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* * * I fantasmi a volte ritornano. Specie se li rievochiamo, la suggestione diventa forte. Anche perchè le esperienze passate hanno lasciato il segno, con la soppressione del Tribunale di Sala Consilinae e di alcune importanti sezioni come quella di Eboli. E' una prestigiosa associazione di avvocati, la Camera Penale Salernitana, che ha rispolverato nei giorni scorsi lo spettro di nuove soppressioni di uffici giudiziari nella provincia di Salerno, già colpita nel 2012 dalla "epocale" qunto nefasta riforma completata dalla Ministra Severino. Per la verità non si tratta di una novità assoluta,...
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L'ERRORE GIUDIZIARIO. Le garanzie difensive non possono essere sacrificate per velocizzare i processi.

Di Enrico Tortolani - Direttore Responsabile del sito.

Sezioni: FOCUS
Autore Avv. Tortolani
Data di pubblicazione 07/04/2007
* L'avvocato difensore è l'unico baluardo contro l'errore del giudice. Il processo penale non sempre riesce a garantire l'innocente. In cinquanta anni sono stati quattro milioni i cittadini condannati ingiustamente e poi riabilitati e risarciti.



Le esigenze di prevenzione criminale dei moderni ordinamenti sono perseguite con la sanzione penale. Ed il processo penale è lo strumento per l'applicazione della sanzione. Tuttavia, il processo da strumento di difesa dei cittadini si trasforma, troppo spesso, in una macchina che stritola gli innocenti.
Secondo un indagine dell'istituto di ricerca Eurispes, negli ultimi cinquant'anni, quattro milioni di italiani sono rimasti vittime di errori giudiziari.
Numeri allarmanti che non trovano conferme ufficiali al Ministero della Giustizia. Il dato è il risultato di un'analisi delle sentenze e delle scarcerazioni per ingiusta detenzione nel corso di cinque decenni.
Da un' indagine del Ministero del Tesoro sulle somme pagate dallo Stato italiano per ingiusta detenzione risulta che la corte d'appello di Genova ha subito da sola il 44 % del totale delle condanne di risarcimento. Anche Napoli, Palermo, Reggio Calabria sono state condannate per aver emesso sentenze che hanno causato ingiusta detenzione, con il 9% di risarcimenti in denaro.
Indietro nella classifica anche per il bacino di utenza Milano e Roma con solo il 4 e 6%.
In questo quadro non è possibile abbassare il livello delle garanzie per perseguire la velocizzazione dei processi. L'approccio più corretto con i problemi connessi all'attuazione del giusto processo e della sua ragionevole durata, non può prescindere dallo stanziamento di risorse finanziarie sufficienti e dalla razionalizzazione della distribuzione delle risorse umane sul territorio(magistrati e personale di cancelleria).
Le riforme della Giustizia non si fanno a costo zero. E non è più pensabile che il bilancio dello Stato riduca progressivamente gli stanziamenti per la giustizia, a fronte delle continue emergenze organizzative.

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Due casi emblematici di errore: Enzo Tortora e Daniele Barillà, opinioni e interviste tratte da CHRONICA.it, 31/03/2007, Errori Giudiziari, di F.Gasparri.

Il problema dell'errore giudiziario è uno spettro che ha segnato molte persone: inquietante è la vicenda avvenuta al sig. Daniele Barillà di Genova.
Daniele Barillà: 7 anni e mezzo in carcere per un banale scambio di persona.
Vi siete mai chiesti quanto può valere un anno di vita. Cosa si può fare in sette anni? Quanti posti si possono vedere? Quante persone conoscere? Sette anni passati in carcere. Sette anni reclusi vissuti nell'incubo perché innocenti. Questo è quello che ha passato Daniele Barillà: sette anni passati dietro le sbarre per un banale scambio di persona.

