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* * * PERCHE’ LA MEDIA-CONCILIAZIONE E’ INCOSTITUZIONALE SETTE FONDATE QUESTIONI DI INCOSTITUZIONALITÀ DEL D.LG. 28/10 SULLA MEDIACONCILIAZIONE OBBLIGATORIA ** *
Sezioni: FOCUS
Autore Fonte OUA
Data di pubblicazione 22/03/2011

1. Violazione degli artt. 76 e 77 Cost.
La obbligatorietà della mediaconciliazione viola la Costituzione, tanto più perché
collegata alla mancata previsione di necessità dell’assistenza dell’avvocato.
Anzitutto va chiarito che il legislatore delegante – in conformità alla prescrizione
impartita dalla Direttiva Europea – aveva stabilito che dovesse essere introdotto un
meccanismo di conciliazione, ma non ne aveva affatto previsto la obbligatorietà,
né aveva consentito che essa potesse essere considerata condizione dì procedibilità della
domanda giudiziaria.
Il d.lgs. 28/10 è, quindi, viziato per eccesso di delega, in quanto appare evidente che una
condizione di procedibilità di una domanda giudiziaria, ex art. 24 Cost., può essere
introdotta esclusivamente dal legislatore, e quindi il Governo avrebbe potuto farlo
soltanto se ne fosse stato autorizzato dalla legge di delega.
Si ha così la palese violazione degli artt. 76 e 77 Cost. per contrasto tra la legge
delega e il decreto legislativo.
Va, in proposito, osservato che l’art. 60 della legge 69/09 (legge delega) al terzo comma
lett. a) prescrive che nell’esercizio della delega il Governo si attenga, tra gli altri, al
seguente principio e criterio direttivo “ ... a) prevedere che la mediazione,
finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti
disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia”.
Orbene, in aperto contrasto con la prescrizione della legge delega, l’art. 5 del d.lgs. 28/10
configura il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda
giudiziale, di fatto precludendo l’immediato accesso alla giustizia.
Il d.lgs. 28/10, concependo il procedimento di mediazione quale propedeutico alla
domanda giudiziale, rischia di compromettere l’effettività della stessa tutela giudiziale.
Non può argomentarsi, in senso contrario, che la mediazione di cui all’art. 5 del d.lgs.
28/10 non preclude l’accesso alla giustizia, poiché attivato il procedimento di mediazione
e trascorsi i quattro mesi di cui all’art. 6, l’accesso alla giustizia è possibile, e la condizione
di procedibilità della domanda è assolta.
Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la parte possa adire il giudice è
circostanza del tutto evidente, e certamente non v’era bisogno che la legge ricordasse una
ovvietà del genere, poiché nel nostro sistema è impensabile che, dopo una condizione di
procedibilità, non si possa procedere, ovvero non si dia alla parte il diritto della tutela
giurisdizionale.
Pertanto, se l’art. 60 della l. 69/09 aveva stabilito che la mediazione doveva darsi “senza
precludere l’accesso alla giustizia”, essa, evidentemente, non faceva riferimento alla
possibilità della parte di adire il giudice dopo la mediazione, cosa scontata e ovvia, ma
faceva riferimento alla necessità che la mediazione non condizionasse il diritto
di azione, e quindi non fosse costruita come condizione di procedibilità.
Né può argomentarsi che il problema non sussiste per la brevità del termine di quattro
mesi, cosicché la condizione di procedibilità dell’art. 5 sarebbe compensata dal termine
breve fissato nell’art. 6.
Ciò, infatti, non può sostenersi perché il termine breve di quattro mesi era già stato
fissato dalla legge delega, e precisamente nella lettera q) dell’art. 60, la quale, al tempo
stesso, però, voleva che il procedimento di mediazione si desse comunque senza
“precludere l’accesso alla giustizia”.
Dunque, la legge delega voleva sia che il procedimento di mediazione non
durasse più di quattro mesi, sia che il procedimento di mediazione non
precludesse l’accesso alla giustizia.
L’argomento della brevità del termine non può quindi essere utilizzato per escludere
l’eccesso di delega, poiché, al contrario, il d.lgs. 28/10, mantenendo il termine già fissato
nella lettera q) dell’art. 60 della l. 69/09, non ha però rispettato la medesima disposizione
di legge nella parte in cui escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di
procedibilità della domanda, ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata,
l’accesso al giudice.
Nel rispetto dell’art. 60 della legge delega 69/09, l’obbligatorietà del procedimento di
mediazione in tutte le ipotesi dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 non poteva dunque darsi.
