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BREVE RELAZIONE DI APPROFONDIMENTO DI ALCUNE QUESTIONI AFFRONTATE DURANTE IL PRIMO SEMESTRE DI PRATICA DALLA D.SSA SARA VENTIMIGLIA.
Di seguito pubblichiamo un estratto della relazione redatta dalla praticante avvocato d.ssa sara Ventimiglia, alla fine del primo semestre di pratica, contenente alcune questini di particolare interesse.
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1)Udienza del _/_/_ dinanzi alla VIII sezione del Tribunale Ordinario di Napoli nella competenza funzionale di cui all’ art. 310 c.p.p. Pr.n.XXX/XX n.P.M. –Tizio+altri art. 416 c. 1, 2, 3 e 5 c.p.; artt. 110-112 n. 1 c.p. e 73 c. 1, 1 bis lett. (a- c. 6 D.P.R. 309/90 come modificato dal decreto legge 272/2005 convertito il legge 49/2006; artt, 110-112 n. 1, 81 cpv, 640 c.1 e 2, 61 n.9 c.p. Nell’ impianto accusatorio edificato dal Pubblico Ministero e recepito dal G.i.p. che disponeva la misura cautelare, il dottor Tizio veniva etichettato come il soggetto attraverso il quale si perfezionava l’utilizzo di farmaci illecitamente acquisiti tramite le prescrizioni di medici compiacenti perché, nel suo laboratorio galenico, avrebbe proceduto ad estrarre la fendimetrazina –sostanza anoressizzante e in ogni caso stupefacente appartenente alla IV tabella del D.P.R. 309/90 e successive modifiche- dai medicinali prescritti dai medici compiacenti, ritenendo che lo stesso sintetizzasse la sostanza e la confezionasse in pillole, in parte trattenute per sé, in parte destinate a Sempronio. Quest’ultimo, tirocinante del dottor Tizio e farmacista a sua volta, avrebbe trattenuto i composti farmaceutici senza fustelle al fine di consentire al primo di estrarne il principio attivo e spedito alla Asl delle ricette intestate ad ignari pazienti per chiederne il rimborso. Orbene, le argomentazioni difensive sono state formulate con l’obiettivo primo di sgretolare l’intreccio dei vari indizi di colpevolezza a carico del Tizio, elaborati sulla scorta dei soli risultati di ascolto delle conversazioni intercettate che, lette in un’ottica di normale accortezza, avrebbero condotto gli inquirenti a ritenerlo estraneo dalle condotte truffaldine o fraudolente e, dunque, ad espungerlo dalla ipotizzata consorteria criminosa. Dalle diverse telefonate intercettate si evinceva come Tizio si premurasse di fornire al collega Sempronio le indicazioni necessarie ai fini della corretta compilazione delle ricette, procedimento supposto fraudolento dalla p.g. operante e non confortato da alcuna consulenza tecnica di un esperto del settore che avrebbe potuto chiarire, come ha fatto il dottor Caio sentito a S.I., che la fendimetrazina può essere acquistata in qualsiasi farmacia ma, per la particolarità dei suoi principi attivi, richiede un attento monitoraggio che consta di un piano programmatico anche contabile, nel senso che i quantitativi del farmaco prescritto e somministrato devono essere annotati sul registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope in una col nome del paziente e la ricetta va ritirata e conservata per un certo numero di anni. Contra, l’attestazione redatta dal Presidente dell’ordine dei Farmacisti della Provincia di XY e richiesta dalla difesa in cui si precisava che la fendimetrazina è assente nelle comuni medicine preparate con l’ ausilio industriale ma che può essere impiegata nella produzione galenica dal giugno del 2000 a seguito dell’ordinanza del Tar Lazio del 19.06.2000. Questo è quello che si legge nella guida alla spedizione: Gli anoressizzanti sono compresi nella Tab. n. 5 della F.U. XI ed., “Elenco dei prodotti la cui vendita è subordinata a presentazione di ricetta medica da rinnovare volta per volta” (ovvero RNR). Le ordinazioni del Tar Lazio del 19/6/2000 hanno avuto, come risultato finale, la sospensione del divieto di dispensazione di farmaci