Quanti anni aveva quando è iniziato il calvario?
D. Barillà: Avevo poco più di 30 anni. La mia era una vita normale, avevo una piccola azienda bene avviata. Mi ero appena comprato casa..ero una persona normale, felice.
Facciamo un passo indietro e raccontiamo dall'inizio questa allucinante storia di ordinaria giustizia: Lei stava andando a prendere la sua ragazza quando e' stato fermato ad un posto di blocco dai Carabinieri. Che cosa e' successo dopo?
D. Barillà: Era la sera di san Valentino, il 14 febbraio del '92, avevo appuntamento con la mia fidanzata che dovevo passare a prendere per festeggiare. A Nova Milanese ad un posto di blocco mi fermano i Carabinieri. Dopo mezz'ora di controlli mi portano in caserma, lì cominciano ad interrogarmi ad insultarmi e a picchiarmi con il calcio della pistola e così per dodici ore. Mi accusano di essere un corriere della droga, mi dicono che doveva fare da staffetta per un carico di 50 chili di cocaina: un testimone mi avrebbe riconosciuto. Naturalmente nell'auto non è stato trovato neppure un grammo di droga, ma poco importa la vettura, dicono, è la stessa del corriere. Da lì in poi l'incubo è diventato realtà. Mi portarono in galera e le sbarre si chiusero dietro di me.
Quando ha cominciato a realizzare che l'equivoco sulla sua persona non era così evidente e che non sarebbe stato scarcerato?
D. Barillà: All'inizio pensavo che da un giorno all'altro tutto si sarebbe chiarito, risolto; invece sono passati mesi, poi anni. Ma io non mi davo per vinto, ero innocente e avrei fatto di tutto per dimostrarlo.
Come era la sua vita in carcere? come affrontava le sue giornate da recluso sapendo di essere innocente?
D. Barillà: Lì dentro non è facile. La giornata dei carcerati è impostata per farti dormire, più dormi e più il tempo passa veloce e meno noie dai alle guardie giudiziarie. Si vive in una sorta di limbo temporale. Spesso ci venivano somministrate delle pasticche di valium per agevolare il nostro stato di sonnolenza. Io non volevo essere come gli altri, volevo essere sveglio, cosciente. Cercavo di fare attività fisica, correvo tutti i giorni, non volevo farmi domare.
Lei è stato rinchiuso per sette anni e mezzo; in prigione ed era innocente! Come e' stato possibile che l'equivoco basato sullo scambio di persona sia durato così a lungo? Alla fine come si sono convinti che Daniele Barillà non era il trafficante di droga che stavano cercando?!
D. Barillà: Le mie accuse erano basate solamente sulle dichiarazioni di un famoso comandante del Ros, il capitano Ultimo. Lui era così convinto che fossi io il corriere che nessuno si è preso la briga di verificare. Per i Magistrati il mio caso era talmente assurdo che non poteva non essere vero. Ma alla fine, dopo che lo stesso Cap. Ultimo fu inquisito, decisero di rivedere le mie accuse e gli errori madornali fatti nel mio caso emersero lampanti.
E' arrivato ad odiare la giustizia?
D. Barillà: No, non ho mai smesso di credere nella giustizia e continuerò a crederci, ma da tempo ho smesso di credere negli uomini...
Purtroppo durante la sua detenzione lei ha perso suo padre. Le hanno dato la possibilità di andarlo a salutare per l'ultima volta?
D. Barillà: Questo è stato un momento dolorosissimo.Un giorno arriva un secondino nella mia cella e mi dice vestiti ti portiamo al funerale di tuo padre. Tutto senza spiegazioni. Ma la cosa più allucinante fu che mi fecero entrare dentro al cimitero solo dopo che tutte le persone erano andate via; come se fossi un pericolosissimo assassino. Questa umiliazioni mi rimarrà dentro per sempre.
Daniele Barillà e' stato processato tre volte e tutte e tre le volte è stato giudicato innocente. Alla fine e' stato assolto con formula piena. Da poco è terminata la causa per il risarcimento. Gli sono stati riconosciuti 4 milioni di euro.
Questi soldi sono sufficienti a ricomprare, a restituirle gli anni e le cose che ha perso stando in carcere?
D. Barillà: Nulla potrà restituirmi quello che ho perso, la mia giovinezza, la mia spensieratezza, mio padre.
Avv. Mauro Ferrando, difensore di Daniele Barillà, come vengono calcolati i risarcimenti? come si fa a dare un valore ad un anno di vita?
Avv. M. Ferrando: Sono state stilate delle tabelle standard per tutti, dove, in base all'età', al lavoro, al reddito ed altri fattori viene calcolato il danno e quindi il risarcimento. Ovviamente queste tabelle non possono calcolare la soggettiva potenzialità e la sofferenza di una persona. Daniele Barillà aveva dei sogni, dei sentimenti, una ragazza ed un padre prima di finire in carcere, ora non ha più niente! Come si fa a dare un valore a queste cose? Basta una tabella?!
Lei in tutti questi anni ha perso la casa ed il lavoro . Come pensa che spenderà questo denaro? Ha mai pensato di lasciare l'Italia?
D. Barillà: Si ho perso tutto. L'azienda perché nessuno poteva occuparsene, la casa per pagarmi le spese processuali. Ho pensato spesso di andarmene, magari in un posto esotico.ma per ora non so. Mi sono appena sposato e quindi qualsiasi decisione dovrà essere presa insieme a mia moglie. Ci rifaremo una vita.
Dopo 4 anni di causa per ottenere un "giusto" risarcimento alla fine Daniele Barillà ha vinto e ha avuto un risarcimento record, che sarà il ministero dell'Economia a pagare. Ha ottenuto tre miliardi in più rispetto al totale dei risarcimenti pagati dallo Stato nei primi quattro mesi del 2001, ultimo dato rilevato, che ammontano a circa 5 miliardi. Una media di 25 milioni per ciascun richiedente. Le domande annuali dal '96 ad oggi sono all'incirca un migliaio l'anno. Il picco è stato raggiunto nel 2001, con 1.263 richieste. E ora il caso del signor Barillà rischia di far impennare il "mercato" dei risarcimenti di giustizia.

