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AVVOCATI E NOTAI. Riflessioni sul dibattito che ha coinvolto le professioni. Di Gianfrancesco Vecchio, Avvocato, Prof. Aggr. di Ist. Dir. Priv. a.a. 2006-2007, Università degli Studi di Cassino.
1. Durante i caldi giorni del giugno appena trascorso si è svolta una significativa polemica tra due centrali categorie professionali: i notai e gli avvocati. A scatenarla è stato l’inserimento, all’interno dell’ennesimo provvedimento normativo in tema di liberalizzazioni in esame in Parlamento, di un emendamento che avrebbe riconosciuto agli avvocati il potere di redigere contratti di compravendita immobiliare per beni fino a 100.000,00 euro di valore catastale. Nella settimana immediatamente successiva alla presentazione di questa proposta i lettori dei quotidiani si saranno probabilmente incuriositi rintracciandovi, dapprima, degli avvisi a tutta pagina a firma del Consiglio Nazionale del Notariato con i quali si metteva in allerta circa i rischi di “scardinamento del sistema giuridico posto a tutela dei cittadini e della convivenza civile”, che sarebbe conseguito dall’approvazione di simile previsione. Subito di seguito, peraltro, non sono mancate le pagine, con avvisi appena meno ingombranti, acquistate dagli organi rappresentativi degli avvocati, destinati a replicare accusando il messaggio dei notai di essere “criptico, allarmistico e omissivo, nonché oggettivamente lesivo della reputazione e della dignità della categoria forense”. Il livello della contesa deve essere stato altissimo, anche al di là di questi e di ulteriori singolari aspetti pubblici, se, in effetti, l’emendamento in questione è stato ritirato ma, lo stesso Ministro Bersani ha dichiarato di aver intenzione di riproporlo, magari migliorato formalmente, e comunque con l’obiettivo di venire incontro alle pressanti esigenze del cittadino-utente. Dunque, passata la fase acuta della polemica e, probabilmente, poco prima che la stessa si riproponga, magari con toni ancor più aspri, se le parole del ministro dovessero concretizzarsi in atti normativi, è parso utile svolgere qualche valutazione che, previa elencazione di alcuni elementi certi, si muova nell’ottica di ipotizzare le soluzioni maggiormente rispondenti alle esigenze palesate dal Ministro: quelle del cittadino-utente di servizi giuridici. 2. Qualsiasi osservazione in una tematica indubbiamente delicata come quella in oggetto non può non partire da alcuni incontestabili dati di fatto. Alla luce delle più recenti valutazioni in materia, risulta che in Italia vi sono circa 300.000 persone fisiche che dichiarano redditi superiori ai 100.000,00 euro l’anno, mentre il 95 per cento dei dichiaranti si ferma sotto i 40.000,00 euro (poco rilevano, ai nostri fini, gli aspetti attinenti all’evasione fiscale). I notai operanti nel paese sono 4.693 (nonostante le sedi previste siano 5.312) e la media delle loro dichiarazioni risulta pari a 428.497,00 euro, in merito, per quanto debba tenersi conto delle differenze tra i professionisti operanti nelle città più grandi ed economicamente rilevanti rispetto a quelli con sede in comunità più piccole e meno commercialmente appetibili, la quota degli stessi con dichiarazioni annuali al di sotto dei 100.000,00 euro dovrebbe essere minima se non inesistente (eccezion fatta per coloro ai primissimi anni della professione). Gli avvocati costituiscono, come noto, un universo ben più frazionato di oltre 170.000 iscritti alla Cassa di categoria con un reddito medio di poco superiore ai 49.000,00 euro annui. In questo caso, peraltro, il dato aggregato appare molto meno significativo stante l’estrema variabilità del livello di remunerazione che deriva dall’esercizio della professione forense. Si può passare da quella dozzina di professionisti (a capo di Law-Firm) che dichiarano svariati milioni di euro, alla miriade di loro “colleghi” che, impegnati con rispettabilissimi