anoressizzanti, divieto contenuto nell’art. 1 del D.M. 24.1.2000, in vigore dal 16.2.2000. Riassumendo: • Divieto di impiego per le sostanze: mazindolo, fentermina, clobenzorex, amfetamina, eccetera, sostanze già vietate dal D.M. 13.4.1993. • Divieto di impiego per fenfluramina e dexfenfluramina (D.M. 17.9.1997 e D.M. 18.9.1997). • Divieto di impiego per pemolina (D.M. 30.10.1998). • Divieto di impiego per sibutramina (Min. San. 6.3.2002). E’ consentito l’impiego di: • Fenilpropanolamina nelle preparazioni magistrali solo con Ricetta Ministeriale Speciale (Circ. Min. San. 800. UCS/AGI/5645). • Fluoxetina come antidepressivo (Circ. Min. San. 10.1.1994). • Fendimetrazina in quanto già contenuta nella specialità Plegine, ritirata dal commercio per rinuncia della ditta produttrice (art. 5, comma 2, Legge 94/98). • Per quanto concerne l’Amfepramone (dietilpropione) la situazione è più complessa in quanto l’AIC delle specialità medicinali che lo contenevano (Tenuate Dospan e Linea Valeas) è stata sospesa, come noto, per motivi attinenti ai rischi d’impiego (D.M. 15.11.1999). Motivi di prudenza inducono, allo stato attuale, a considerare non legittima la spedizione di preparazioni magistrali a base di amfepramone. Spedizione Fendimetrazina (Tab. IV – D.P.R. 309/90) - La spedizione di ricette di preparazioni magistrali contenenti fendimetrazina, dopo l’ordinanza del Tar Lazio, è di nuovo possibile secondo le modalità previste e antecedenti il D.M. 24/01/2000, che riassumiamo di seguito. - Il quantitativo di principio attivo (fendimetrazina) utilizzato per la preparazione magistrale deve essere “scaricato” sul registro Entrata/Uscita e la ricetta va conservata in originale per cinque anni. Modalità di spedizione D.M. 18/9/1997e succ. modifica dell’ ati.1 cnon D.M. 30/10/98 E’ necessaria la contestuale presentazione di: 1.Piano di trattamento del paziente redatto da specialisti in Scienza dell’alimentazione, Endocrinologia e malattie del ricambio, Diabetologia, Medicina interna (art. 4). Il piano di trattamento del paziente (art. 2, comma 3) redatto dagli specialisti sopra descritti: -non è spedibile se non accompagnato dalla RNR, -ha una validità di 3 mesi dalla data di compilazione, -deve riportare le seguenti informazioni: a)nome e cognome del paziente; b)data di compilazione; c)formulazione quali-quantitativa della prepara-zione magistrale; d)dichiarazione del medico, sotto la sua responsa-bilità, che all’inizio del trattamento l’indice di massa corporea del paziente era maggiore o uguale a 30 Kg per metro quadrato (IMC > 30); e)dose giornaliera del farmaco e durata della terapia che non può, in alcun caso, superare i 3 mesi; f)nome, cognome, indirizzo e firma del medico, con l’indicazione della specializzazione. 1. Una ricetta non ripetibile rilasciata o dallo specialista o dal medico curante. Le RNR non sono spedibili: a) se non sono accompagnate dal piano generale di trattamento del paziente; b) se il piano generale di trattamento del paziente è scaduto di validità o, comunque, dopo 3 mesi dalla data di compilazione di questo. Possibile la dispensazione per un quantitativo non superiore a 30 giorni di terapia. Le RNR magistrali hanno validità 3 mesi. All’atto della spedizione di ricette di preparazioni magistrali contenenti fendimetrazina, il farmacista è tenuto a ritirare e conservare la RNR e ad apporre sul piano generale di trattamento del paziente timbro, data, prezzo e renderlo al paziente stesso (art. 3, comma 2). E’ consigliabile tenere copia del piano di trattamento. Il farmacista non deve provvedere a nuove dispensazioni qualora non sia intercorso, in base alla posologia prescritta dal medico specialista, il periodo di tempo previsto per l’assunzione da parte del paziente delle unità posologiche contenute nell’ultima confezione dispensata. Il farmacista potrà effettuare i necessari