Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Salerno
SEGRETERIA TEL. 089241388
FAX 0892574357
INDIRIZZO PEC
segreteria@pec.ordineforense.salerno.it
CASSA FORENSE NEWS
* * * I fantasmi a volte ritornano. Specie se li rievochiamo, la suggestione diventa forte. Anche perchè le esperienze passate hanno lasciato il segno, con la soppressione del Tribunale di Sala Consilinae e di alcune importanti sezioni come quella di Eboli. E' una prestigiosa associazione di avvocati, la Camera Penale Salernitana, che ha rispolverato nei giorni scorsi lo spettro di nuove soppressioni di uffici giudiziari nella provincia di Salerno, già colpita nel 2012 dalla "epocale" qunto nefasta riforma completata dalla Ministra Severino. Per la verità non si tratta di una novità assoluta,...
WEB MAIL
RELAZIONE DELLA D.SSA FEDERICA STELLAVATECASCIO SU ALCUNE QUESTIONI GIURIDICHE TRATTATE.
Sezioni: Menu Laterale | PRATICA FORENSE | le relazioni annuali
Autore Enrico Tortolani - cons. resp. sito
Data di pubblicazione 29/08/2009





RELAZIONE EX. ART. 7 D.P.R. 101/90



QUESTIONI GIURIDICHE DI MAGGIOR INTERESSE ALLA CUI TRATTAZIONE IL PRATICANTE HA ASSISTITO O COLLABORATO DURANTE IL PRIMO ANNO DI PRATICA



1.IMPOSTE E TASSE: GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE: Senteza Corte di Cassazione (SS. UU.) n. 11082 del 15/05/2007

Nel corso degli anni, già a partire dagli anni '70, ed in ultimo con le leggi n. 448/2001 e n. 248/2006, il legislatore ha cercato di ampliare la giurisdizione delle Commissioni tributarie, attribuendogli la giurisdizione esclusiva in materia di "imposte e tasse". Le suddette leggi, infatti, nel modificare le norme disciplinanti il cd "processo tributario", hanno attribuito alle Commissioni tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni specie e genere, con la sola esclusione delle controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento. Sul punto è intervenuta, recentemente, una sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 11082/07), con la quale il Supremo Organo ha ulteriormente chiarito la sfera di giurisdizione delle Commissioni Tributarie, specificando che essa è una giurisdizione esclusiva di carattere generale, ossia estesa ad ogni questione riguardante sia l'an che il quantum del tributo, e che tale giurisdizione si arresta soltanto davanti agli atti di esecuzione forzata, tra i quali, però, non rientrano, per espressa previsione del del Dlgs 546/1992 , nè le cartelle esattoriali, nè gli avvisi di mora, o le mere intimazioni di pagamento. La Corte di Cassazione è così intervenita a fare chiarezza in una materia dove, i numerosi interventi legislativi, avevano creato una sorta di incertezza, soprattutto riguardo alla "ripartizione di giurisdizione" tra Giudice Tributario e Giudice Ordinario, limitando la giurisdizione di quest'ultimo, in materia tributaria, alla sola tutela dei diritti soggettivi lesi da un atto esecutivo (art. 24 e 113 Cost).

2.ACCERTAMENTO GIUDIZIALE PATERNITA': PRINCIPIO DELLA LIBERTA' DI PROVA E RIFIUTO INGIUSTIFICATO DI SOTTOPORSI AD ESAMI EMATOLOGICI.