IL CASO TORTORQA: una pagina nera della giustizia italiana.
Enzo Tortora era il conduttore della seguitissima trasmissione Rai "Portobello" seguita da ben 28 milioni di telespettatori. La sua figura pubblica, certamente, non era a tutti gradita. All'improvviso, dalla procura di Napoli, partì un indagine sulla base delle accuse di alcuni pentiti: Associazione a delinquere di stampo cammorristico finalizzato al traffico di droga. Affiliato, secondo i pentiti, alla Nuova Camorra Organizzata.
Tra gli indizi un nome scritto su un agendina di un boss: T..a con un numero telefonico. Solo dopo lungo tempo si saprà che quel nome non era "Tortora", ma "Tortosa" e che il recapito del telefono non era quello del presentatore. (Nel maggio dell'82 il Parlamento aveva votato la "legge sui pentiti", per cui molti delinquenti ebbero degli importanti sconti di pena in cambio di una presunta collaborazione con la giustizia. Durante gli anni della lotta armata politica le dichiarazioni dei pentiti avevano funzionato contro il terrorismo e allora si pensò di utilizzarli anche contro il crimine organizzato.)
Nel giugno del 17 giugno 1984 Enzo Tortora - divenuto il simbolo delle tragedie della giustizia italiana - viene eletto deputato europeo nelle liste dei radicali che ne sosterranno sempre le battaglie libertarie.
Il 17 settembre 1985 (ad oltre due anni dall'arresto) Tortora viene condannato a dieci anni di galera. Nonostante l'evidenza, le accuse degli 11 "pentiti" (definiti da un giornale "la nazionale della menzogna") hanno retto al dibattimento. Con un gesto nobile - rinunciando all'immunità parlamentare - l'ex presentatore si consegna il 29 dicembre 1985. Resterà agli arresti domiciliari.
Il 15 settembre 1986 (a più di tre anni dall'inizio del suo dramma) Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla corte d'Appello di Napoli. Il 20 febbraio 1987 torna sugli schermi televisivi di Portobello. Il 17 marzo 1988 viene definitivamente assolto dalla Cassazione.
Forse il più inquietante degli errori giudiziari, per le conseguenze e le dinamiche che ebbe, fu il caso Tortora.
Un uomo innocente accusato di associazione camorristica e di spaccio di droga. Una vicenda che in quegli anni, gli anni 80, spaccò il paese in due e divenne l'emblema degli errori giudiziari.
Silvia Tortora è la figlia maggiore di Enzo.