controlli sulla base di ciò che risulta dal piano generale del trattamento del paziente (art. 3, comma 3). In base a quanto previsto dal D.M. 13/4/1993: • la preparazione magistrale può contenere fendimetrazina purchè essa non sia associata, nella stessa capsula, con altre sostanze farmacologicamente attive e sia allestita in dosaggi diversi, ma non superiori a quelli delle corrispondenti specialità medicinali autorizzate (75 mg e forma retard 105 mg); • il medico può prescrivere contestualmente altri magistrali (mono o pluricomponenti), a condizione che la loro composizione sia documentata in una specialità medicinale italiana. Sanzioni: Il farmacista che vende un medicinale sottoposto all’obbligo della ricetta medica non ripetibile senza presentazione di ricetta o su presentazione di ricetta priva di validità è sottoposto alla sanzione amministrativa da Euro 258 a Euro 1.549. L’autorità amministrativa competente può ordinare la chiusura della farmacia per un periodo di tempo da quindici a trenta giorni (art. 5, D.Lvo n. 539/92). Il farmacista che non riporta nell’etichetta delle preparazioni magistrali le informazioni previste dall’art. 37 del R.D. 1706/38 (data e prezzo), è soggetto a sanzione amministrativa da Euro 1.549 a Euro 9.296 (D.Lvo 196/99 art.16). Nel caso di sostanze stupefacenti di cui alle Tab. IV e V del DPR 309/90, per vendita senza ricetta, sanzione penale dell’ammenda da Euro 25 a Euro 258. Fonti normative: T.U.L.S - 1265/34 - Reg. Tuls - 1706/38 - D.P.R. 309/90 - D.Lvo 178/91 - D.Lvo 539/92 - D.M.13/4/93 - D.M. 17/9/97, D.M. 30-10-98 - L. 94/98 - D.M. 15-11-99 - D.Lvo 196/99 - D.M. 24-1-00. Quindi, se ne è vietato l’uso alle case farmaceutiche, Tizio non avrebbe potuto estrarre la sostanza da alcun farmaco come, invece, si leggeva nell’ imputazione. In più la stessa ordinanza ne legittima l’utilizzo per i composti galenici! Farmacista esperto e maestro di Sempronio, il Tizio gli rammendava la possibilità che in coloro che la assumessero ne insorgesse la dipendenza, proprio come era capitato al suo ex allievo, ed opponeva il suo rifiuto alla richiesta di nuove pillole a meno che non avesse ravvisato chiarezza nelle ricette, nell’indicazioni delle dosi e del piano programmatico. A ben guardare poi, si è trattato solo n. 6 ricette sequestrate con allegato piano terapeutico, riferibili a n.7 conversazioni dal contenuto sin qui sintetizzato e avulso da qualsiasi riferimento ad altri soggetti presunti associati, il tutto ristretto nel solo settembre 2005 a fronte di ben 17 mesi di monitoraggio. Subordinatamente si invitava a rivalutare le esigenze cautelari, non residuando alcun pericolo reiterazione o di aggravamento della condotta. Nella specie, si auspicava una rivalutazione del quadro indiziario e cautelare contestando un non corretto ed integrale rispetto della disciplina offerta dall’art. 274 c.p.p. in ordine all’attualità del pericolo di reiterazione ed aggravamento della condotta, pericolo che avrebbe giustificato l’ordinanza applicativa della misura cautelare se non fossero stati candidamente verificabili l’assenza di qualsiasi menzione negli atti di una condotta attualizzante, il tempo trascorso dall’ epoca dei fatti contestati che, dunque, travolgeva ogni prognosi sulla probabile compromissione di quelle esigenze di giustizia che l’imposizione della misura era diretta a salvaguardare, oltre che un dato probatorio arenato al 2005. Infatti i rapporti tra Tizio e Sempronio risultavano astiosi già da una telefonata tra quest’ultimo e tale Mevio avvenuta nell’ottobre del 2005 a causa di rivendicazioni economiche fatte valere da Tizio a fronte del lavoro svolto. Per il periodo successivo il compendio accusatorio è del tutto sfornito di elementi documentali aggiuntivi. Unico riferimento era una lacunosa nota del 7 ottobre 2008 nella quale la p.g. affermava che il