L’art. 5 del d.lgs. 28/10, in contrasto con l’art. 60 della l. 69/09, è pertanto
incostituzionale per violazione degli artt. 76 e 77 Cost.

2. Violazione degli artt. 24, 76 e 77 Cost.
Il d.lgs. 28/10, all’art. 16 e nell’intero capo terzo intitolato “organismi di mediazione”,
disattende palesemente la previsione della delega.
Non vi è, infatti, traccia, di qualsivoglia criterio o parametro volto a selezionare gli
organismi deputati alla mediazione in base a criteri di professionalità ed indipendenza.
L’art. 16, infatti, si limita a stabilire che qualunque ente pubblico o privato che dia
garanzie di serietà ed efficienza sia abilitato a costituire un organismo di mediazione.
Con ciò disattendendo la previsione della delega ove circoscrive lo svolgimento
dell’attività di mediazione esclusivamente in capo ad organismi professionali ed
indipendenti e dunque attuando, al di là delle previsioni della stessa legge delega, una
sorta di liberalizzazione nella costituzione e abilitazione degli organismi di mediazione.
Entrambe le previsioni del d.lgs. 28/10, tanto l’art. 5 quanto l’art. 16, si pongono,
pertanto, in aperto contrasto con le previsioni della legge delega.
Quando invece, alla stregua dell’univoco orientamento della giurisprudenza
costituzionale, “il potere di riempimento dai legislatore delegato, per quanto ampio possa
essere, non può mai assurgere a principio o a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di
una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega” (Corte
Costituzionale 12 ottobre 2007 n. 340).
Nel caso della mediaconciliazione, utilizzando i parametri di controllo della conformità
della norma delegata alla norma delegante univocamente indicati dalla stessa
giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 44/2008, 71/08, 98/08, 230/10) emerge,
infatti, l’incoerenza delle previsioni degli artt. 5 e 16 del d.lgs. 28/10 con la previsione
dell’art. 60 l. 69/09.
Ad avviso della giurisprudenza costituzionale il contenuto della delega deve essere
identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono
la legge delega ed i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano,
che costituiscono non solo base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per
l’interpretazione della loro portata.
Orbene la previsione di cui all’art. 60 della l. 69/09, in aderenza agli impulsi
dell’ordinamento comunitario ed in particolare alle previsioni della direttive
2008/52/CE, era orientata a garantire l’introduzione di sistemi alternativi e celeri di
tutela delle posizioni giuridiche integranti “diritti disponibili” nonché la “qualità della
mediazione” attraverso l’individuazione di organismi professionali ed indipendenti.
Tutto ciò è ben lungi dall’essere realizzato ove si consideri la portata ed il tenore di
previsioni, qual è quella dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 volta ad appesantire il procedimento
di tutela delle posizioni dei singoli, attraverso l’introduzione obbligatoria di un
procedimento non alternativo e facoltativo, ma obbligatorio e propedeutico all’accesso
alla giustizia; nonché quella dell’art. 16 del medesimo decreto volta ad escludere dai
criteri di selezione degli organismi di mediazione qualsivoglia parametro di
“professionalità” ed “indipendenza”, quali parametri invero indicati dalla legge delega.
L’effetto di entrambe le previsioni è la violazione della delega e lo snaturamento della
funzione che il legislatore delegante aveva attribuito al procedimento di mediazione ed
agli organismi professionali ed indipendenti deputati alla mediazione.
Tutto ciò in palese violazione dei principi costituzionali che sorreggono la disciplina della
legislazione delegata ed ancor più, sul piano sostanziale, la violazione degli artt. 76 e 77
e del principio del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione.

3. Violazione dell’art. 24 Cost.
Si deve prendere atto che la mediazione di cui al d.lgs. 28/10 ha un costo, e lo ha anche
nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, visto che lo stesso art. 16, 40 comma del d.m. 10
ottobre 2010 n. 180 espressamente prevede che detto costo “deve essere ridotto di un
terzo nelle materie di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs.”.
Si eccepisce, al riguardo, che la mediazione può essere obbligatoria, oppure
onerosa, ma non le due cose insieme, poiché se la mediazione, come nel nostro
caso, è tanto obbligatoria quanto onerosa, allora è incostituzionale.
Sembra evidente, infatti, che il legislatore possa prevedere la mediazione come scelta
libera e cosciente della parte, e in questi casi, quindi, anche prevedere che, chi la scelga,
debba pagare il servizio; oppure il legislatore può subordinare l’esercizio della funzione
giurisdizionale ad un previo adempimento, se questo è razionale e funzionale ad un
miglioramento del servizio giustizia, ed in questo senso, come è avvenuto con l’art. 410
c.p.c., può anche prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione, ma senza costi.
