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Guido Neppi Modona: "Carcere solo per i reati più gravi".
Il giudice costituzionale difende la Gozzini: «Negare la possibilità di recupero a una persona detenuta significa avere un cupo pessimismo sulla natura umana». *** L'articolo 27 della costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". ***
------------- Guido Neppi Modona. Ha esercitato attività di Pubblico Ministero e di giudice a Torino. In seguito professore universitario di Diritto e procedura penale. Attualmente giudice della Corte Costituzionale, competente in materia di Diritto e procedura penale. ------------- «Mettere in discussione una legge come la Gozzini sull'onda dell'emotività non mi sembra una buona pratica». Non solo, «bisognerebbe ripensare l'intero sistema penale e prevedere la pena detentiva per un numero più ristretto di reati». Guido Neppi Modona, giudice costituzionalista e professore di diritto penale è pacato ma deciso: «Negare la possibilità di recupero a una persona detenuta significa avere un cupo pessimismo sulla natura umana. Quasi che un cittadino che ha commesso un reato sia irrecuperabile a vita». Professor Neppi Modona, un ex brigatista in semilibertà tenta una rapina in banca e d'improvviso viene messa in discussione l'intera legge Gozzini. Persino il guardasigilli Mastella si è detto disponibile a ridiscuterla... Le misure alternative alla detenzione hanno radici lontane e sono il fiore all'occhiello del nuovo ordinamento penitenziario del '75. Pensare di cambiare quella legge sull'onda dell'emotività significa tradire l'articolo 27 della costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Non è pensabile che ogni volta che un detenuto noto commette nuovi reati in semilibertà si solleva una violentissima polemica per cambiare quelle disposizioni. Quali sono state le modifiche più importanti che la legge Gozzini ha introdotto? Quella legge entrata in vigore nel 1986 andava lungo tre direzioni: primo, la possibilità per il condannato di usufruire delle misure alternative alla detenzione senza neppure transitare per il carcere; secondo, rendere più facile l'accesso a quelle misure alternative e infine la predisposizione di nuove misure alternative al carcere. Poi, nel 1992, in un periodo di recrudescenza dei delitti mafiosi, pensiamo alle stragi in cui persero la vita Falcone e Borsellino, c'è stato un decreto legge che ha stabilito alcune restrizioni alle misure alternative per determinate categorie di reati: mafia e terrorismo su tutte. Di fatto si poteva accedere alle misure alternative solo nel caso in cui si fosse collaboratori di giustizia... E siamo al caso Piancone, che in effetti non era un collaboratore ma che nei suoi 25 anni di carcere ha dimostrato un comportamento tale da poter accedere alla semilibertà... Infatti la Corte Costituzionale, con varie sentenze, stabilì che alle misure alternative potevano accedere anche terroristi e mafiosi non collaboratori che avessero già raggiunto un "grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto", ad esempio la semilibertà, e sempre che non fosse stata "accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata". Evidentemente, nel caso Piancone, il tribunale di sorveglianza ha accertato una situazione tale da giustificare la semilibertà. Ma, al di là del caso Piancone, l'impressione è che le carceri siano di nuovo al collasso - gli ultimi dati parlano di oltre 40mila detenuti - e che in queste condizioni il recupero delle persone sia solo una chimera... E' evidente che le carceri italiane soffrano di un cronico sovraffollamento. Basti pensare che a poco più di un anno dall'indulto siamo alla condizione di prima. In realtà i detenuti italiani dovrebbero essere non più di 15-20mila. 15-20mila? E' possibile raggiungere questo obiettivo con un sistema penale che punisce con il carcere quasi ogni reato? E' proprio questo il punto. Forse dobbiamo prendere atto che c'è qualcosa che non funziona a monte. Bisogna tornare a ripensare l'intero sistema sanzionatorio. La pena detentiva dovrebbe essere prevista solo per un numero molto ristretto di reati. In definitiva soltanto quelli più gravi - penso ai reati contro la persona, al terrorismo e a quelli di mafia - dovrebbero essere puniti con il carcere. Insomma, per i reati meno importanti, anche quelli di media gravità, bisognerebbe pensare a sanzioni effettivamente finalizzate al recupero sociale del condannato. In concreto? In concreto, per esempio, penso che sia perfettamente inutile mandare in galera un pubblico impiegato corrotto. Penserei piuttosto ad una interdizione dai pubblici uffici e ad una serie di lavori socialmente utili. Misure che abbiano comunque un effetto deterrente e di prevenzione generale, idoneo a distogliere dal reato. Ma a questo punto siamo daccapo: con le carceri così piene è difficile pensare a percorsi di recupero effettivi. E' un cane che si morde la coda, come se ne esce? Ripeto, bisogna andare a monte del problema. In effetti ci sono già stati tentativi di riforma del codice penale. Non ultimo quello dell'on. Giuliano Pisapia. Progetti di riforma che prevedevano un'articolata gamma di pene diverse dal carcere. In questo contesto sindaci chiedono più poteri e nuove tipologie di reati per colpire pericolosissimi criminali quali lavavetri, writer e mendicanti. Come la mettiamo? Ognuno faccia il suo lavoro. I sindaci devono pensare ai programmi di recupero degli emarginati e di prevenzione sociale ma per quanto riguarda i poteri relativi alla repressione dei comportamenti cosiddetti devianti l'azione deve rimanere in mano alla giustizia. |