sodalizio denunciato fosse pienamente in opera, senza alcuna indicazione in merito ai soggetti o alle condotte attualizzanti e, dunque, inutilizzabile ai sensi dell’art. 407 c.3 c.p.p. ma anche perché drasticamente restrittiva di ogni possibilità di difesa. A tal proposito, si segnalavano, inoltre, le ricadute ampiamente negative –seppur sprovviste di adeguata sanzione processuale- che l’inottemperanza del dovere di tempestività dell’ iscrizione della notizia di reato ex art. 335 c.p.p., in una con i nominativi delle persone cui la stessa risultava attribuibile, aveva avuto sul diritto di difesa, posto che l’ingiustificato ritardo andava tutto vantaggio dell’ invasività contra legem di un’ attività d’indagine indiscriminata perché promossa non già sulla base di una notizia di reato, eludendo i dettami della Costituente a tutela della difesa e delle libertà, obiettivo primo dei vincoli alla durata delle indagini ex art. 407 c.p.p. Risultava poi indubbiamente non trascurabile ai fini difensivi un giudizio prognostico sulla necessità della misura avuto riguardo all’eventuale sanzione irrogabile alla luce dell’art.1 della legge 241/2006 in una con le modifiche intervenute in ordine alle soglie punitive dei reati di cui al D.P.R. 309/90. * * * 2) Udienza del _/_/_ dinanzi al Tribunale ordinario di Salerno in composizione monocratica sezione distaccata di Eboli Pr.n.XXX/XX n.R.G.DIB. – Sempronio artt. 7 comma 2 lett. a-b e 22 D.lvo 626/94; art. 24 commi 1-2 D.P.R. 164/56; art.5 comma1 D.lvo 494/96 e successive modifiche apportate col D.lvo 528/99 art. 589 c.p. La questione enucleata concerneva l’ammissibilità della citazione in qualità di responsabile civile, a richiesta del difensore dell’imputato, dell’impresa assicuratrice del Bobcat utilizzato nel cantiere scenario dell’ incidente che causò la morte di Mevio. Infatti, in violazione degli artt. 7 comma 2 lett. a-b e 22 D.lvo 626/94; 24 commi 1-2 D.P.R. 164/56; 5 comma1 D.lvo 494/96 e successive modifiche apportate col D.lvo 528/99, il cantiere risultava privo delle adeguate misure di prevenzione e protezione dai rischi di incidenti sul lavoro e gli stessi operai non erano addestrati al corretto uso dei macchinari tant’è che Mevio era intento a lavorare su un trabatello dal parapetto incompleto, senza ancoraggi, aste stabilizzatrici o funi verticali quando un collega, Tizio, dirigendosi verso il capannone per depositare una betoniera, urtava col Bobcat il montante del trabatello provocando la perdita di equilibrio e la caduta del signor Mevio. A sostegno della summenzionata richiesta si citava il D.P.R. del 21. dicembre. 1999 n. 554, regolamento attuativo della legge quadro 109/1994 e successive modifiche, in materia di lavori pubblici, ritenuto applicabile al caso di specie in quanto il veicolo era munito di targa e perciò idoneo alla circolazione su strada. Il difensore della parte civile obiettava che, avendo la Corte Costituzionale dichiarato, con la sentenza n. 112 del 16 aprile 1998, l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato, ne conseguiva che l’estensione della facoltà di citare il responsabile civile avrebbe dovuto scontare i limiti propri della legge 990/1969, istitutiva dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi -la cosiddetta R.C. Auto- che non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate se non siano coperti, secondo le disposizioni della legge, dall'assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall'art. 2054 del codice civile. Questo quanto si legge al punto 3 della sopracitata sentenza: Vengono in considerazione, ad un tempo, la legge 24 dicembre 1969, n. 990, da un lato, e gli artt. 1917, comma ultimo, del codice civile e 106 del codice di procedura civile dall'altro. Nella legge n. 990 del 1969, istitutiva dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, interessano, ai fini del giudizio di comparazione devoluto alla Corte attraverso l'ordinanza di rimessione, gli artt. 18 e 23. Il primo comma dell'art. 18 stabilisce che "il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali a norma della presente legge vi è l'obbligo di assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione". L'art. 23 statuisce che "nel giudizio promosso contro l'assicuratore a norma dell'art. 