Gli artt. 269 e ss c.c. disciplinano la "Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità". Essa costituisce un'azione di reclamo di stato, diretta ad accertare la "condizione" di figlio naturale e ad ottenere una sentenza dichiarativa di tale "status", produttiva degli effetti del riconoscimento. Di particolare rilevanza, in materia, è il principio della "libertà della prova", sancito dall'art. 269 co. 2 c.c., secondo cui <>. Tale principio implica che il Giudice possa fondare il proprio convincimento in merito alla sussistenza di un rapporto di filiazione, anche sulla base di risultanze probatorie aventi valore puramente indiziario.
Fino ad alcuni anni fa, ovvero prima che le cd prove "ematologiche" assumessero valenza di "prova certa" nel mondo scientifico e, consequenzialmente, in quello giuridico-processuale, la prova della paternità veniva raggiunta sulla base, essenzialmente, di "prove" documentali (es. lettere tra la madre ed il preteso padre, documenti provenienti dal presunto genitore ecc.) nonché "testimonianze" (quali le dichaiarzioni della madre e di tutti coloro che potessero provare, all'epoca del concepimento, non solo la sussistenza di rapporti tra la madre ed il presunto padre, ma la "probabilità" della esistenza del rapporto di filiazione).
E' di lapalissiana evidenza che la prova del rapporto di filiazione, in passato, non era caratterizzata da quella certezza che oggi è intrinseca nel ricorso agli esami ematologici (DNA).
Nonostante il ricorso alle cd "prove biologiche", attualmente, costituisca il "canale probatorio" primario per l'accertamento della paternità, il principio della "libertà della prova" conserva ancora, una grande rilevanza, soprattutto allorquando il preteso genitore rifiuti di sottoporsi alle indagini ematologiche. In tale circostanza gioca un ruolo fondamentale l'art. 116 co. 2 c.p.c., il quale consente, di "trarre argomenti di prova dal comportamento delle parti".
Al riguardo corre l'obbligo porsi una domanda: Come si colloca, nell'ambito di tale potere discrezionale del giudice, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi di agli esami ematologici?
La giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, n. 6217/94; Cass. Civ., Sez. I,. n. 6550/95; Cass. Civ., Sez. I, n. 1661/97; Cass. Civ., Sez. I, n. 10377/97; Cass. Civ., Sez. I, n. 692/98; Cass. Civ. Sez. I, n. 2944/98; Cass. Civ., Sez. I, n. 12679/98; Cass. Civ., Sez. I, n. 13766/01; Cass. Civ., Sez. I, n. 13665/04; Cass. Civ., Sez. I,. n. 6694/06) è concorde, ormai da tempo, nel ritenere che <>.
Tanto innanzi affermato non costituisce altro che la più ampia esplicazione dell'anzidetto principio di "libertà della prova": se la dimostrazione della paternità naturale, infatti, può essere fornita con ogni mezzo, il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento in ordine alla effettiva esistenza di un rapporto di filiazione anche su risultanze probatorie dotate di valore "puramente indiziario", quali la lunga relazione intercorsa tra la madre ed il padre naturale, i comportamenti tenuti da quest’ultimo alla notizia della gravidanza della donna, la condotta processuale del medesimo ma, sopratttutto, il pretestuoso ed immotivato rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche. Su quest'ultimo punto, la Suprema Corte di Cassazione ha in più occasioni sottolineato che il rifiuto anzidetto: <>.
Tanto ciò detto evidenzia, dunque, come il ricorso a tecniche scientificamente avanzate, se da un lato consente di dare maggiore certezza a situazioni diversamente accertabili in via esclusivamente probabilistica, dall'altro non determina un superamento dei "legiferati" e consolidati principi in tema di prova ma, al contrario, ne costituisce un rafforzamento ed una loro naturale esplicazione.

3.SEPARAZIONE CONSENSUALE CONIUGI: REVOCA UNILATERALE DEL CONSENSO DI UNO DEI CONIUGI, EFFICACIA DEGLI ACCORDI DI SEPARAZIONE PRIMA DELL'OMOLOGAZIONE

Gli artt. 150 e segg. c.c. disciplinano la separazione personale dei coniugi: Essa può essere giudiziale o consensuale (art.150 c.c. 2° co.) ed, in entrambi i casi, viene introdotta mediante ricorso, che deve contenere "l'esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata" (art. 706 c.p.c.). In caso di separazione "giudiziale" il ricorso è proposto da uno dei coniugi, avverso l'altro coniuge, ed il procedimento per ottenere la separazione si conclude con sentenza. In caso di separazione "consensuale", invece, il ricorso è "congiunto", ovvero sottoscritto da entrambi i coniugi, in accordo sulle condizioni di separazione, ed il procedimento per ottenere la separazione si conclude (ex art 158, co 1, c.c. ed ex art. 711, co 4, c.p.c.) con l'omologazione, da parte del Tribunale, della separazione (ovvero degli accordi delle parti).
La linearità di detti procedimenti, tuttavia, può incontrare degli ostacoli nella stessa volontà dei coniugi, in particolare nel momento in cui nella separazione "consensuale" l'originario accordo in merito alle condizioni di separazione venga meno, a causa della "revoca unilaterale" del consenso da parte di uno dei coniugi sottoscrittori del ricorso.
Al riguardo va sottolineato che il legislatore non prevede espressamente, la possibilità di una trasformazione della separazione consensuale in giudiziale, cosa accade, dunque, se uno dei due coniugi, successivamente alla sottoscrizione degli accordi di separazione, cambi idea? Ed ancora, qual'è la sorte di detti accordi?
Gli artt. 158, co 1, c.c. e 711, co 4, c.p.c, chiariscono, inequivocabilmente, che: <>; <>. Ferma restando, dunque, la possibilità per i coniugi di dare esecuzione ai predetti accordi, gli stessi, in assenza di omologazione, sono privi di qualsivoglia efficacia (a titolo esemplificativo: se in un ricorso di separazione consensuale viene concordata la corresponsione da parte di un coniuge, in favore dell'altro coniuge, di una somma di denaro, la mancata corresponsione della stessa non costituisce titolo per procedere ai fini dell'adempimento dell' "obbligazione").
Posto che l'elemento su cui si fonda la separazione "consensuale" è l'accordo tra le parti, il venir meno dello stesso determina l'impossibilità di poter procedere alla separazione, quantomeno alle condizioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio.
Dinnanzi, dunque, ad una revoca unilaterale del consenso, l'unica possibilità è quella di raggiungere, un nuovo accordo, attraverso, eventualmente, la modifica delle condizioni di separazione precedentemente concordate. In caso contrario il Giudice, accertata l'impossibilità di raggiungere un nuovo accordo, deve dicharare il non doversi, o meglio, potersi procedere. A questo punto non resta altro che la possibilità di introdurre un nuovo ricorso, questa volta finalizzato ad ottenere una sentenza di "separazione giudiziale".

