u. preventiva e mediazione siano alternative, in quanto, pur avendo in comune una finalità conciliativa (o forse piuttosto deflattiva), possiedono caratteristiche e procedure ontologicamente distinte. Pertanto non pare condivisibile l'assunto del Tribunale di Varese nell'ordinanza de qua, secondo cui la consulenza tecnica preventiva e la mediazione sono alternative sicchè le norme di cui al d.lgs. 28/2010 appaiono “incompatibili logicamente e, quindi, non applicabili dove la parte proponga una domanda giudiziale per una CTU preventiva”. Pare difficile sostenere la non applicabilità del decreto legislativo 28/2010, il cui ambito di applicazione è, ai sensi dell'art. 2, ogni controversia civile e commerciale, purchè vertente in materia di diritti disponibili. L'obbligo di informativa Assume il Tribunale di Varese che “in caso di CTU preventiva, non sussistano le condizioni di procedibilità di cui all’art. 5, comma I, d.lgs. 28/2010 e il difensore non sia obbligato alla comunicazione di cui all’art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010”. Ora, secondo l'art. 4 co. 3 all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare, in modo chiaro e per iscritto, l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal decreto e delle agevolazioni fiscali[iii]. L'avvocato è altresì tenuto ad informare l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (pleonastico, ove si pensi che tale informazione rientra nel dovere di competenza professionale dell'avvocato e di informazione di cui all'art. 40 del codice deontologico forense, per il quale l'avvocato “è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all'atto dell'incarico delle caratteristiche e dell'importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili (...)”). Dalla lettura della norma e data la sua portata generale, non vi è alcun dubbio che tale dovere prescinda dalle controversie di cui all'art. 5 d.lgs. 28/2010, applicandosi la norma a ogni incarico conferito all'avvocato, purchè vertente in materia controversie civili e commerciali su diritti disponibili[iv]. In considerazione della formulazione della norma (“all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione...”), non solo se ne deve inferire la generale applicazione, ma che l'obbligo di informativa gravi tanto sulla parte attrice quanto sulla parte convenuta. Con l'effetto che la violazione del predetto obbligo informativo è sanzionata con l'annullabilità del contratto tra l'avvocato e l'assistito, con il che si rimette al cliente (e non alla controparte – cfr. Trib. Varese, 1 marzo 2011) l’iniziativa di farne valere il vizio, escludendosi la rilevabilità d’ufficio. Pertanto, in considerazione della formulazione della norma, non pare possibile escludere l'obbligo di informativa, anche alla luce della considerazione che la mediazione può essere considerata dalla parte come alternativa valida utilizzabile, ai fini della controversia, onde il cliente deve, ai sensi della norma introdotta dal co. 3 dell'art. 4 d.lgs. 28/2010, esserne informato, al fine di valutare le conseguenze, le differenze, le utilità di una procedura (mediazione) piuttosto che di un'altra (c.t.u. preventiva), tale essendo lo scopo precipuo della norma. (Altalex, 2 maggio 2011. Nota di Adriana Capozzoli. Si ringrazia per la segnalazione il dott. Giuseppe Buffone) [i] Cfr., per la dottrina tra i tanti contributi, Ansanelli, Esperti e risoluzione anticipata delle controversie civili nei nuovi artt. 692 e 696 c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1245 ss.; Asprella, Sub art. 696-bis, in Codice di procedura civile-Commenti al nuovo rito riformato, a cura di Picardi, Milano, 2005, 96 ss.; Balena, L'istruzione preventiva, in Balena-Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 367 ss.; Besso, Consulenza tecnica e preventiva ai fini della composizione della lite, in Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da Chiarloni, II, Bologna, 2007, 1316 ss.; Besso, La prova prima del processo, Torino, 2004; Bonatti, Un moderno dottor Jeckyll: la consulenza tecnica conciliativa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 247 ss.; Casamassima, Il nuovo accertamento tecnico preventivo, Milano, 2004;Conte, Sui limiti di ammissibilità della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., nota a Trib. Milano, 17 aprile 2007, cit.; Crocini, La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in www.altalex.com; Cuomo Ulloa, Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, [agg. 2007], in Dig. civ., I, Torino, 273 ss.; Gentili, Accertamenti preventivi a contenuto più ampio, in Guida dir., 2005, f. 22; Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in Riv. dir. proc., 2005, 