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno". Queste due disposizioni, ovviamente da inquadrarsi nel complesso della legge a cui appartengono, bastano, ad avviso di questa Corte, per collocare la particolare responsabilità civile in questione tra i casi di responsabilità civile ex lege ai quali si riferisce il comma secondo dell'art. 185 del codice penale quando stabilisce il principio per cui "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui": ovviamente nel processo civile ove l'azione di responsabilità per danno sia esercitata, per qualsiasi motivo, indipendentemente o separatamente dall'azione penale e nel processo penale ove vi sia (e finché vi sia) costituzione di parte civile del danneggiato. Un orientamento, questo, implicitamente confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, proprio con riferimento alla legge n. 990 del 1969, ha avuto occasione di osservare che la citazione della società assicuratrice si identifica nella creazione di una "nuova figura di responsabile civile" (v. sentenza n. 24 del 1973, n. 7 del Considerato in diritto). Tale è del resto anche il pensiero della dottrina e della giurisprudenza; e l'esperienza giudiziaria insegna che esistono casi nei quali la parte civile cita nel processo penale per reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione di autoveicoli l'impresa assicuratrice come responsabile civile. Né è qui superfluo rimarcare che sotto questo aspetto il processo penale si allinea pienamente sul modello del processo civile, nel quale l'art. 18 della legge n. 990 del 1969 abilita il danneggiato all'azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore. Quando la Corte di cassazione esclude l'azione civile diretta del danneggiato contro l'assicuratore in sede civile (e conseguentemente esclude la citazione dell'assicuratore medesimo come responsabile civile nel processo penale) ciò avviene solo con riferimento a quelle assicurazioni che hanno la loro fonte esclusiva nel contratto, osservandosi che in questi casi l'assicuratore è soltanto tenuto verso l'assicurato, ovviamente nei limiti del capitale assicurato. Ma la stessa Corte di cassazione riconosce invece esplicitamente che l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante da circolazione di autoveicoli a motore e di natanti configura una responsabilità civile dell'assicuratore ex lege da inquadrarsi nell'ambito di applicazione dell'art. 185 del codice penale (cfr. ex plurimis Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 1977, n. 15974; sez. IV, 14 maggio 1987, n. 10910; sez. IV, 12 aprile 1988, n. 10354; sez. IV, 10 aprile 1997, n. 4940). Ciò premesso, è evidente che nel giudizio civile di danno, cagionato dalla circolazione di autoveicoli a motore, il danneggiante convenuto ben può chiamare in garanzia l'impresa assicuratrice ai sensi dell'art. 106 del codice di procedura civile, al quale è correlato, per quanto riguarda i rapporti di assicurazione della responsabilità civile, l'art. 1917, comma ultimo, del codice civile. Né giova ad escludere questa possibilità il carattere di "garanzia impropria" generalmente (ma non senza contrasti) attribuito al tipo di rapporto assicurativo in discorso, carattere che assume rilievo per un ordine totalmente diverso di problemi, e precisamente ai fini della competenza per connessione di cui all'art. 32 del codice di procedura civile. Sentite le parti, il Giudice autorizzava la citazione non apparendo l’area del sinistro interdetta al pubblico transito, ritenendo il Bobcat idoneo alla circolazione su strada e, dunque, astrattamente applicabile la disciplina della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. * * * 3) Udienza del _/_/_ dinanzi al Tribunale ordinario di Salerno in composizione monocratica sezione distaccata di Eboli Pr.n.xxx/xxn.R.G.N.R. -Caio artt. 10-11 l. 197/1974; art. 697 c.p.; art 81 c.p.