contenziosi condominiali, infortunistici o similari arrivano, seppure, a poche decine di migliaia di euro l’anno. Un ulteriore dato merita, a questo punto, una qualche attenzione: in tutte le regioni italiane i notai (insieme ai farmacisti, di cui qui non ci si occupa) sono le persone fisiche con il reddito più alto, dopo di loro gli avvocati arrivano secondi in solo sei regioni (Val d’Aosta, Lazio, Campania, Abruzzo, Puglia e Sicilia). In nessuno di questi casi, peraltro, la media regionale delle dichiarazioni supera i 60.000 euro (in effetti, in quattro casi è ampiamente inferiore). Pur non rientrando nella dicotomia in esame, un’osservazione pare meritino, infine, gli introiti di chi si occupa delle decisioni in merito a quanto oggetto dell’attività di notai ed avvocati. Gli stipendi dei magistrati ordinari, nemmeno lontanamente paragonabili, anche a fine carriera, alla media di quella dei notai, si situano per la gran parte di essa in prossimità di quella degli avvocati. In questo caso, del resto, è l’anzianità il criterio, opinabile, che giustifica sostanzialmente gli incrementi. 3. Passando, poi, ad un altro genere di considerazioni di carattere oggettivo, può iniziarsi da quella per cui risulta incomparabilmente meno difficile (fermo l’obbligo della laurea in giurisprudenza per entrambi) diventare avvocati piuttosto che notai. Il discorso vale su due piani ben diversi. Per gli avvocati è obbligatorio un esame di Stato, privo di limiti numerici all’ingresso in quanto si attribuisce un riconoscimento di professionalità a chiunque raggiunga la sufficienza. Per i notai è previsto un concorso nazionale a Roma, con un numero limitato di sedi messe a bando ogni volta, puntualmente non integralmente coperte. Inoltre, ed anche in conseguenza di questo sistema, la selettività delle prove per la professione forense, organizzate in tutte le corti d’Appello d’Italia è palesemente inferiore a quella dei notai. Una media oscillante tra il 40 ed il 50 per cento dei candidati diventa avvocato contro una media di molto inferiore al 10 per cento di candidati che raggiunge l’agognato sigillo. Tuttavia, non ci si sente affatto di poter dire che, a questa diversa “severità” nelle modalità di accesso e selezione, corrisponda una altrettanto significativa diversità di posizioni giuridiche soggettive, rectius “diritti” ma non solo, tutelate dai rappresentanti delle due categorie. Gli avvocati, appena superato l’esame, hanno una spazio amplissimo di potenziale operatività. Per cercare di sintetizzarlo in maniera idonea ad evidenziarne le dimensioni può provarsi a dividerlo in aspetti coinvolgenti: 1. il patrimonio; 2. la persona; 3. la libertà personale. E’ evidente che nel primo ambito rientrano tutti gli aspetti direttamente o indirettamente connessi al perseguimento di interessi economici, dalla vastissima materia contrattuale (lavoristica, consumeristica, genericamente tra privati etc.) a quella non meno estesa dell’illecito civile, dalle obbligazioni in genere (comprese quelle successorie) a tutto il settore societario. Nel secondo ambito, soprattutto con lo sviluppo storico della tutela dei profili giuridici strettamente attinenti alla persona, si può andare dalla miriade di problematiche riguardanti le vicende familiari genericamente intese, alle non meno rilevanti questioni in materia di tutela della privacy, fino a quegli aspetti che hanno finito per far nascere una nuova branca del diritto privato: il Biodiritto. Fermo restando che, soprattutto nei profili di cui al primo ambito, ma anche del secondo, può inserirsi l’area del diritto amministrativo; nel terzo aspetto in esame si richiama, evidentemente, tutto il settore del diritto penale. Dunque, si ribadisce, il neo avvocato, con il solo limite di non poter inizialmente rivolgersi alle giurisdizioni superiori (Corte di Cassazione e Consiglio di Stato), è riconosciuto idoneo a tutelare i cittadini in