815 ss.; Giallongo, Accertamento tecnico preventivo e tutela cautelare nell'arbitrato irrituale dopo la legge n. 80 del 2005, in Giur. it., 2006, 214 ss.; Giallongo, Le modifiche al c.p.c. - Contributi per una riflessione, in www.judicium.it; Guaglione, Commento agli artt. 696 e 696-bis c.p.c., in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani-Monteleone, Padova, 2007, 525 ss.; Masoni, La consulenza tecnica d'ufficio e l'accertamento tecnico preventivo dopo le riforme processuali del 2005, in Giur. it., 2007, 2525, nota a Sez. Un. civ., 20 giugno 2007, n. 14031 (ord.); Muroni, La duplice funzione della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p,c ai fini della definizione del relativo ambito di applicazione, Resp. civ. e prev. 2010, 11, 2326;Nardo, La nuova funzione conciliativa dell'accertamento tecnico preventivo alla luce della recente legge n. 80/2005, in www.judicium.it; Picozza, Brevi osservazioni sulle novità in tema di istruzione preventiva, in Riv. dir. proc., 2006, 1023 s.; I. Pagni, I limiti dell’accertamento tecnico preventivo ancora al vaglio della Corte costituzionale, in Foro it. 2000, c.1074; Panzarola, Sub. Art. 696 e 696-bis, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio Capponi, Padova, 2007, I,. 253 ss., spec. 280; Plenteda, La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in www.altalex.com; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche. I procedimenti speciali e l'arbitrato, Torino, 2008, III, 74 s.; Romano, Commento all'art. 696-bis c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, diretto da Consolo, III, Milano, 2010, 788 ss.; Romano, Il nuovo art. 696 bis c.p.c., tra mediation ed anticipazione della prova, in Corr. giur., 2006, 405 ss.; Salvaneschi, I procedimenti di istruzione preventiva, in Consolo-Luiso-Menchini-Salvaneschi, Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, 109 ss., spec. 113 ss.; Sciabetta, Il nuovo art. 696-bis c.p.c.: la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Giur. Merito, 2006, 267; Querzola, Sub art. 696-bis, in Carpi-Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2006, 1972;Visalli, La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite quale provvedimento anticipatorio ai sensi dell'art. 669 octies, ottavo comma, c.p.c., in www.altalex.com. Per la giurisprudenza cfr. Cass. Sent. 2317/2011; Trib. Busto Arsizio 25 maggio 2010; Trib. Busto Arsizio 19 aprile 2010; Trib. Arezzo, 9 marzo 2010; Trib. Vicenza, 14 gennaio 2010, et alia. [ii] Altro è la Med-Arb (Mediation-Arbitration) procedura in cui si assiste alla combinazione di mediazione e arbitrato, declinata in svariate forme come Med-then-Arb (in cui mediatore e arbitro sono persone diverse), oppure Shadow-Mediation (in cui, con ruoli separati, il mediatore partecipa alla fase successiva dell'arbitrato come spettatore), oppure ancora la Co-Med-Arb, in cui sono riuniti aspetti della mediation, della shadow-mediation, dell'arbitrato e del mini-trial. Per approfondire l'esame di tali strumenti cfr. CICOGNA M. - DI RAGO G. - GIUDICE G.N., Manuale delle tecniche di mediazione nella nuova conciliazione. Il ruolo dell'avvocato, Maggioli 2010, 36; DE PALO G. - D'URSO L. - GOLANN D., Manuale del mediatore professionista, Giuffrè 2010, 49 ss.; COSI G., Invece di giudicare - Scritti sulla mediazione, Giuffrè 2007, 31 ss. [iii] La norma costituisce l'attuazione dell'art. 60 lett. n) L. 18 giugno 2009 n. 69, che aveva attribuito al Governo il compito di “prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell'istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione”. Già la direttiva 2008/52/CE al venticinquesimo considerando rileva che “gli Stati membri dovrebbero incoraggiare i professionisti del diritto a informare i loro clienti delle possibilità di mediazione”. [iv] Cfr. l'ordinanza Tribunale di Varese, sez. I civ. del 6 - 9 aprile 2010 – Rel. Buffone, per cui non vi sarebbe obbligo di informativa per le controversie in materia di diritto delle persone e della famiglia. A parere di chi scrive, tuttavia, laddove questioni pur involgenti il diritto delle persone e della famiglia abbiano tuttavia un portato economico o comunque, più in generale, di natura disponibile (come assai di frequente accade, ad esempio, proprio nelle separazioni tra coniugi, in cui la lite si sposta sulla quantificazione delle spese straordinarie, oppure sulla misura del mantenimento in relazione alla capacità retributiva dei coniugi), sarebbe utile, ma forse anche doveroso, illustrare al proprio assistito la possibilità di tentare di trovare un accordo dinnanzi ad un terzo neutrale ed imparziale, potendo contare sulla riservatezza di un procedimento del tutto informale. |