Se viceversa il tentativo obbligatorio di conciliazione ha un costo, e questo costo non è
meramente simbolico, come avviene con l’art. 16 d.m. 180/10, allora, nella sostanza, il
sistema subordina l’esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma
di denaro.
Il Governo, quindi, non si è limitato ad imporre una condizione di procedibilità che non
era stata consentita, ma ha anche stabilito che i relativi costi dovessero cedere
(quanto meno in via di anticipazione) a carico del cittadino, il quale vedrà così
gravemente ostacolato quell’accesso alla Giustizia che la Costituzione garantisce a tutti.
Chi di noi, al cospetto di una vertenza di entità economica modesta, non sarà costretto a
rinunziarvi, per evitare di dover anticipare, nell’ordine: la indennità dovuta al
conciliatore; il compenso all’ausiliare tecnico di quest’ultimo, se necessario; il contributo
unificato.
E poiché il nostro sistema non può subordinare l’accesso al giudice al pagamento di una
somma di denaro, la media-conciliazione è in contrasto con i nostri valori costituzionali,
e in violazione dell’ art. 24 Cost.
Ciò è affermato anche alla luce degli orientamenti che la Corte costituzionale ha già
avuto su questi temi.
Sostanzialmente, il legislatore può pretendere versamenti per la funzione giurisdizionale
civile solo se questi sono riconducibili a tributi giudiziari o a cauzioni volti a garantire
l’adempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio.
In tutti gli altri casi, e fin da Corte costituzionale 29 novembre 1960 n. 67, lo Stato non
può pretendere versamento di somme per adempiere al suo primo e fondamentale
dovere di rendere giustizia.
E l’imposizione del pagamento di una somma di denaro per l’esercizio di un diritto in
sede giurisdizionale, quale oggi si realizza con la media-conciliazione in forza del
combinato disposto dell’art. 5 d.lgs. 28/10 e art. 16 d.m. 180/10, si pone pertanto in
contrasto con tutti i parametri di costituzionalità per come già definitivi in precedenti
decisioni dalla Corte costituzionale, in quanto:
a) si tratta di un esborso che non può essere ricondotto né al tributo giudiziario, né alla
cauzione;
b) si tratta di un esborso che non può considerarsi di modestissima, e nemmeno di
modesta, entità;
e) si tratta di un esborso che non va allo Stato, bensì ad un organismo, che potrebbe
addirittura avere natura privata;
d) e si tratta infine di un esborso che nemmeno può considerarsi “razionalmente
collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno
svolgimento meglio conforme alla sua funzione”, poiché questi esborsi, di nuovo, sono
da rinvenire solo nelle cauzioni e nei tributi giudiziari, non in altre cause di pagamento, e
perché un esborso che non va allo Stato ma ad un organismo, anche di natura privata,
non può mai avere queste caratteristiche.
4. Violazione art. 24 Cost. (Segue)
Il legislatore delegante nulla aveva detto circa la necessità di una difesa tecnica nel corso
del procedimento di mediazione; tuttavia, aveva avuto cura di evitare che il suo
svolgimento potesse avere ripercussioni di sorta sulla decisione di merito del processo:
nella legge di delega, il rifiuto della proposta formulata dal mediatore, e poi ritenuta equa
dal Giudice, poteva influire sul governo delle spese, ma non mai sull’esito della lite.
Nel fare uso del potere delegatogli, invece, il Governo, all’art. 8 del decreto legislativo
28/20 10, ha introdotto la previsione secondo cui dalla mancata partecipazione
senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può
desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116 secondo
comma del codice di procedura civile.
In buona sostanza, una scelta che la parte potrà fare senza l’ausilio di un difensore –
partecipare oppure no al procedimento di conciliazione – potrà condizionare in misura
determinante l’esito del successivo processo; è noto, infatti, che il comportamento
processuale o extraprocessuale delle parti può costituire, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non
solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente
prova idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito (così, tra le tante, Cass. 20
giugno 2007 n. 14748).
Ne risulta evidente la violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione,
diritto che, come è noto, è la potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale in
qualsiasi fase del processo e quindi anche in quelle fasi prodromiche dal cui svolgimento
è possibile desumere argomenti di prova, nonché l’eccesso di delega ex art. 76 Cost.
avendo il legislatore delegato introdotto una possibilità di acquisire elementi di prova pur
in assenza di difesa tecnica che il Delegante non aveva permesso mai.