- art. 4/1-2 l. 110/1974 A seguito di dichiarazioni confidenziali, i Carabinieri della stazione di Campagna si recavano presso l’abitazione dei genitori di Caio ove rinvenivano, in una stanza sporadicamente utilizzata da costui, un vecchio modello di carabina Diana 50, 4,5 di calibro, ad aria compressa, di nazionalità tedesca e regolarmente denunciata dal cognato; circa 200 colpi dello stesso calibro in uno scatolo riposto in cucina e, avendo esteso la perquisizione alla sua autovettura, un tubo ed un ascia di 52 cm. Sequestrato il materiale e tratto in arresto, Caio veniva condotto in data _/_/_ innanzi all’autorità giudiziaria sopraindicata ai fini della convalida delle misure e del contestuale giudizio direttissimo ai sensi dell’art. 449 c.p.p. In tale sede emergeva che l’esemplare di carabina, ormai sorpassato, non recava alcuna iscrizione in ordine alla potenza dello sparo la quale risulta essere l’elemento spartiacque ai fini della qualificazione dello strumento come arma, visto l’art. 11 del D.P.R. 526/99 in tema di Modifiche all'articolo 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110, e altre disposizioni in materia di armi con modesta capacità offensiva. 1. All'articolo 2, primo comma, lettera h), della legge 18 aprile 1975, n. 110, dopo le parole: "modelli anteriori al 1890" sono aggiunte le seguenti: "fatta eccezione per quelle a colpo singolo". 2. All'articolo. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, e successive modificazioni, le parole: "le armi ad aria compressa sia lunghe sia corte" sono sostituite dalle seguenti: "le armi ad aria compressa o gas compressi, sia lunghe sia corte i cui proiettili erogano un'energia cinetica superiore a 7,5 joule,". 3. Al fine di pervenire ad un più adeguato livello di armonizzazione della normativa nazionale a quella vigente negli altri Paesi comunitari e di integrare la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1991, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi, nel pieno rispetto delle esigenze di tutela della sicurezza pubblica il Ministro dell'interno, con proprio regolamento da emanare nel termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta una disciplina specifica dell'utilizzo delle armi ad aria compressa o a gas compressi, sia lunghe sia corte, i cui proiettili erogano un'energia cinetica non superiore a 7,5 joule. 4. Le sanzioni di cui all'articolo 34 della legge 18 aprile 1975, n. 110, non si applicano alle armi ad aria compressa o a gas compressi, sia lunghe sia corte, i cui proiettili erogano un'energia cinetica non superiore a 7,5 joule. 5. Il regolamento di cui al comma 3 deve essere conforme ai seguenti criteri: a) la verifica di conformità e' effettuata dalla Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi, accertando in particolare che l'energia cinetica non superi 7,5 joule. I produttori e gli importatori sono tenuti a immatricolare gli strumenti di cui al presente articolo. Per identificare gli strumenti ad aria compressa e' utilizzato uno specifico punzone da apporre ad opera e sotto la responsabilità del produttore o dell'eventuale importatore, che ne certifica l'energia entro il limite consentito; b) l'acquisto delle armi ad aria compressa di cui al presente articolo e' consentito a condizione che gli acquirenti siano maggiorenni e che l'operazione sia registrata da parte dell'armiere; c) la cessione e il comodato degli strumenti di