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UNIONE CAMERE PENALI ITALIANE * * * NUOVA EMERGENZA: 51.000 I DETENUTI PRESENTI NEGLI ISTITUTI DI PENA * * *
A distanza di circa un anno dalle riflessioni contenute nel documento programmatico sul carcere, l’U.C.P.I. ritiene giunto il momento di fare il punto della situazione. Con molta amarezza e senza alcuna soddisfazione, data anche la delicatezza della questione, dobbiamo constatare che purtroppo il tempo trascorso ha dato ragione alle cattive profezie di cui eravamo stati facili profeti. Il documento programmatico, licenziato nel periodo successivo all’emanazione dell’indulto, dopo aver sottolineato l’assoluta insufficienza di un tale provvedimento tampone affermava testualmente: “La questione è tanto semplice quanto ineludibile: se non si risale alle cause che hanno determinato il sovraffollamento la situazione è destinata a ritornare nell’arco di pochi anni ad essere come quella del luglio 2006”. Il numero di detenuti nel settembre 2006, secondo fonti del D.A.P., all’esito degli effetti dell’indulto, era pari a 38.326 a fronte di un tetto pre-indulto di circa 61.000. A distanza di meno di un anno e mezzo, sempre la stessa fonte indica il numero dei detenuti presenti negli istituti penitenziari in 51.000 (febbraio 2008), con un trend di crescita previsto in circa 8.000 unità annue con il facile risultato di prevedere al più per l’estate del prossimo anno, e cioè a distanza di soli tre anni, una situazione più compromessa di quella pre-indulto. Se i numeri sono questi e non vi è dubbio che siano questi, non siamo più nel campo delle previsioni o profezie ma ci troviamo nuovamente di fronte ad un’imminente emergenza carcere che questa volta non può essere risolta con procedimenti di clemenza generalizzata. La delicatezza della situazione, del resto, è confermata dalle recenti prese di posizione dei vertici del D.A.P. che, in più occasioni, hanno sottolineato la necessità da un lato di individuare ed incentivare degli spazi sanzionatori che come risposta non prevedano il carcere e dall’altro nell’invitare a ricorrere con maggior frequenza alle misure alternative alla detenzione intramuraria, previste dall’ordinamento, sia nella fase cautelare che dall’esecuzione della pena, da parte della magistratura. L’U.C.P.I., sul punto, ha espresso già, nel documento richiamato, quali fossero all’epoca, ma lo sono ancora oggi, alcuni degli strumenti per intervenire in maniera strutturale sul problema. A distanza di circa un anno e mezzo si deve constatare da un lato che gli interventi legislativi attuali sono andati in direzione esattamente contraria a quella indicata dall’U.C.P.I. (v. per tutti il pacchetto sicurezza) e dall’altro l’auspicata incentivazione delle misure alternative è rimasta del tutto inattuata. Ci vorrebbe un cambio culturale della politica e della magistratura che, svincolandosi dalla spinta emotiva dell’opinione pubblica, possa pensare ed attuare strumenti legislativi consoni ai principi costituzionali in materia di presunzione di innocenza e funzione rieducativa della pena. Il “VULNUS” va individuato nella magistratura che ha bisogno di strumenti quali il braccialetto elettronico o la presenza della polizia penitenziaria all’interno dell’U.E.P.E., quale garanzia per il buon esito della misura alternativa alla detenzione, derogando dal ruolo di soggetto istituzionale che nell’applicare le leggi e forte del potere decisionale si deve assumere il coraggio delle decisioni prese con il solo obbligo di motivarle. L’U.C.P.I. sarà sempre pronta a difendere, così come fece per la magistratura di sorveglianza in occasione degli annullamenti del regime detentivo ex art. 41 bis L. ord. pen., l’indipendenza di quella magistratura che attraverso provvedimenti motivati si sappia distaccare da concezioni precostituite frutto di spinte emergenziali e perciò emotive. Se si seguita a ritenere la custodia cautelare come un’anticipazione di una condanna che erroneamente si crede non verrà mai espiata e al contempo si prevedono meccanismi di esecuzione pena come l’art. 656 c.p.p. in cui un numero sempre maggiore di condannati definitivi debbano richiedere la misura alternativa alla detenzione, anche dopo anni dal fatto, da un regime intramurario che prevedendo periodi di osservazione semestrali terrà indiscriminatamente detenuti in carcere insieme a coloro che rappresentano un concreto pericolo per la collettività anche coloro che si sono inseriti nella società attraverso lavori stabili, il sovraffollamento del carcere non si risolverà mai. In realtà gli stessi dati offerti dal Ministero dimostrano che la legge Gozzini è stata utile strumento di contrasto alla recidiva. Nel 2006 ci sono state 42.290 misure alternative e solo 66 revoche per la intervenuta commissione di nuove violazioni durante la fruizione dei benefici. Nell’anno 2007, a fronte di 7.304 misure alternative concesse (numero ridotto per l’applicazione dell’indulto), sono intervenute solo 10 revoche pari allo 0,14%. Va pertanto riaffermato che la rieducazione del reo paga in termini di tutela della collettività e della sicurezza sociale. Questo è il percorso principale che occorre coltivare e che consente di garantire sia la riabilitazione del reo che la tutela e sicurezza dei cittadini. È evidente che una situazione di questo tipo non può essere fronteggiata con un ennesimo provvedimento di clemenza generale, che lasci inalterati i fattori strutturali che, nel volgere di un breve tratto di tempo dall’ultimo indulto, faranno lievitare la penalità carceraria oltre i limiti della ragionevole governabilità, funzionale a prospettive di effettiva risocializzazione. Occorre, al riguardo, pensare ad un doppio livello di interventi normativi di modifica dell’odierna situazione. Nell’immediato, appare ineludibile abrogare gli aspetti più spiccatamente repressivi delle leggi responsabili del sovraffollamento carcerario: il riferimento corre alla normativa in materia di stupefacenti, di immigrazione clandestina, nonché alle inquietanti innovazioni introdotte in materia di recidiva, l’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, con i correlativi riflessi sulla inapplicabilità delle misure alternative alla detenzione. In un’ottica di lungo periodo, poi, va ripensato il complessivo piano della penalità, attraverso la riscrittura sia del sistema delle sanzioni, sia del catalogo dei reati, da realizzarsi secondo istanze di extrema ratio della pena detentiva. In definitiva affrontare il problema carcere prima che esso diventi nuovamente drammatico non può prescindere da scelte legislative organiche e da applicazioni giurisprudenziali meno pavide nell’interesse stesso della collettività. Sarebbe opportuno che le forze politiche che stanno predisponendo i programmi elettorali, tenessero conto della nuova emergenza offrendo prospettive concrete idonee a superare le cause del sovraffollamento. L’U.C.P.I. cercherà innanzitutto attraverso le proprie proposte di mantenere alta l’attenzione per offrire un percorso utile ed idoneo ad uscire da questa drammatica emergenza. Roma, 5 marzo 2008 |