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GLI AVVOCATI NON SONO UN OSTACOLO PER LE RIFORME.

A cura di Giuseppe Valenti - Centro Studi OUA

Sezioni: FOCUS
Data di pubblicazione 11/07/2007


Chi dice che l’avvocatura ostacola le riforme che la riguardano e non vuole confrontarsi con il mercato, non conosce le posizioni dell’avvocatura o mente consapevolmente.

L’avvocatura italiana, nelle diverse componenti, è perfettamente consapevole delle sfide della contemporaneità ed è pronta ad affrontarla e ad offrire soluzioni anche innovative.

Ciò su cui l’avvocatura non accetta arretramenti o compromessi sono i principi cardinali e fondanti della professione, che possono avere nuove epifanie ed una nuova e migliorata physis ma non possono in alcun modo essere traditi o abbandonate.

La prima di queste epifanie è l’obbligatorietà della formazione permanente: è definitivamente tramontata l’era dei cinque codici, la quantità di conoscenza giuridica richiesta all’avvocato è sempre più ampia e tendenzialmente in aumento.

Preliminarmente va chiarito il concetto di formazione permanente che non è quella necessaria per l’accesso alla professione e non è quella del sapere specialistico; è certamente più vicina alla questione del mantenimento degli standard minimi di capacità professionale, nella consapevolezza autocritica della impossibilità di dare acquisita una volta per tutte tale competenza.

In tali termini, la formazione permanente non sarà costituita solo dalla informazione e dall’aggiornamento, ma anche e soprattutto dalla verifica della sussistenza di una seppur minima adeguatezza professionale.

Il primo problema è come garantire l’offerta formativa e un controllo che non sia meramente burocratico: non una verifica degli esiti dell’esercizio professionale, quindi del prodotto del servizio professionale, ma delle condizioni e delle modalità di esercizio in funzione della tutela pubblicistica generale a garanzia del servizio professionale.

La titolarità di tali controlli non può che essere interna al mondo forense e, segnatamente, in capo ai Consigli dell’Ordine, in quanto tenutari degli albi e del potere disciplinare. Evidentemente ne andrà modificata ed adeguata, anche numericamente, la composizione.

D’altronde, se non appare plausibile scindere la titolarità della formazione dai Consigli dell’Ordine, è altrettanto vero che la sua gestione non può concretamente declinarsi se non attraverso il relativo affidamento alle Scuole forensi, da un lato, ed alle associazioni forensi, dall’altro, secondo un principio di esternalizzazione che faccia salvo unicamente il criterio dell’ispirazione iniziale e del controllo finale in capo ai Consiglieri, meglio ancora se a loro delegati specificatamente investiti del relativo compito.

E’ peraltro questa la ragione per cui la formazione permanente va coniugata sul piano dell’organizzazione con i percorsi specializzanti pur restando distinte finalità e merito degli insegnamenti.

E’ altrettanto vero che, nella modulazione dell’offerta formativa, si dovrà tenere conto del carattere ordinariamente differente dei soggetti destinatari della stessa; questa non potrà che essere “multilivello”, nel rispetto delle molteplici connotazioni socio-economiche del territorio nazionale.

Resta, comunque, la necessità di dare concreto contenuto all’obbligo deontologico della formazione permanente sanzionando la sua omissione come grave violazione disciplinare in modo proporzionale - fino alla sospensione - alla significatività ed al perdurare della mancanza.

Va sottolineata l’opportunità di assumere il controllo di qualità quale momento della più ampia verifica sulla sussistenza della capacità professionale, a condizione di ricondurre tale controllo nell’ambito delle istituzioni forensi le quali sole possono correttamente individuare i criteri ed i parametri congrui ai fini dell’attestazione.



La seconda più che un’epifania è una metamorfosi, nel modo di esercizio della professione :

1 – appaiono utili all’avvocatura più modelli di esercizio della professione, anche in forma associata o di società di capitale, purché esclusivamente tra professionisti, che possano rispondere alle esigenze degli avvocati in relazione alla tipologia delle loro attività;

2- appare utile prevedere altresì delle forme temporanee quali ATI e associazione in partecipazione, che rispondano o all’esigenza di un singolo complesso mandato con valenza interdisciplinare o a rapporti di collaborazione tra studi e singoli professionisti o tra studi in relazione a singole prestazioni o a stabili rapporti sul territorio;

3- la dimensione collettiva può essere anche multidisciplinare ed interprofessionale;

4- l’esercizio collettivo della professione non può essere ingessato nel modello unico delle STP, rivelatosi da subito incapace di rispondere alle molteplicità delle esigenze organizzative della professione;

5- la previsione di soli soci professionisti consente il mantenimento del controllo deontologico, anche se, per prevenire abusi, potrà essere opportuna una qualche rimodulazione delle norme deontologiche che tenga conto di tali nuovi modelli professionali;

6- in caso di società di capitali la garanzia patrimoniale dei terzi può essere rafforzata prevedendo un capitale minimo adeguato o l’obbligo di assicurazione contro la responsabilità civile verso terzi.

