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* * * Luca Passannanti - La Voce * * * CHI HA RAGIONE PAGA * * *
Sezioni: FOCUS
Data di pubblicazione 05/07/2008
La regola generale vigente nei processi civili prevede che le spese processuali vengano pagate dalla parte che perde la causa. Ora il governo propone che siano addebitate a chi vince la causa se questi ha rifiutato senza giustificato motivo una proposta vantaggiosa di conciliazione. L'idea, di per sé buona, è di incentivare la conciliazione. Ma rischia di non tener conto del contesto italiano, nel quale la parte che ha ragione è in una situazione di debolezza cronica. E i meccanismi conciliativi potrebbero costituire una minaccia in bianco ad accettare accordi anche ingiusti.

Tra le proposte del governo nel campo della giustizia civile vi è quella di introdurre una regola generale in base alla quale la parte che, pur avendo vinto la causa, abbia rifiutato nel corso della stessa una proposta conciliativa vantaggiosa può essere sanzionata mediante condanna alle spese processuali.

REGOLE VIGENTI

La regola generale oggi vigente prevede che le spese processuali, intese sia come “spese vive” (tasse, imposte, spese di cancelleria), sia come onorari degli avvocati, vengano pagate dalla parte che perde la causa, che quindi dovrà, oltre a pagare le proprie, rimborsare le spese all’avversario vincitore nella misura determinata dal giudice. Si prevede, inoltre, che in caso di “soccombenza reciproca” (ad esempio, una parte ha chiesto 100, ma il giudice condanna la controparte a pagare 50) e quando ricorrano giusti motivi, il giudice possa compensare in tutto o in parte le spese, nel senso che ciascuno pagherà le proprie.
Solo nel caso, molto raro, che siano violati i “doveri di lealtà e probità”, il giudice può condannare la parte che ha vinto la causa a rimborsare le spese processuali alla parte che ha perso.
La proposta del governo consiste nel prevedere che il giudice condanni la parte che ha vinto, almeno in parte, la causa al rimborso delle spese processuali all’altra, nel caso in cui la sentenza che chiude il processo abbia accolto la domanda in misura uguale o inferiore a quella offerta in via conciliativa dall’avversario e quando tale offerta sia stata irragionevolmente rifiutata senza giustificato motivo.

VANTAGGI

L’idea alla base della proposta è di incentivare la conciliazione, evitando che si celebrino interi processi per avere ciò che si sarebbe potuto ottenere con un accordo, senza dispendio di risorse pubbliche.
Si tratta di un’idea in sé buona, che altri ordinamenti hanno adottato, primo fra tutti quello inglese, ma che deve fare i conti con il contesto nel quale si cala. Non sono infatti nuove per il nostro sistema di giustizia importazioni fatte senza la dovuta ponderazione delle possibili conseguenze, con esiti deleteri.

PROBLEMI

Tempo. Anzitutto la legge non dice in quale momento del processo debba essere formulata la proposta conciliativa. Ciò non è irrilevante: se la proposta viene formulata in una fase iniziale, le spese saranno ancora poche e può essere accettabile che chi ha ragione concili, rinunciando alla causa. Che dire, invece, se la proposta è fatta alla vigilia della pronuncia della sentenza, quando le spese sono ormai lievitate ed è assai più facile fare prognosi sull’esito della causa? Potrebbe essere un modo comodo di mettersi al riparo dal pericolo della condanna alle spese per chi ritenga ormai sicura la propria soccombenza.
Prevedibilità. Per sapere se la parte ha rifiutato la proposta conciliativa sulla base di un giustificato motivo è necessario che il giudice, chiamato a esprimere questo giudizio alla fine del processo, tenga conto delle informazioni di cui la parte disponeva all’epoca del rifiuto.
Informazioni. La massiccia presenza degli avvocati anche nelle controversie minori e la rara comparizione personale delle parti al processo rendono spesso difficile per la parte disporre delle esatte informazioni per valutare in modo attendibile se e in quale misura sia opportuno accettare o formulare proposte conciliative. Inoltre, l’assenza dell’istituto anglosassone della discovery, che permette alle parti di essere informate in anticipo – in Inghilterra anche prima del processo – delle prove di cui dispone l’avversario, rende parimenti difficoltoso valutare razionalmente l’opportunità di conciliare.
Criteri. La proposta governativa non prevede alcun criterio per giudicare se la proposta conciliativa sia stata rifiutata “senza giustificato motivo”. Èun vuoto che può creare disparità o costituire una “minaccia” in bianco ad accettare proposte conciliative anche ingiuste.
Contesto. La giustizia italiana è lentissima. Ciò significa che per ottenere una sentenza di primo grado possono occorrere anche quattro o cinque anni. Inoltre, spesso i mezzi di prova risultano inadeguati a dimostrare la verità (ad esempio, obbligare il proprio avversario a esibire un documento in suo possesso, decisivo per vincere la causa, può essere di fatto impossibile). Questa situazione pone la parte che ha ragione e che agisce in giudizio in una situazione di debolezza cronica di fronte alla controparte (che ha torto, ma che non paga). E non è difficile per chi ha torto ottenere sostanziosi sconti a danno della parte che ha ragione. I meccanismi che incentivano la conciliazione devono essere introdotti con molta cautela, tenendo accuratamente conto del contesto in cui si calano, per evitare che abbiano risvolti “estorsivi”.

TRATTO DA LAVOCE.IT
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