tutti questi ambiti anche, ovviamente, solo a livello pareristico e consulenziale. Peraltro, nello spazio rappresentato da questa amplissima sfera di competenze, il neo-avvocato si trova privo di alcuna retribuzione minima garantita e/o di relativa clientela dovendo, al contrario, affrontare la lecita concorrenza di chi sul mercato è già da anni prima di lui. Per il notaio la questione è decisamente differente. Gli ambiti giuridici che statisticamente finiscono per coinvolgere la gran parte della sua attività sono le problematiche attinenti i beni immobili (quelli mobili registrati sembrerebbe non più), e le questioni di carattere successorio sempre che, però, non ci siano contestazioni perché, allora, per andare davanti al giudice occorrerà comunque l’avvocato. Non si dimenticano certo le rilevanti, giuridicamente, competenze in materia commerciale-societaria ma da un lato, si devono ricordare le note e non illegittime lamentele dei commercialisti a poter svolgere compiti per i quali sembrerebbero altrettanto qualificati (cessioni di quote, vidimazione di registri, verbalizzazione di assemblee), dall’altro lato trattasi di attività che, concretamente, coinvolgono un limitato numero di notai, per di più sempre affiancati da agguerrite schiere di avvocati quando gli interessi in gioco sono economicamente rilevanti. Dunque, due sono gli atti che, così come nell’immaginario collettivo, nella realtà operativa costituiscono la gran parte dell’attività notarile (in media il 70-80 per cento): si tratta delle compravendite immobiliari e degli assai spesso connessi contratti di mutuo stipulati per acquisire la provvista necessaria all’acquisto. Si parla di un mercato di circa 800.000 compravendite l’anno per un evidente enorme valore complessivo. Non si tralascia che molteplici sono gli adempimenti notarili connessi alle compravendite immobiliari: la relazione ipo-catastale, le cancellazioni/iscrizioni delle ipoteche, la raccolta di dichiarazioni sulla conformità urbanistica o sulla regolarità fiscale ma, in effetti, si tratta di “adempimenti” che non richiedono, ragionevolmente, particolari sforzi intellettuali quanto, piuttosto, adeguata organizzazione, serietà ed accuratezza nella lettura di certificazioni che, di norma, sono fornite da uffici pubblici come le Conservatorie Immobiliari a chiunque le richieda. Sulla parallela questione dei mutui, in effetti, il discorso è particolare e, a quanto consta, raramente affrontato. Non risulta, in effetti, che alcun notaio “scriva” mai un contratto di mutuo fondiario o immobiliare in genere quando ci si rivolge a lui perché lo “rogiti”. Il testo contrattuale è stato precedentemente redatto dagli avvocati/giuristi/esperti finanziari della banca mutuante e nessuno, notaio o mutuatario, potrà modificarne alcuna parte. Il notaio metterà in testa ed in coda d’atto le scarne formule legislative per renderlo “atto pubblico” e spiegherà poi al mutuatario, ragionevolmente con l’assistenza del funzionario bancario presente, quello che è umanamente comprensibile circa il tasso d’interesse (che, quando è variabile, risulta spesso non chiarissimo anche dopo i chiarimenti). Infine, è il numero stesso delle sedi notarili disponibili ad eliminare in radice il problema della concorrenza, certo almeno nei termini sofferti dall’avvocato. 4. Dunque, nel contesto appena delineato si è inserito l’emendamento del Ministro Bersani che, come sopra detto, avrebbe ipotizzato di attribuire agli avvocati la possibilità di redigere i contratti di compravendita immobiliare per importi fino a 100.000,00 euro di valore catastale che, dopo la descritta levata di scudi, è stato ritirato. Nel nostro paese la rilevanza del bene immobile, in particolare abitativo, non è minimamente contestabile. In tutte le relative classifiche l’Italia è tra i primi Paesi occidentali per percentuale di proprietari di immobili sul complesso della popolazione. Nonostante gli