4.AFFIDO CONDIVISO: DIRITTO ALLA BIGENITORIALITA', SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, N. 16593/08

Con la legge 54/2006 che ha introdotto nel nostro ordinamento l'affido condiviso, è stato posto l'accento su un diritto "naturale" che in passato, veniva sacrificato, se non addirittura ignorato, ossia il diritto alla bigenitorialità. Esso consiste nel diritto dei figli a continuare ad avere, anche dopo la separazione, un rapporto con entrambi i genitori, in modo da subire, il meno possibile, il peso della separazione, continuando a godere della costante la presenza di entrambi i genitori, prescindedo della effetiva collocazione della prole. Con la sentenza n. 16593/08 la Suprema Corte di Cassazione (I Sez. Civile), nel riconoscere il diritto alla bigenitorialità quale elemento centrale dell'affido condiviso, ha chiarito il rapporto esistente tra quest'ultimo e l'affido esclusivo, specificando che l''affido condiviso costituisce la regola generale, derogabile solo nell'interesse del minore, laddove la sua applicazione risulti pregiudizievole per la prole, ossia qualora uno dei due genitori abbia dimostrato, in concreto, di non essere idoneo al ruolo di genitore affidatario. L'effettiva inidoneità dovrà essere valutata, caso per caso, in concreto, dall'Organo Giudicante.

5.IMMOBILE CONCESSO IN COMODATO GRATUITO: VINCOLO DI DESTINAZIONE A CASA FAMILIARE

L'art. 1810 cc, che disciplina il cd "comodato a tempo indeterminato"dispone che, nelle ipotesi di comodato senza termine di durata, il comodatario sia tenuto a restituire l'immobile non appena il comodante ne faccia richiesta, a differenza di quanto previsto dall'art.1809 c.c. (per il cd "comodato a tempo determinato"), che subordina la restituzione dell'immobile alla scadenza del termine, ovvero alla sopravvenienza di un "urgente ed impreveduto bisogno del comodante". La netta differenza di disciplina delle suddette ipotesi di comodato, tuttavia, subisce un affievolimento allorquando, pur trattandosi di comodato a tempo indeterminato (1810 c.c.), l'immobile "de quo" sia stato destinato a casa familiare. Con una recente sentenza (Cass., SS. UU., n.13603/04) la Corte di Cassazione, infatti, ha stabilto che concedere in comodato un immobile per adirlo a casa familiare determina un vincolo di destinazione sullo stesso, pertanto, anche se non sia stato stabilito un termine di durata, quest'ultimo si considera inplicito nell'uso cui la cosa è destinata. Nel caso di specie, l'obbligo di restituzione immediata, di cui all'art. 1810 c.c., urterebbe con la stabilità e continuità proprie delle esigenze abitative familiari
Ne consegue che nella specifica ipotesi analizzata, l'imposizione di un vincolo di destinazione a casa familiare, implica l'apposizione di un termine implicito, che si identifica col venir meno delle esigenze abitative proprie del nucleo familiare. Fino a tal momento, dunque, la restituzione dell'immobile al comodante può avvenire solo laddove sopraggiunga un impreveduto ed urgente bisogno del comodante, con consequenziale applicazione dell'art. 1809 cc, anziché dell'art.1810 cc.
© 2012 Ordine Avvocati Salerno - Tutti i diritti riservati - P.Iva/C.F. 80031390653 - Powered by ViaDeiMercanti