Sull’avvocatura convenzionata va rilevato che l’attuale momento storico è caratterizzato dall’affermazione di enti sociali intermedi di rappresentanza e tutela che pongono il problema del contenzioso di massa e del convogliamento di clientela. In tale contesto va segnalata la nuova struttura dei patronati, che dopo una recente novella possono offrire erga omnes consulenze in tema di successioni e famiglia, e quindi, per connessione, gran parte del diritto civile.

Si pone il problema della doppia fedeltà: all’ente o al cliente.

Il singolo avvocato, nei confronti di tali realtà è di fatto – e talvolta anche di diritto - indotto a sottoscrivere un contratto per adesione. Assume quindi la veste di contraente debole, debolezza che si riverbera anche nei confronti degli interessi del cliente. Sarà indispensabile, perciò, che le convenzioni vengano sottoposte al vaglio dei Consigli dell’Ordine.

In quest’area emerge una nuova dimensione dell’avvocatura. La sfida del mercato può essere affrontata ammettendo anche il ricorso al modello collettivo o interdisciplinare. De jure condito un esempio può essere quello offerto dalle cooperative sociali professionali, già previste per legge e che si pongono o direttamente in relazione con i soggetti massa e con gli enti territoriali o quale soggetto forte nei confronti degli enti esponenziali.



Quanto all’avvocatura dipendente, essa non può configurarsi che nel tradizionale contesto pubblicistico degli albi speciali ovvero, in ambito privato, esclusivamente all’interno dell’organizzazione degli studi e sotto la direzione di un altro avvocato, singolo o associato.



Il terzo snodo di questa sessione è l’ambito di attività e segnatamente la questione della consulenza legale stragiudiziale.

All’ampliamento della sfera dei diritti, e in particolare di quelli giustiziabili dovrebbe conseguire un corrispondente ampliamento dell’ambito di attività dell’avvocato. Invece, soprattutto nell’ultimo quindicennio, vi è stata una crescita esponenziale del numero degli avvocati senza che ciò coincidesse con l’espansione dell’attività forense ai nuovi ambiti di tutela.

L’avvocato è rimasto presente solo fin dove vi è stato il riconoscimento di una riserva legale. Dove essa non è richiesta o è stata attenuata, gli avvocati sono in generale espulsi o emarginati. Per lungo tempo parlare del diritto di difesa ha significato evocare soltanto la difesa nel processo, anzi, la difesa nel processo penale, momento sicuramente alto e nobile, ma non per questo unico, della professione. Il diritto fuori dal processo è stato eroso agli avvocati da soggetti spesso soltanto marginalmente lambiti da cognizioni giuridiche. Anzi, attraverso le maglie o le deroghe della riserva legale, questi ultimi hanno conquistato posizioni nello stesso processo, come nel giudizio tributario o nelle procedure concorsuali. In parte ciò è dovuto allo strabismo culturale degli avvocati, d’altra parte ciò è determinato anche dall’impossibilità pratica di un professionista individuale onnisciente in ogni campo del diritto, dai limiti imposti all’esercizio collettivo della professione, e dell’esplicito divieto di partecipare a strutture multidisciplinari. In questo contesto va considerata la rivendicazione dell’Avvocatura di riserva nella consulenza legale.



Da ciò consegue :

1) al consulente è richiesta una valutazione tecnica e spesso previsionale in ragione della sua esperienza e capacità;

2) per tale opera, in quanto professionale, cioè svolta a favore del pubblico e dietro corrispettivo, è richiesto l’agire qualificato dell’esperto, indipendentemente dall’oggetto giudiziale o stragiudiziale della prestazione;

3) pertanto per consulenza legale deve intendersi una valutazione obiettiva, di natura giuridica, espressa da un esperto indipendente;

4) tale attività deve essere svolta da chi abbia una diretta conoscenza delle patologie dei rapporti giuridici, e ciò appare oggi vieppiù necessario, nella ricerca di sinergie che limitino l’espansione del contenzioso giudiziale, mentre per l’avvocatura è preferibile contribuire alla riduzione dei conflitti rivendicando un ruolo nelle fasi che li precedono;