La mancata previsione della obbligatorietà della presenza dei difensori rileva anche sotto
un diverso – e forse addirittura più pregnante – profilo.
Quell’assistenza tecnica, quale che sia il valore della controversia, non è obbligatoria, ma
non è neppure vietata: è facoltativa.
Il che sta a significare che, chi è in grado di pagarseli, potrà farsi rappresentare da fior di
avvocati, consulenti di parte esperti, professionisti di grido, e chi è povero no: dovrà
arrangiarsi da solo, perché, non essendo obbligatoria la presenza di un avvocato, non
sarà possibile ricorrere al patrocinio a spese dello Stato.
Una anziana pensionata ultraottantenne, e munita del diploma di licenza elementare, se
non sarà in grado di anticipare (oltre a quelli per il mediatore) i compensi per un
avvocato, potrà trovarsi di fronte un battaglione di agguerriti specialisti, ma dovrà
discutere da sola una proposta di conciliazione in una controversia avente ad oggetto
(citiamo a mò di esempio) i tango-bond, o un altro sofisticato prodotto finanziario.

5. Violazione degli artt. 24, 76 e 77 Cost.
Un forte contrasto del d.lgs. 28/10 con la legge delega si ha per ciò che riguarda i riflessi
del diniego all’accoglimento della proposta del mediatore, sull’iter del successivo giudizio
e segnatamente sulla disciplina delle spese di lite. Il fatto che alla parte vincitrice del
giudizio che non abbia accettato una proposta conciliativa che sia venuta a coincidere
con il contenuto della decisione giudiziaria, debbano essere accollate le spese di lite
proprie e della controparte, oltre al pagamento di un importo pari al contributo unificato
e alle spese di mediazione, costituisce infatti un evidente deterrente “forzato” dal
ricorrere alla tutela giudiziaria ed accettare l’esito della mediazione. Ciò in quanto di
fronte alla proposta del mediatore, la parte quasi sicuramente preferirà non rischiare,
finendo per accettare ob torto collo la soluzione stragiudiziale segnalatagli, anche se non
ne è convinta appieno ed anche se può ritenerla ingiusta, piuttosto che ricorrere alla
tutela giudiziaria che avrebbe potuto offrirgli un risultato anche migliore.
È questo il punto su cui si giocano ulteriori dubbi di costituzionalità per eccesso di
delega con riferimento alla già riferita lett. a) dell’art. 60 della l. n. 69 del 2009, che aveva
posto come preciso criterio direttivo quello per cui l’attuazione della mediazione non
dovesse in alcun caso precludere il ricorso alla tutela giudiziaria. Preclusione che invece
può aversi nel caso della proposta conciliativa, che sfacciatamente dissuada
psicologicamente la parte dal ricorso al giudizio al quale ha diritto e che potrebbe
garantirgli anche un migliore risultato.
Si noti che la parte potrà trovarsi di fronte anche a proposte che a causa di una possibile
impreparazione tecnica del mediatore potranno rivelarsi erronee o squilibrate, anche
inconsapevolmente, a favore di uno dei soggetti della lite. Eppure, pur nella probabile
infondatezza di tali proposte, la parte di fronte allo spettro delle pesanti conseguenze
sulle spese, può precludersi il ricorso a quella che è l’unica strada naturale e garantistica
per la composizione delle liti, data appunto dalla tutela giurisdizionale.

6. Violazione dell’art. 3 Cost.
La media-conciliazione rompe altresì il trattamento paritario nel processo tra attore e
convenuto.
Ciò già avviene con il d.lgs. 28/10, che prevede la condizione di procedibilità ex art. 5
per la domanda principale e non per la domanda riconvenzionale, ma oggi, più
gravemente, avviene con l’art. 16 d.m. 180/10, concernente i criteri di determinazione
delle indennità.
Tale disposizione, infatti, divide le indennità del procedimento di mediazione tra “spese
di avvio del procedimento” e “spese di mediazione”.
Le “spese di avvio del procedimento” sono dovute da “ciascuna parte” ma sono versate
“dall’istante al momento del deposito della domanda” (2° comma).
Parimenti “le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che
ha aderito al procedimento”.
Dunque, il decreto ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta possa non
aderire al procedimento.
Cosicché, ai sensi dell’art. 3 Cost.: a) o si ritiene che anche l’attore possa non aderire al
procedimento, e quindi possa versare la sola spesa di avvio del procedimento ai fui
dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 con contestuale dichiarazione di non voler avvalersi del
servizio; b) oppure il sistema è in violazione del principio d’eguaglianza, consentendo
solo alla parte convenuta di non aderire al procedimento, ma non alla parte attrice, che si
vedrebbe ob torto collo obbligata al procedimento di mediazione per poter far valere in
giudizio un suo diritto.