cui alle lettere a) e b) sono consentiti fra soggetti maggiorenni. E' fatto divieto di affidamento a minori, con le deroghe vigenti per il tiro a segno nazionale. L'utilizzo di tali strumenti in presenza di maggiorenni e' consentito nel rispetto delle norme di pubblica sicurezza; d) per il porto degli strumenti di cui al presente articolo non vi e' obbligo di autorizzazione dell'autorità di pubblica sicurezza. L'utilizzo dello strumento e' consentito esclusivamente a maggiori di età o minori assistiti da soggetti maggiorenni, fatta salva la deroga per il tiro a segno nazionale, in poligoni o luoghi privati non aperti al pubblico; e) restano ferme le norme riguardanti il trasporto degli strumenti di cui al presente articolo, contenute nelle disposizioni legislative atte a garantire la sicurezza e l'ordine pubblico. 6. Nel regolamento di cui al comma 3 sono prescritte specifiche sanzioni amministrative per i casi di violazione degli obblighi contenuti nel presente articolo. Il riscontro nella giurisprudenza della Suprema: in tema di armi, ai sensi dell'art. 11, comma 2, della legge 21 dicembre 1999 n. 526, si devono considerare armi comuni da sparo, salvo che non intervenga il giudizio di esclusione dell'attitudine a recare offesa alla persona da parte della Commissione consulta centrale, solamente quelle ad aria compressa o a gas compressi i cui proiettili erogano un'energia cinetica superiore a 7,5 joule (Cass. pen., sez. I, 5 aprile 2002, n. 13105 -ud. 19 febbraio 2002- Ric. Cominardi). Ancora, le armi cosiddette «da bersaglio da sala» ad emissione di gas o ad aria compressa o a gas compressi, non rientrano nella categoria delle armi comuni da sparo se i proiettili erogano una energia cinetica non superiore a 7,5 Joule, con la conseguenza che la detenzione non comporta obbligo di denuncia e il porto non è soggetto ad autorizzazione, anche se il catalogo delle armi comuni da sparo non è stato ancora aggiornato in conformità, in quanto, a seguito dell'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999 n. 526 e del rispettivo regolamento contenuto nel D.M. 9 agosto 2001 n. 362, la disciplina vigente in materia di armi è stata armonizzata con quella di altri paesi comunitari (Cass. pen., sez. I, 14 settembre 2005, n. 33670 -ud. 17 giugno 2005- Ric. Cioni). A tal proposito si faceva rilevare come gli inquirenti avessero stimato la potenza superiore a 7,5 joule in primo luogo utilizzando le dichiarazioni di un armiere cui avevano sottoposto la carabina e che si era limitato ad una simulazione a salve per ascoltare il rumore dello sparo, in secondo luogo sulla base di una ipotetica ricostruzione storica, affermando cioè che nell’anno in cui era stato denunciato il possesso della carabina non ne esistessero di potenza inferiore. Accanto a tutto ciò il difensore evidenziava quanto fosse opportuno, nel caso de quo, non insabbiarsi in simili labilità teoriche non solo perché Caio non risiedeva nella abitazione perquisita ma la frequentava ogni qualvolta facesse visita ai genitori o quando fosse in pausa nel dopo lavoro; perché l’ascia veniva utilizzata per spaccare la legna per il camino, una costante nelle case di campagna; ma anche, visti i precedenti che avevano già obbligato Caio a 13 anni di reclusione, avuto riguardo all’ottimo comportamento che lo ha costantemente contraddistinto una volta in libertà nonché all’ impegno dimostrato ai fini della risocializzazione e degli obblighi lavorativi contratti col Comune di Campagna. Convalidato l’ arresto ai sensi del solo capo a) dell’ imputazione con contestuale applicazione della misura degli arresti domiciliari, stante il potere cautelare di cui è investito il giudice competente per il giudizio direttissimo ai sensi del combinato disposto degli artt. 391 e 449 c.p.p., e concessi i termini a difesa richiesti ex art. 451 co.6 c.p.p. si