5) appare opportuna un’esplicita affermazione normativa della riserva agli avvocati nell’attività professionale di consulenza legale e assistenza stragiudiziale, anche se essa si potrebbe già ricavare da un complesso di norme esistenti e dall’evoluzione dei principi comunitari, che in diverse pronunzie riconoscono agli avvocati la riserva legale nella consulenza giuridica svolta in forma professionale, per la quale potrebbe essere presa a modello la legislazione portoghese;

6) tutti i percorsi alternativi al contenzioso processuale ordinario, mediazione, conciliazione, arbitrati, costituiscono altrettanti campi di espansione della professione, che l’Avvocatura deve non solo rivendicare, ma anche saper occupare, pur in collegamento con professioni complementari e parallele;

7) il modo più efficiente per affrontare questa sfida è ammettere la possibilità, per lo studio professionale, di un’organizzazione complessa e multilivello, in cui possano convivere sinergicamente alta specializzazione e visione generale;

8) l’esclusività della riserva di consulenza giuridica può essere temperata aprendo a collaborazioni sinergiche con altre professioni in determinati affari o settori di attività;

9) non si può imporre agli avvocati la verifica della professionalità senza correlativamente dare loro la riserva di competenza della consulenza legale e assistenza stragiudiziale;

10) il discrimine tra consulenza legale riservata e consulenza generica con aspetti marginalmente giuridici è costituito dall’attività di interpretazione: quest’ultima dovrebbe essere riservata all’avvocato a differenza della mera applicazione di norme.

Ed infine, il lato economico della professione: costi compensi e tutela previdenziale.

A partire dalla conferenza di Pisa l’Avvocatura affronta in maniera analitica e sistematica la questione dei costi del processo, rilevandone l’incremento più che esponenziale a dispetto della rilevanza costituzionale del diritto alla giustizia e del correlato diritto all’assistenza legale, come esigenza primaria del cittadino.

Dopo la redazione dei controrapporti è stato possibile incrociare i dati di tale incremento con quello dello smaltimento, e ricavarne quindi un indice di efficienza sotto il profilo del costo / beneficio per l’utente.

Nell’ultimo quindicennio i costi dei processi sono lievitati perfino più dei loro tempi, senza che con ciò sia migliorata la qualità della giurisdizione, anche misurandola soltanto col parametro quantitativo della stabilità delle decisioni.

L’ultimo aumento del contributo unificato, che non si riesce mai ad unificare davvero ! (come dimostra il correlato aumento di marche e diritti di cancelleria), ha svelato che i governi non lo considerano un tassa, cioè il corrispettivo di un servizio, ma un’imposta, cioè fiscalità generale. Peraltro evidenziata dalla deliberata sottrazione del gettito al bilancio del settore giustizia.

L’avvocatura ha già manifestato la propria assoluta contrarietà, che oggi viene ribadita, avvertendo che dal persistere di una tale logica derivano alcune conseguenze: per esempio, secondo il dettato costituzionale, il contributo dovrebbe essere commisurato alla capacità economica delle parti, anziché al valore del petitum.



L'avvocatura non chiede privilegi in ordine al trattamento fiscale che, comunque, è divenuto insostenibile. Chiede invece che al cittadino che accede al servizio giustizia non siano attribuiti oneri fiscali maggiori di quelli gravanti sull’acquisto di un’antenna parabolica.



Il compenso dell'avvocato rappresenta la contropartita alla domanda di un sapere intellettuale.



Non sembra possibile il superamento del sistema tariffario, nuovamente soggetto a valutazione degli organi tutori comunitari, che per la verità hanno reso già una prima pronuncia che non ha valutato incompatibile detto sistema con l'antitrust .

Infatti l’art. 2233 c.c. pone come primo criterio che il compenso sia convenuto tra le parti, e solo in mancanza di tale convenzione prevede il ricorso alle tariffe, ovvero agli usi, e in ultimo al giudice. Inoltre nel secondo comma si afferma che il compenso deve essere adeguato a due parametri: importanza della prestazione e decoro della professione. Infine, nel terzo comma, destinato ad hoc alla professione forense, è introdotto un divieto che trasforma in obbligazione civilistica il precetto deontologico del “disinteresse” del patrono verso l’oggetto della causa patrocinata.