L’istituto della media-conciliazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 28/10, in combinato
disposto con l’art. 16 d.m. 180/10, in questi termini, non viola così solo l’art. 24 Cost.
(per essere, al tempo stesso, obbligatoria e onerosa), ma viola anche l’art. 3 Cost., perché
pone su piani diversi, e tratta diversamente, la parte attrice rispetto a quella convenuta.
Né, contro questo argomento, si può sostenere che la diversità di trattamento dipende
dalla diversità delle pretese, perché è l’attore che vuoi adire il giudice, non il convenuto.
Un rilievo del genere può esser fatto solo da chi veda nell’attore un rompiscatole da
arginare e non la parte che ha subito un torto e chiede giustizia.
Adire il giudice è un diritto costituzionale, e chi intende farlo non deve subire pregiudizi
rispetto alle altre parti processuali, che possono essere proprio quelle che hanno causato
l’insorgere della lite per una violazione di legge.
Altrimenti il sistema, oltre ad infrangere il trattamento paritario delle parti in giudizio,
rischia altresì di compromettere seriamente l’elementare dovere del rispetto delle
obbligazioni, con gravi ripercussioni non solo sul diritto, ma anche sull’economia.
7. Violazione degli artt. 24, 76 e 77 Cost.
Un settimo aspetto di incostituzionalità attiene all’organizzazione interna degli organismi
di conciliazione, anche per come definiti con l’art. 4 del d.m. 180/10.
Ed infatti, nel momento in cui la procedura di mediazione è resa obbligatoria alfine di
far valere in giudizio un diritto, e nel momento in cui le attività del mediatore
interferiscono con l’esercizio della funzione giurisdizionale, in quanto i verbali di
conciliazioni costituiscono titolo esecutivo (art. 12, d.lgs. 28/10), le proposte di
conciliazione hanno conseguenze sulla liquidazione delle spese del giudizio (art. 13, d.lgs.
28/10), nonché la mancata partecipazione al procedimento di mediazione può rilevare ex
art. 116, 2° comma c.p.c. (art. 8, d.lgs. 28/10), va da sé che il procedimento ha funzione
pubblica, e deve pertanto rispondere ai requisiti di buon andamento e di imparzialità di
cui all’art. 97 Cost., soprattutto quando l’organismo è ente pubblico.
Ora, niente di questo si trova nell’art. 4 del d.m. 180/10, che usa talune espressione
elastiche, e fissa blandi criteri di professionalità dei mediatori, ma niente più, senza
prescrivere come doverose le condizioni minime di trasparenza, eguaglianza e
imparzialità dovute all’esercizio di una funzione pubblica.
In particolare il decreto ministeriale doveva prevedere criteri oggettivi circa
l’assegnazione delle pratiche fra i vari mediatori dell’organismo, nonché criteri oggettivi
circa il reclutamento degli aspiranti mediatori presso gli organismi costituiti da enti
pubblici.
Soprattutto, sotto il primo aspetto, l’assegnazione della pratica al singolo mediatore
all’interno dell’organismo
andava fissata con criteri oggettivi, analoghi, seppur in forma semplificata, a quelli che
sussistono nei tribunali con il sistema c.d. tabellare, visto che, come detto, l’attività del
mediatore interferisce con la giurisdizione.
Il dm. 180/10 è rimasto viceversa silente sul punto, lasciando così la questione alla
discrezionalità dell’organismo, che la regolerà in base al proprio statuto.
In questo modo si potranno avere statuti che prevedranno l’assegnazione delle pratiche
su designazione discrezionale del presidente, oppure di un garante, singolo o collegiale, o
di altro soggetto, all’uopo istituito.
L’art. 5 d.lgs. 28/10, in combinato disposto con l’art. 4 del d.m. 180/10, si pone pertanto
in contrasto con l’art. 97 Cost., visto che l’assenza di un meccanismo oggettivo e
predeterminato per l’assegnazione delle pratiche rischia di compromettere l’indipendenza
e la terzietà del mediatore, attribuendo un potere gestionale inammissibile all’organismo.
È la violazione dell’art. 97 Cost. si evidenzia come fondata ove solo si considera che
l’attività del mediatore interferisce come detto con quella giurisdizionale, e quindi ha la
necessità di essere esercitata alla luce di detti criteri di trasparenza, indipendenza e
imparzialità.
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