giungeva, nella udienza del _/_/_, a formulare istanza di patteggiamento ed all’applicazione, previo consenso del magistrato del Pubblico Ministero, della pena su richiesta delle parti pari ad 1 anno di reclusione ed euro 300 di multa, con sentenza recante motivazione contestuale. * * * 4) Udienza del _/_/_ dinanzi al G.U.P presso il Tribunale di Salerno Pr.n.XXX/XX n.G.I.P. - Sempronio+ altri: A fronte dell’ eccezione di incompetenza formulata dai difensori di alcuni imputati in una con le richieste di separazione dei procedimenti mediante lo stralcio delle posizioni degli stessi, si è fatto leva sulla opportunità del contemperamento dell’interesse di ogni soggetto alla rapida definizione del processo -che può essere influenzata dalla riunione con altri o viceversa dalla separazione- con il proposito superiore ed inderogabile di giustizia cristallizzato nell’art. 19 c.p.p. Innovando la materia in ordine alla discrezionalità riconosciuta al giudice, il legislatore del 1988 ha, infatti, disposto che ogni provvedimento relativo alla riunione o separazione dei processi debba essere adottato con la forma dell’ ordinanza e previa audizione delle parti. A riprova la Suprema ha affermato: in tema di riunione di processi, il dovere di sentire le parti prima della decisione è adempiuto se sono previamente informate della possibilità della riunione, in modo da potere interloquire in merito. (Cass. pen., sez. VI, 16 febbraio 2006, n. 6221 -ud. 20 aprile 2005- Aglieri ed altri). In tale sede, dunque , si è evidenziato che dalla connessione tra le plurime imputazioni ascritte sia allo stesso soggetto che in capo a soggetti diversi e, conseguentemente, dal legame soggettivo ma anche finalistico delle condotte addebitate ne scaturiva che le stesse fossero giudicate nell’ ambito di un simultaneus processus da un medesimo giudice individuato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 8, 12 e 16 c.p.p., nell’autorità giudiziaria la cui circoscrizione di competenza inglobasse il luogo in cui era stato commesso il reato più grave. A tal proposito la Corte di Cassazione sostiene che la competenza per territorio in caso di connessione oggettiva di due reati per nessuno dei quali sia possibile stabilire la competenza ai sensi dell'art. 8 c.p.p. e per entrambi i quali si dovrebbe fare ricorso alle regole suppletive di cui all'art. 9 c.p.p. deve essere determinata con riferimento al reato più grave, individuando la regola suppletiva applicabile a tale ipotesi di reato. (Cass. pen., sez. III, 30 gennaio 2001, n. 03522 -ud. 3 ottobre 2000- Ric. Pitzettu) La connessione tra più procedimenti contemplata dall'art. 12 c.p.p. determina lo spostamento della competenza per territorio ai sensi dell'art. 16 c.p.p. solo se i procedimenti si trovano nella stessa fase processuale, ferma restando la sua natura di criterio originale ed autonomo di attribuzione della competenza. (Cass. pen., sez. I, 22 aprile 2004, n. 19003 -c.c. 8 aprile 2004- Ric. Confl. in proc. Darocz e altro) Ai fini della determinazione della competenza per territorio nell'ipotesi di reati connessi, ove non sia possibile individuare il luogo in cui è stato commesso il reato più grave, si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui, non essendo consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite dall'art. 9 c.p.p., se non quando sia incerto anche il luogo di consumazione di questi ultimi. (Fattispecie relativa al concorso dei reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di veicoli di illecita provenienza, perché riciclati mediante contraffazione dei numeri di telaio e soppressione delle targhe e dei documenti di circolazione, e quelli di falso e ricettazione, per la quale risultava accertato il locus commissi delicti) (Cass. pen., sez. I, 8 giugno 2004, n. 25685 -c.c. 12 maggio 2004-, Confl. comp. in proc. De Simone) |