Venerdì 17 giugno del 1983 Enzo Tortora fu arrestato, prelevato alle 4 di mattina nella sua stanza in un albergo romano. Quello fu il giorno dell'inizio del calvario per Enzo e per al sua famiglia.
Lei aveva 20 anni, come cambiò la sua vita? e quella della sua famiglia?
S. Tortora: Fu completamente stravolta. Inoltre il fatto che mio padre fosse un personaggio noto ci espose alla gogna dei commenti di tutti, dovunque andassimo il nome Tortora correva sulla bocca della gente. Per me che ero abituata a vedere mio padre con un occhio di rispetto fu un trauma.
Durante i mesi della detenzione lei tenne una fitta corrispondenza con suo padre. Che cosa vi scrivevate?
S. Tortora: Il rapporto tra me e mio padre cambiò completamente. Prima tra noi c'era il classico scontro tra figlia adolescente un pò ribelle e padre borghese che incarna la morale e la tradizione. In quelle lettere ebbi l'occasione di conoscere veramente Enzo, conobbi un padre sensibile e fragile, che aveva un grande bisogno di me, della sua bambina.
Il Caso Tortora mise alla luce alcuni aspetti inquietanti del nostro sistema giudiziario, sociale e dell'informazione. Una vera e propria gogna mediatica, come è stata definita. Quale è stata la responsabilità dei giornalisti nel caso Enzo Tortora?!
S. Tortora: Fu enorme. Una vera vergogna per il nostro Paese. Sin dall'inizio le immagini di mio padre in manette fecero il giro di tutte le televisioni e di tutti i giornali. Titoli cubitali su ogni quotidiano. Giornalisti lanciati in accuse e congetture, solo per dire la loro sul "Caso Tortora". Una gogna mediatica mai verificatasi prima. Dopo la sentenza di innocenza molti giornalisti si affrettarono a domandargli scusa. Per ultimo lo stesso giornalista dl Tg1 e conduttore Franco Di Mare, mi ha porto le sue scuse per gli articoli contro mio padre che aveva pubblicato all'epoca dell'arresto.

Con una decisione coerente il 29 dic. 1985 Enzo Tortora si dimette da Europarlamentare e si consegna alle forze dell'ordine rinunciando all'immunità. Enzo Tortora quindi aveva ancora fiducia nella giustizia?
S. Tortora: Mio padre non ha mai smesso di credere nella giustizia; lui non credeva nel modo in cui viene esercitata nel nostro paese, nel comportamento arrogante di alcuni magistrati e nei metodi sbrigativi di alcuni rappresentanti delle forze dell'ordine. Lui voleva vivere la sua esperienza con la giustizia come ognuno, senza favoritismi, voleva essere vicino ai tanti che come lui avevano subito e subivano errori giudiziari.
Il 15 settembre 1986, tre anni dopo il primo arresto Enzo Tortora viene assolto con formula piena dal processo di Appello.
Il caso Tortora aveva spaccato il paese dividendolo in innocentisti e colpevolisti? Perché tutta questa passione attorno a suo padre?
S. Tortora: Perché era un personaggio pubblico dalla faccia pulita, dall'origine borghese e dalla morale integerrima. Ci si schierava o ci si opponeva ad un idea, ad un tipo di italiano che in quegli anni era ben definito. Invidie e risentimenti della gente e dei colleghi, un caso per molti aspetti troppo particolare per avere dei precedenti.
Il 20 febbraio 1987 torna alla televisione a Portobello, ripartendo la dove era stato interrotto. Perché suo padre tornò a fare televisione?
S. Tortora: Era l'unico modo che aveva per poter riscattare a pieno la sua immagine. Mi confessò che era stanco e che gli sarebbe piaciuto ritirarsi, ma la sua missione non era ancora finita. La televisione gli dava anche l'occasione di diventare la voce di tutti quelli che subivano ingiustizie e non avevano i mezzi per farsi sentire. Lui voleva diventare quella voce.
Subito dopo la sua assoluzione mio padre si recò in Sardegna a pregare sulla tomba di Aldo Scardella. Un ragazzo di 20 anni che si era impiccato in carcere, arrestato ed imprigionato per errore. Non aveva avuto la forza di resistere. Ennesimo caso di giustizia ingiusta.
Il 18 maggio 1988, Enzo Tortora muore stroncato da un tumore, aveva 59 anni.

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