Con un’interpretazione sistematica si può quindi dire che la tariffa forense integra, ma non si sostituisce al mercato: il divieto del patto di quota-lite non solo è posto a tutela del cittadino-utente, ma anche ad evitare un’eccessiva mercantilizzazione del rapporto tra patrono e patrocinato, in ragione delle funzioni pubblicistiche e di garanzia svolte dall’avvocato quale soggetto necessario della giurisdizione, che è, in estrema sintesi, la motivazione con cui la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha “salvato” il sistema tariffario forense.

Ma noi siamo qui a interrogarci per il futuro e de jure condendo e dobbiamo dare chiare risposte sul se e sino a che punto questa impostazione possa reggere alle sfide del terzo millennio :

a) il “decoro” della professione, va tradotto anche come “garanzia di qualità della prestazione difensiva”;

b) eliminando ogni vincolo tariffario, con 160.000 avvocati frantumati in tanti piccoli studi, si rischia una concorrenza “malata” al ribasso;

c) il massimo ribasso non è il valore più meritevole di tutela nel servizio professionale dell’avvocato;

d) se questo è vero, deve essere possibile un limite alla libera contrattazione;

e) è opportuno adottare la forma scritta nel ricevere un incarico dal cliente.



L'avvocatura italiana rigetta pertanto, ipotesi di forfait di compensi professionali o altre ipotesi alternative che per le esposte ragioni, non renderebbero giustizia certezza e chiarezza rapporto tra professionista intellettuale e cliente.



In ordine alla sicurezza sociale è perfino superfluo sottolineare che le casse privatizzate godono di miglior salute e di migliore organizzazione delle casse di previdenza pubbliche.

Tuttavia l'attuale sistema a ripartizione, che prevede l'immediato finanziamento delle pensioni con i contributi dei professionisti attivi, potrebbe soffrire in futuro dello squilibrio tra contribuenti e fruitori, perché sensibile tanto al rapporto tra il numero degli attivi e quello dei pensionati, che al rapporto tra i rispettivi redditi medi.

Se negli ultimi dieci anni l'immissione negli albi di nuovi professionisti è avvenuta a ritmi elevatissimi (dal 1980 al 2003 gli iscritti alla Cassa sono passati da 30.000 a 100.000) è chiaro che si tratta di una tendenza non sostenibile ancora per molto. Pertanto ogni ipotesi di modifica del modello previdenziale non può prescindere dalle scelte future in materia di ordinamento professionale (mantenimento delle riserve, accesso alla professione, conservazione degli albi, ecc..).

È opinione comune che il rispetto del patto intergenerazionale richieda, in rapporto al modello attuale, interventi di natura parametrica (quali, ad esempio la modifica delle aliquote di contribuzione o dell'età pensionabile) e strutturale (scelta del metodo di erogazione delle prestazioni, retributivo o contributivo, nonché del metodo di finanziamento, a capitalizzazione o a ripartizione).

La varietà delle soluzioni possibili e l'incidenza delle opzioni sulla vita futura degli avvocati, impone che le scelte finali giungano al termine di un percorso che dovrà vedere il massimo coinvolgimento possibile degli iscritti. Preliminarmente occorrerà stabilire modelli previsionali di bilancio proiettati in un periodo non inferiore a 30/35 anni, per assorbire l’effetto dell’enorme incremento degli iscritti dell’ultimo ventennio e rendere stabili e attendibili le previsioni. All’esito si potrà tracciare un progetto di riforma, fondato sui seguenti principi:

1) sostenere la validità del sistema attuale caratterizzato dai principi della obbligatorietà e della solidarietà, rinnovando il patto tra le generazioni nel segno di una maggiore equità senza concessioni ai nuovi e vecchi egoismi;

2) concertare i progetti di riforma tra le tutte componenti dell'Avvocatura, allo scopo di elaborare una piattaforma programmatica comune, da realizzarsi nel confronto con gli organi della Cassa;

3) nel passaggio dal sistema attuale al nuovo sistema adottare dei criteri correttivi ovvero un regime transitorio che eviti eccessive e ingiustificate penalizzazioni;

4) salvaguardare l'autonomia della Cassa nei propri ambiti di assistenza e previdenza, potenziandone gli interventi sugli aspetti della quotidianità della tutela (infortuni, assistenza malattie, etc.).

A cura di Giuseppe Valenti – Centro Studi OUA

Documento di sintesi della II sessione del convegno:
"Avvocati: sfida al futuro tra competenza e competitività"
Napoli, IV^ Conferenza Nazionale dell’Avvocatura
15 - 17 Aprile 2005
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