sforzi compiuti per incrementare il livello di cultura finanziaria dei cittadini, onde illustrare e rendere comprensibile la maggiore potenziale redditività e convenienza di tutta un serie di assets di carattere mobiliare, si direbbe che, non necessariamente a torto, la nostra resta una nazione in cui il principale rifugio dove investire la ricchezza è e resta rappresentato dal “mattone”. Quanto appena detto potrebbe, da un certo punto di vista, cosituire una giustificazione alla presenza di una specifica categoria di esperti di diritto cui sia demandata la precipua funzione di assicurare, alla grande massa di soggetti coinvolti nelle transazioni su beni immobili, l’assoluta tenuta giuridica delle stesse. Tuttavia, a proseguire per questa strada, potrebbe anche osservarsi che un obiettivo del genere debba, in effetti, caratterizzarsi per rilevanti profili di natura pubblica. Ciò implicherebbe, allora, di essere reso da funzionari, sì opportunamente formati e retribuiti, ma che siano tenuti a svolgere la loro attività dietro uno stipendio fisso che gravi il minimo indispensabile sul cittadino che, comunque, con il suo comprare, vendere, donare, etc. determina mobilità di capitali opportunamente tassati secondo l’imposizione statale prevista. Ragionando in termini diversi potrebbe dirsi, e si è detto, che la particolare specificità degli atti di disposizione immobiliare, così come regolati dal nostro sistema, esige un professionista la cui preparazione può essere ottenuta solo a condizione di studi difficili e dedicati che, al loro compimento, legittimano la remunerazione propria delle libere professioni. Alla luce di quanto detto fin qui, peraltro, verrebbe da chiedersi a quale categoria di “altri” professionisti ci si riferisca come termine di paragone. Chi scrive, pur senza pretesa di detenere la verità assoluta, si dichiara a questo punto vicino a coloro che manifestano evidenti perplessità di fronte alla asserita specificità del contratto di compravendita immobiliare (e ancor più di mutuo fondiario), soprattutto oggi, in tempo di informatizzazione delle Conservatorie immobiliari e quant’altro per l’agevole recupero dei dati proprietari, rispetto, per esempio, alla molteplicità di atti complessi che è abilitato a compiere e redigere un avvocato. Soprattutto, poi, se anche tali perplessità non dovessero essere condivise, non si riesce oggettivamente a comprendere perché solo ad un numero così limitato di soggetti debba essere consentita la redazione di tali contratti senza, parimenti e per esempio, che agli stessi sia imposta una tariffa unica nazionale. Questa tariffa dovrebbe poi palesemente mirare a favorire chi si rivolga loro e, di conseguenza, anche non determinare livelli di remunerazione così dichiaratamente distanti rispetto a quelli di altri operatori, certo non meno professionisti, del settore giuridico. 5. Non si sa dire a questo punto, se la proposta-Bersani sia stata solo un espediente per porre all’attenzione un problema, nonché se e in che termini sarà riproposta. Se, però, il cittadino italiano nella sua vita ha normalmente a che fare con almeno una, ma spesso con due o tre transazioni immobiliari, appare sensato pretendere che le spese di quello che è il contratto per eccellenza nel nostro paese (in termini di frequenza x rilevanza economica), nonché collegato a riconosciute valenze di rango costituzionale e sociale attribuite al bene casa, siano attentamente monitorate e calmierate nel rispetto degli interessi principalmente pubblici in esso coinvolti. In un’ottica più propriamente “liberista”, viceversa, si dovrebbe ragionare in termini vicini alla proposta-Bersani, nel tentativo di favorire una concorrenza in un servizio giuridico che, come qui si è cercato di illustrare, presenta un elevato livello di standardizzazione delle procedure. La situazione attuale, concludendo, non si indirizza verso alcuna delle due opzioni delineate. |